Favole (La Fontaine)/Libro secondo/XVII - Il Pavone e Giunone
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- Gran Dea, - (così si narra che un Pavone
dicesse, querelandosi, a Giunone), -
m’hai dato un canto ch’è una stonatura,
un canto vero orror della natura.
L’usignol, un così vile
uccellin, invece ha un canto,
che a sentirlo è un dolce incanto,
tanto è flebile e gentile -.
A lui Giunon, dei gangheri un po’ fuori,
così rispose: - E può nutrir nel seno
gelosa invidia per un usignolo
una bestia che par l’arcobaleno?
Tanto ricca di luci e di colori,
che sol pavoneggiandosi, dispiega
una coda sì splendida, ch’è meno
d’un orefice bella la bottega?
Non c’è bestia, allo stringere del conto,
che ti possa in beltà stare a confronto.
Fecer gli Dèi le bestie di maniera,
che ognuna avesse qualche qualità:
è leggier il falcon, l’aquila fiera,
a chi gran corpo, a chi valor si dà,
se l’uno o l’altra gracchia,
il Corvo serve pel cattivo augurio,
e pel tempo cattivo la Cornacchia.
Tu fa’ che a lamentarti più non t’oda,
o ti strappo le penne della coda -.