Filocolo/Libro quinto/44

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Libro quinto - Capitolo 44

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Tagliasi l’antico bosco, e Filocolo, pietoso de’ disperati popoli, pensa al loro riposo, con sollecitudine disiderando poi di rivedere il padre. Ma Biancifiore da altra sollecitudine è molestata: Glorizia, che il dolce aere della vicina Roma sentiva, accesa d’ardente disio di rivedere quella oltre all’usato modo, dimorando sola un giorno con Biancifiore, così le cominciò a dire: - O giovane donna lungamente per lo mondo errata, come non ti strigne l’amore della tua patria? Come non disideri tu di vedere la tua Roma la quale tu mai non vedesti? Or non ti saria egli caro vedere gli stretti parenti del tuo padre e quelli della tua madre, i quali tu niente conosci né essi te? Tu ora se’ a quella vicina, né niuno tempo puoi a rivederla eleggere migliore: e certo quello che fu in disiderio agli strani, posti nell’ultime parti de’ regni, de’ quali io ancora ti vedrò coronata, ben dee essere a te, di lei figliuola, in volontà: pregane il tuo Florio che di quindi andiamo, il quale niuna cosa pare che tanto disideri quanto piacerti. E se egli forse per la nuova impresa vuole pure essere qui, e questo fornito, non vuole più tempo mettere in mezzo a rivedere il padre, concedati almeno che in questo mezzo noi possiamo andar a vederla, accompagnate dal suo e tuo maestro Ascalion. Noi peneremo poco a tornare qui, ché certo quinci partendoci non si vedrà il sole sei volte nuovo, prima che Roma tu, veduti i tuoi strettissimi parenti e di Roma grandissimi prencipi, vedrai. Le grandissime nobiltà della tua terra, tra le quali il gran palagio ove i romani consigli si faceano, vedrai, e similemente il Coliseo, e Settensolio, fatto per gli studii delle liberali arti. E vedrai la sepoltura del magnifico Cesare, tuo antico avolo, posta sopra aguto marmo di Persia; e vedrai la colonna Adriana e l’arco adorno delle vittorie d’Ottaviano. O quante cose mirabili ancora, vedute queste, ti resteranno a vedere! Io poi da tutti i tuoi parenti conosciuta, darò con le mie parole ferma fede che tu di Lelio e di Giulia sii stata figliuola, e sarò creduta, però che i miei parenti, ancora che io al tuo servigio sia, non sono ignobili. E essendo tu riconosciuta da’ tuoi, sarai ricevuta negli alti palagi e intorniata di nobilissime donne, le quali per grande amore che t’avranno e per le tue bellezze ti guarderanno per maraviglia, faccendoti ciascuna onore a pruova, e sarai da tutte tacitamente ascoltata narrando i tuoi casi, i quali esse ascoltando spanderanno lagrime d’amore baciandoti mille volte, e appena parrà loro che tu con esse sia, tanto fia il disiderio loro d’essere con teco. E i fratelli del tuo padre, lieti di sì bella nipote, ordineranno feste, parendo loro avere racquistato il perduto Lelio, e saranno molto più di te ora contenti che se piccolina t’avessero avuta, e massimamente sentendo la verità della tua virtuosa vita, laudevole infra le dee del cielo, e ancora veggendoti sposa di Florio, figliuolo di sì alto re, come è quello di Spagna: e più si rallegreranno, sentendo che corona d’oro sia alla tua testa apparecchiata quando il vecchio re morisse, ancora che molti de’ tuoi antichi la portassero. Perché mi fatico io di dirti quanto tu dell’andarvi diverrai contenta, con ciò sia cosa che io mai la menoma parte dire non te ne potrei? Però andianvi, ché, se niuna altra cosa te ne seguisse, se non che tu conoscerai te non essere quella che forse tal volta la coscienza ti dice, per le udite parole sì vi dovresti tu volere andare. E con tutte queste cose ancora farai tu me lieta più ch’altra femina fosse mai, però che io rivedrò i miei, i quali forse già è lungo tempo dierono per me pietose lagrime, credendo ch’io fossi morta. Non essere a’ miei prieghi dura, io te ne priego, ma se io mal grazia da te meritai, concedi quello ch’io con tanti prieghi t’adimando -.