Filocolo/Libro quinto/11

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Libro quinto - Capitolo 11

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Queste cose udite, parve a Filocolo di partirsi, e disse: - Idalogo, gl’iddii quella perfetta consolazione che tu disideri ti donino, sì come tu a noi hai delle domandate cose donata. Noi, costretti dalla sopravegnente notte, più con teco non possiamo stare, e però ti preghiamo che se per noi alcuna cosa fare si può che piacere ti sia, la ne dichi, con ferma speranza che fornita fia giusto il potere nostro -. Assai potreste fare - rispose Idalogo, - e però che nella vostra grande nobiltà confido, vi farò un priego: com’io poco avanti vi dissi, io amai una donna, dalla grazia della quale abandonato, disiderando in essa ritornare, porsi prieghi e lagrime infinite, le quali la durezza del cuore di lei niente mutarono, per che io sono in questa forma. Ora avvenne poco tempo appresso la mia mutazione, giovani a me carissimi, e consapevoli de’ miei mali, qui s’adunarono, e quasi come se a me le parole porgessero, credendomi della vendetta degl’iddii rallegrare, dissero la bella donna in bianco marmo essere mutata, allato ad una piccola fontana di chiara acqua, dimorante nelle grotte del duro monte Iberno, a mano sinistra, passata la grotta oscura. Della qual cosa io non lieto ma dolente fui, pensando che se avanti dura era a’ miei prieghi stata, omai pieghevole non saria; ma di ciò sono incerto, e però la speranza del pregare non ho lasciata, per che io vi priego che quando verso la città andrete non vi sia noia il visitare la fresca fontana, e quelle parole di me porgete alla bianca pietra che pietà vi consente. Né vi partite prima di qui, che il pezzo della dura scorza, tolta a me dal vostro dardo, sia al suo luogo renduta: poi con la grazia degl’iddii licito siavi l’andare -.