Filocolo/Libro quarto/112

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Libro quarto - Capitolo 112

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Trovò Glorizia Biancifiore sopra un letto d’una sua compagna giacere boccone piena di malinconia e di pensieri, e quasi tutta nell’aspetto turbata, a cui ella cominciò così a dire: - O bella giovane, che pensieri sono questi? Qual malinconia t’occupa? Leva su, non sai tu che oggi è giorno da festeggiare e non da pensare? Già tutte le tue compagne hanno le rose e’ fiori ricevute, e fanno festa, e te solamente aspettano; leva su, vienne: non sono tutti i giorni dell’anno igualmente da dolersi -. A cui Biancifiore rispose: - Madre e compagna mia, a me sariano da dolere tutti i giorni dell’anno s’egli n’avesse molti più che non ha, e massimamente questo giorno nel quale noi dimoriamo, ché se della memoria non t’è uscito, in cotal giorno nacqui io, e colui similemente per cui io mi dolgo. Non ti torna egli a mente che in questo giorno l’empio re suo padre ci soleva insieme di bellissimi drappi vestire, e solavamo della nostra natività fare maravigliosa festa? E ora, imprigionata, da lui lontana, non so che di lui si sia, né m’è possibile il vederlo, né di lui alcuna novella udire! Non credi tu che mi vadano per la mente i dolorosi accidenti, che avvenire possono e avvengono tutto giorno a’ viventi? Ora che so io se ’l mio Florio vive? Che similmente so io se egli ha me messa in oblio per l’amore d’un’altra giovane? Che so io se mai i’ ’l debbo rivedere? Come, pensando queste cose, pensi tu che io possa lieta dimorare o fare, come l’altre fanno, festa, con ciò sia cosa che, qualunque l’una di queste avvenisse, io non vorrei più vivere? E pur conosco tutte esser possibile ad avvenire: ma certo se io sapessi pure a che fine gl’iddii mi debbono recare, io avrei alcuna cagione di conforto, se buona la sentissi. Elli m’hanno lungo tempo con la speranza che io ho avuta nelle loro parole con meno dolore nutricata, ma ora veggendo che ad effetto non vengono, tutto il dolore, che per adietro a poco a poco dovea sentire, raccolto insieme tutto mi tormenta: per che parendomi che gl’iddii come gli uomini abbiano apparato a mentire, più di piangere che di far festa m’è caro -.