Filocolo/Libro quinto/90

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Libro quinto - Capitolo 90

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Entrati ne’ padiglioni costoro, e dopo alquanto datisi al sonno, a Biancifiore in fulvida luce un giovane di grazioso aspetto con una giovane bellissima accompagnato, di vermiglio vestiti, le apparvero, e nel suo cospetto si fermarono, i quali Biancifiore parve che riguardasse, e tanto belli e tanto lucenti li vedesse, e tanto lieti in se medesimi, quanto mai veduta avesse alcuna cosa. E volendoli domandare chi fossero, il giovane cominciò a dire: - O bella e graziosa donna, nella pia opera faticata questa passata sera col tuo marito ricogliendo gli sparti membri, a’ quali le ruinose acque hanno lungamente perdonato per la tua futura venuta, sepera le sante reliquie dalle inique, ché non è giusta cosa che una terra quella che l’altre occupi -. A cui Biancifiore parea che rispondesse: - O glorioso giovane, a ciò non sa la mia poca discrezione pigliar consiglio, però che, sì come io ho veduto, più alle giuste che alle ingiuste niuno segno dimora; ma se a te piace, poi che una pietà con meco insieme hai, andiamo, e mostramele e meco insieme le scegli -. A cui il giovane: - Sanza me le conoscerai; abandona i pigri sonni, e col tuo marito ti leva su, e con Mennilio tuo zio, e a ricogliere l’andate. Voi le vedrete tutte vermiglie rosseggiare, come se di fuoco fossero, e quelle che così fatte vedrete, di quelle sicuri vivete che siano de’ romani giovani morti in questo luogo; le quali poi che raccolte avrete, con diligenza le rendete a Roma, di cui vivi furono i corpi. E acciò, o giovane, che tu più lieta viva, chi io sia io mi ti manifesto e apromiti, e sappi che io fui Lelio tuo padre, e questa che tu con meco vedi, della cui bellezza tu tanto ti maravigli, fu e è Giulia la tua madre, e così come cari e fedeli nel mondo fummo, e a Dio con puro cuore servidori, così gloriosi vivemo nella vita alla quale niuna fine sarà già mai. La qual cosa, acciò che tu mi creda, poi che tu tutte le vermiglie ossa avrai ricolte, alla destra parte del tuo letto farai cavare, e quivi il mio corpo così, come Giulia il vi pose, troverai col viso del suo velo ancora coperto, e l’armato corpo d’un verde mantello; il quale tu piglierai, e quello di Giulia togliendo di Marmorina, insieme in Roma gli sepellirai -; e più non disse. Ma volendo già dire Biancifiore: - O Giulia, cara madre, fammiti toccare -, la luce sparve e le sante persone, e il sonno si ruppe della giovane, la quale tutta stupefatta si levò sanza indugio, e chiamati Florio e Mennilio, ciò che veduto e udito avea per ordine disse loro: di che essi maravigliatisi, assai ringraziarono Iddio, e levati tutti e tre andarono sanza alcun lume a fare il pietoso uficio. Essi non uscirono prima de’ padiglioni che, la notte essendo molto oscura e non porgente alcuna luce, videro la profonda valle per diverse parti tutta rilucere, ove un poco ove un altro, sì come il cielo nel tranquillo sereno mostra le chiare stelle, e tutte le accomunate ossa sparte trovarono, e mutate del luogo ove lasciate l’aveano. Essi nel principio con paura di cuocersi, givano ricogliendo le rosseggianti reliquie, e tutte quelle per diverse parti della valle sparte ricolsero divotamente, e quelle poste sotto diligente guardia, dove Biancifiore disse, cavarono. Né molto fu loro bisogno andare a fondo, che essi trovarono il promesso corpo ancora e del velo e del mantello coperto, fresco come se quel giorno di questa vita misera passato fosse: cui viso Biancifiore, ancora che morto fosse, al bello e lucente, che veduto avea, raffigurò. Ella il bagnò di molte lagrime, nelle quali Mennilio e Florio l’accompagnarono, tanta pietà li strinse. Poi riconsolati, preso quello, e involtolo in un caro e mondo drappo, così armato come stava, il misero in una cassa; e ossa rosseggianti per la cavata terra, forse d’altri corpi in quello medesimo luogo sepelliti per Giulia, raccolte, aggiunsero all’altre.