Filocolo/Libro quinto/45

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Libro quinto - Capitolo 45

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Glorizia tacque, e Biancifiore così le rispose: - O donna, a me più cara che madre, e cui io sola per madre riconosco, perché con tanto effetto priego sopra priego aggiugnendo mi prieghi, né più né meno come se tu avessi in me sì poca fede che incredibile ti fosse ch’io per te non facessi ciò che per me si potesse operare? Tu disideri d’essere in Roma, e a me t’ingegni, dov’io d’esservi non disiderassi, di farmelo disiderare con le tue parole, le quali in verità il gran disio, ch’io ho di vederla, assai m’hanno acceso: e se io mai disiato non l’avessi, vedendolo a te disiare, sì lo disidererei; ma come poss’io mettere ad effetto, se non quanto piace al mio Florio? Non sai tu che per matrimoniale legge gli sono legata? Io non posso, né debbo, far più ch’e’ voglia, però che egli è mio signore per molte ragioni. Non fu’ io in casa sua nutricata? Non sono io da lui per tutto ’l mondo stata ricercata? Non m’ha egli con pericolo della sua persona tratta delle mani della canina gente, ov’io era in servaggio venduta? Non sono io per lui due volte stata liberata da morte? Non sono io similemente sua sposa? Dunque seguire i suoi piaceri deggio, non egli i miei. Se tu vuoi ch’io il prieghi, ben so che nulla cosa è che a mio priego e’ non facesse; ma io debbo riguardare di che io priego, però che sovente priegano alcuni di cose che pregando a sé negano il servigio. Come potrei io giustamente pregare Florio che a Roma venisse, con ciò sia cosa ch’egli m’abbia detto, già è assai, che egli sopra tutte le cose del mondo disidera di rivedere il vecchio padre, della cui morte egli dubita molto, per lo dolore nel quale il lasciò, quando da lui per cercar me si partì? Dirogli io: "Veggiamo in prima Roma", sappiendo ch’egli altro disidera? E come tu di’, la magnificenza e la bellezza di Roma ha potere di trarre a sé gli uomini de’ lontani paesi a farsi vedere: dunque, quanto maggiormente dee potere, veduta, ritenergli! Ecco che Florio a’ miei prieghi vi venisse, e di quella vago oltre la sua intenzione vi dimorasse, e in questo tempo alcuna novità nel suo regno nascesse, la quale egli andandovi trovasse, non direbbe egli: "Biancifiore, per te m’è questo avvenuto, che mi tirasti a Roma"? E s’egli il dicesse, qual dolore mi saria maggiore? E forse ancora per quello che il suo padre fece al mio, dubita di venirvi, e non sanza ragione: però ch’io ho già udito che i romani niuna ingiuria lasciano inulta. Ma tu di’: "Andiamvi sanza lui"; ora non pensi tu come mai me da sé partiria, a cui, per l’essere noi divisi, tanta noia quanta tu sai ci è avvenuta? Certo egli tenendomi in braccio appena mi si crede avere, e continuamente dubita che i contrarii fati non tornino che me gli tolghino; e non una ma molte volte m’ha detto che mai altro che morte non ne dividerà, la quale gl’iddii facciano lungo tempo lontana da noi. E s’egli pure avvenisse che sanza sé in alcuna parte mi fidasse, non è alcuna ove egli più tosto non mi lasciasse andare che a Roma, però che egli s’imagina che i miei parenti incontanente a lui mi togliessero, e ad altrui mi dessero, la qual cosa io mai non consentirei: dunque seguiamo prima i suoi piaceri, però che si conviene lasciargli rivedere il vecchio padre e la dolente madre e il suo regno; i quali veduti, con più audacia gli domanderò Roma vedere co’ miei parenti. Tanto abbiamo sostenuto, ben possiamo questo piccolo termine sostenere; e io te ne priego che infino allora, per amore di me, con pazienza sostenghi il tuo disio -.