Filocolo/Libro quinto/10

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Libro quinto - Capitolo 10

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Già i corpi percossi dal tiepido sole porgevano lunghe ombre, e Febeia si mostrava in mezzo il cielo, andante alla sua ritondità, quando, Biancifiore non più parlante, Filocolo disse: - O Idalogo, dinne, per quella fede che tu già ad amore portasti, come a’ tuoi orecchi pervenne la nostra fama, con ciò sia cosa che appena ne’ nostri regni credevamo che saputi fossero i nostri amori? -. A cui Idalogo così rispose: - Come in queste parti i vostri fatti si sapessero m’è occulto, ma come io li sappia vi narrerò. Sì come voi vedete, io porgo con le mie frondi graziose ombre dintorno al mio pedale, e il suolo di fiori e d’erbe ogni anno s’adorna più bello che alcuno altro prato vicino: per la qual cosa i miei compagni, sì per conforto di me che d’udirgli mi dilettava, sì per riposo e diletto di loro medesimi, qui sovente soleano venire, e nelli loro ragionamenti dire quelle cose le quali mancamento delle mie doglie credevano che fossero, e talora credendomi piacere, con fresche onde le mie radici riconfortavano. E quando costoro questo luogo non avessero occupato, molti gentili uomini e donne vegnenti a’ santi bagni, ove voi forse ora dimorate, qui a ragionare di diverse materie, qui a far festa, se ne sogliono venire. E quando di questi tutti solo rimanessi, da’ pastori non sono abandonato: a’ quali, però che mi ricorda ch’io già di loro fui, più fresca ombra porgo che ad alcuni. E come degli altri qui vegnenti odo i varii ragionamenti, così i loro e le loro contenzioni e le battaglie de’ loro animali spesso sento, e di me hanno fatto prigioniere del perditore: tra’ quali ragionamenti molti, non so che gente un giorno qui si venne, a’ quali quasi interi i vostri casi udii narrare, forse non credendo essi essere uditi, i quali non minori che i miei riputai; e fummi caro ascoltargli, sentendo che solo negli amorosi affanni non dimorava -.