Fior di Sardegna/Capitolo III

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Capitolo III

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III.


Lara aveva diciott’anni, Marco ventisei o ventisette. Allorchè passavano stretti a braccetto per le vie di X***, così eleganti, così ben vestiti, entrambi giovani tanto, il viso sfolgorante felicità ed amore, ognuno si fermava ad ammirarli, ognuno li salutava, inchinandosi alla felicità che passava con essi, pensando che fossero gli esseri più felici del mondo. Così sembrava e questa volta l’apparenza non ingannava, no. Lara e Marco, ancora in piena luna di miele, favoriti da tutto ciò che un buon cristiano senza smodate ambizioni può chiedere a Dio, erano completamente felici. Essa, bruna, alta, sottile, i grandi occhi neri sempre velati da una leggera tinta di naturale tristezza e dalle lunghe ciglia nere nere, le labbra carnose, rosse e ardenti, molto elegante, molto «chic» nell’acconciarsi i capelli oscuri, crespi e folti, aveva lei sola un segreto per potersi vestire sempre così bene benchè semplicemente, aveva lei sola un talismano per essere così spiritosa, così appassionata, così svelta e operosa; lui, al contrario, biondo, gli occhi vivacissimi, bruni, ma non neri, dallo sguardo profondo, corruscante, impenetrabile; alto lui pure, magro, elegante e aristocratico sino alla punta delle unghie, la bocca stupendamente tagliata, le labbra sottili increspate ad un sorriso indefinibile come il suo sguardo, il volto pallido e il profilo stirato, era di un carattere serio, parlava lentamente, sempre in italiano, ma bastavano solo dieci sue parole per acquistarsi la simpatia e la ammirazione di chi l’ascoltava. V’era qualcosa di misterioso nella sua voce tranquilla e armoniosa, nella sua pronunzia dall’«esse» spiccata: tutta l’istruzione e l’ingegno e la gentilezza del suo animo trasparivan nella sua conversazione. Il fisionomista più ingegnoso non avrebbe potuto indovinare nulla dal volto, dal sorriso, del profondo eppure impenetrabile sguardo di Ferragna; ma il primo venuto, il villano più [p. 14 modifica]ignorante, al solo sentirlo parlare scorgeva in lui il giovine più bravo, più onesto, più affettuoso che si possa immaginare. — E Lara sulle prime s’era innamorata della sua voce senza neppure conoscerlo: della sua voce udita cantare una poesia d’amore, ardente, melanconica, fra i silenzi azzurri di una notte plenilunare, vibrata nella solitudine della campagna deserta e del cielo bianco scintillante. — Da più di un anno Lara aveva conseguito il suo ideale di fanciulla allevata fra le gentilezze e i sogni diafani di collegio, il suo ideale che Marco realizzava completamente; eppure lei provava sempre la stessa sensazione di voluttà, di gioia, lo stesso palpito provato in quella notte, ogni volta che Marco le parlava. L’ascoltava in estasi e quella voce adorata le scendeva nell’anima ricercandole le più intime fibre, con la stessa insinuazione, con lo stesso fascino con cui la cadenza della musica sacra dell’organo s’insinua in un’anima mistica e artista fra i solenni silenzi della penombra di una chiesa e i profumi inebbrianti dell’incenso.

La bella e ardente fanciulla adorava Marco in tutta l’estensione del termine; il suo amore era qualcosa di strano, di pazzo; un amore, che se contrariato la avrebbe uccisa, che pure così corrisposto la consumava ancora, le assottigliava l’anima e la fantasia. Guai se Marco la lasciava un’ora, un solo istante! Le pareva che tutto fosse vuoto intorno a lei; e se l’assenza doveva prolungarsi, piangeva quasi le fosse accaduta una qualche disgrazia. Ma quando Marco ritornava e pigliandola fra le sue braccia robuste le esprimeva a baci tutto il suo amore, Lara finiva col ridere della sua pazza angoscia, si chiamava bambina, si prometteva di non desolarsi più... e ricominciava da capo appena lui dovea allontanarsi di nuovo.

Marco per lei era tutto: vita, mondo, Dio. Nulla esisteva per Lara all’infuori del giovine: aveva trascorso i più splendidi paesaggi d’Italia, aveva visitato le più belle e grandi città senza quasi veder nulla, gli occhi sempre immersi nel volto di Marco, la fantasia sempre rivolta a lui che pure le stava così vicino. E quando esso le indicava i panorami più incantevoli, i [p. 15 modifica]monumenti più famosi, essa li ammirava per contentarlo, perchè anche ammirati da lui, ma all’ultimo gli susurrava delle parole che parevano complimenti, ma che invece erano la più sincera espressione dei suoi sentimenti.

— Bello!... Bello!... Ma tu sei più bello!...

Lui sorrideva, la guardava forte negli occhi a lungo, e, se non visto, trovava ben anche il modo di ringraziarla con un lungo bacio del suo complimento, mormorandole:

— Lara adorata!.....

Dacchè aveva conosciuta Marco, Lara, assai devota e pia per lo innanzi, si era scordata persino di Dio. Marco era il suo Dio! pensava sempre a lui, adorava lui solo, e dal folto lavorìo del suo pensiero ardente se veniva esclusa qualsiasi altra idea, anche la memoria di Dio non vi si introduceva più così sovente. Una sera, a Roma, Lara disse ciò sorridendo a Marco, ma poi aggiunse seria seria:

— Pare che Dio voglia vendicarsi del mio oblio! Oggi mi sento assai male e un presentimento mi dice che dovrò ammalarmi!... Sarebbe bella che morissi ora!...

— Taci! — rispose Marco, sfiorandole la bocca con una mano. — Se tu morissi, io la finirei in reclusione...

— Oh perchè?... — chiese lei, spalancando gli occhi.

— Perchè! Perchè se Dio si permettesse l’infamia di togliermiti, io l’ucciderei a revolverate.

Lara rise. Anche Marco, molto incredulo e scettico, rise un po’; ma guardando Lara, si accorse ch’ella era pallida e con le occhiaie, e si fece serio. La strinse fra le sue braccia e proseguì: — Ma no! Nessuno può togliermiti, nessuno, neppure Dio! io lo sfido a strapparti dalle mie braccia, lo sfido! e se, cosa impossibile, mi ti togliesse, io non l’ucciderei, perchè ha preso ben già da molto le sue precauzioni di sicurezza e la mia palla non giungerebbe a lui, ma lo dichiarerei il più ingiusto, il più crudele e feroce tiranno! — Lara pose a sua volta la mano sulla bocca di Marco, esclamando:

— Taci! Non parlare così di Dio! Egli è buono, è giusto, ma punisce chi lo offende! Tu ora l’offendi, Marco! Non offenderlo più, sai, potresti pentirtene! [p. 16 modifica]


Più tardi Marco si ricordò con istrazio di quelle parole dette da Lara tra il serio e il faceto: per allora si contentò di sorridere, dicendo: — Gli faccio le mie più umili scuse se lo offesi involontariamente. Vivi tu, Lara mia, vivi sempre, sana, felice, e amami, e io non solo non offenderò Dio, ma se tu lo vuoi, io gli dirò la mia preghiera a mattina e a notte ed anche prima del pranzo!....

Così scherzò per tutto il resto della sera, sul terrazzo dell’albergo, fra gli splendori del crepuscolo di una bella sera d’inverno: ma i suoi scherzi non impedirono che il malessere di Lara aumentasse tanto, che l’indomani si dovette cercare un medico. Sulle prime, Marco, se fu inquieto, provò anche una sfumatura di gioia credendo che tutta la piccola malattia di Lara segnasse l’alba della sua futura paternità, — ma consultato uno dei più famosi medici di Roma, questò lo assicurò che non v’era nulla di nuovo. — La sua signora. — disse, — è di complessione assai delicata e debole. È il viaggio continuo che le ha fatto male. La miglior cura che io possa prescriverle, perchè ella si conservi sana, è di metter fine al più presto al loro viaggio di nozze e di stabilirsi in un sito dall’aria salubre e calda, potendo, in un centro poco rumoroso, ove non sieno emozioni e avvenimenti che possano impressionare assai il morale della giovine ammalata.

Marco allarmato dalla strana ricetta, chiese al medico il suo parere, se di stabilirsi a X***, piuttosto che a Sassari. Il medico consigliò X***, luogo più caldo, più remoto e tranquillo di Sassari. Lo stesso giorno, Marco scrisse allo zio Salvatore per la palazzina ed espresse a Lara il volere del medico. Lara ne restò contentona. Non le disse però nulla della palazzina, volendole preparare una sorpresa: e appena fu ristabilita, ripresero il viaggio. Nonostante le raccomandazioni del medico, lo prolungarono assai. Le tasche di Marco erano ben foderate a biglietti da mille; Lara, completamente guarita, diceva di sentirsi in vena di intraprendere un viaggio in Africa; sicchè si spinsero sino in Svizzera, vi rimasero tutta la primavera, poi diedero una sbirciatina a Parigi, passarono per Nizza e tornarono ai silenzi delle solitudini [p. 17 modifica]sarde quasi un anno dopo le nozze, sempre più innamorati, pieni di ricordi e di meraviglia per le cose vedute, ma sempre amanti della loro verde e selvaggia Sardegna.