Filocolo/Libro quinto/63

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Libro quinto - Capitolo 63

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- Caro padre, io il quale voi in abito pellegrino così soletto vedete, ancora che a me non stiano bene a porgervi queste parole (ma costretto da necessità le dico), sono di Spagna, e figliuolo unico del re Felice signoreggiante quella; e nelle fini de’ nostri regni, sì come alcuni m’hanno detto, uno tempio ha ad uno dei dodici discepoli del Figliuolo di Dio dedicato, al quale i fedeli della santa legge che voi tenete e ch’io tenere credo, hanno divozione grandissima, e sovente il visitano. E avendo a quello uno di questa città nobilissimo singulare fede, il cui nome fu Lelio Africano, con più giovani a visitarlo si mise in cammino, e con lui menò una sua donna, il cui nome era Giulia. Né erano ancora pervenuti a quello, che essendo al mio padre stato dato a vedere che suoi nimici fossero e assalitori del suo regno, passando essi per una profonda valle, da lui e da sua gente furono virilmente assaliti: e per quello che io inteso abbia, egli co’ suoi mirabilissima difesa fecero, ma ultimamente tutti, nel mezzo de’ cavalieri di mio padre, che di numero in molti doppii loro avanzavano, rimasero morti, tra’ quali Lelio similemente fu ucciso. Dopo cui in vita Giulia rimase, e gravida per singulare dono, per la sua inestimabile bellezza fu alla mia madre presentata, la quale da lei graziosamente ricevuta e onorata fu: e di ciò mi sia testimonio Iddio ch’io dico vero. Era similemente la mia madre pregna, e amendune in un giorno, la mia madre me, e Giulia una giovane chiamata Biancifiore partorì, e rendé l’anima a Dio, e sepellita fu onorevolemente in uno nostro tempio secondo il nostro costume. Noi, nati insieme, con grandissima diligenza nutricati fummo, e in molte cose ammaestrati, e sì come io ora credo, volere di Dio fu che l’uno dell’altro s’innamorasse, e tanto ne amammo, che diverse avversità, anzi infinite, n’avvennero. Ma ultimamente il mio padre, credendo lei di vile nazione essere discesa, acciò che io per isposa non la prendessi, né mai avanti la vedessi, come serva la vendé a’ mercatanti, e fu portata in Alessandria, e a me dato a vedere ch’era morta. Ma io poi la verità sappiendo, con ingegni e con affanni e con infiniti pericoli seguendola la racquistai, e per mia sposa la mi congiunsi, e lei amo sopra tutte le cose del mondo. E certo io n’ho un piccolo figliuolo, al quale appena che il sesto mese sia compiuto, e è ’l suo nome Lelio; e però che del padre di Biancifiore valore oltre misura intesi, così il chiamai: ella e egli sono qui meco. E dicovi più, che la fortuna n’ha portati ad essere in casa di Quintilio e di Mennilio, fratelli carnali, secondo ch’io ho inteso, di Lelio; ma già non ne conoscono, né Biancifiore di loro conosce alcuno, né sa chi essi sieno, avvegna che con lei sia una romana, la quale con la madre fu presa e che sempre con essa è stata, il cui nome è Glorizia, la quale tutti li conosce, e a lei per mio comandamento il tien celato. Adunque quello per che io queste cose v’ho detto è che, prendendo il santo lavacro, dubito non mi convenga palesare, e palesandomi, costoro la vendetta della morte del loro fratello sopra me non prendano: e d’altra parte, ancora che io sanza palesarmi, potessi il santo lavacro pigliare, sì mi saria la pace di tanti e tali parenti carissima, né sanza essa volentieri mi partirei, se per alcun modo credessi poterla avere. E avvegna che io nella morte del loro fratello niente colpassi e il mio padre disavedutamente ciò facesse, sì mi metterei io ad ogni satisfazione che per me si potesse fare molto volontieri. Certo la vita di Lelio mi saria più che un regno cara: Iddio il sa. Voi, dunque, discreto mostratore della via di Dio, quella del mondo non dovete ignorare, ché chi sa le gran cose, le piccole similemente dee sapere. Udito avete in che il nostro consiglio a me bisogni: dunque, per amore di colui alla cui fede recato m’avete, vi priego che al mio bisogno, utile consiglio porgendo, proveggiate -.