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Galateo ovvero de' costumi/XXVI

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Capitolo XXVI

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XXV XXVII
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Cap. XXVI. Volendo sporre, quali cose abbiano a sfuggirsi, perchè spiacevoli all’intelletto, dice prima, che l’uomo è vago della bellezza, e della proporzione: descrive cosa sia la bellezza, e come questa si trovi non solo ne’ corpi, ma in ogni favellare ed operare.

140. Ma tu dei oltre di ciò sapere, che gli uomini sono molto vaghi della bellezza, e della misura e della convenevolezza; e per lo contrario delle sozze cose e contraffatte e difformi sono schifi: e questo è spezial nostro privilegio: chè gli animali non sanno conoscere che sia nè bellezza, nè misura alcuna; [p. 89 modifica]e perciò come cose non comuni con le bestie, ma proprie nostre, dobbiam noi apprezzarle per se medesime e averle care assai; e coloro vie più che maggior sentimento hanno d’uomo, siccome quelli che più acconci sono a conoscerle. E comechè malagevolmente isprimere appunto si possa, che cosa bellezza sia, nondimeno acciocchè tu pure abbi qualche contrassegno dell’esser di lei, voglio che sappi che dove ha convenevole misura fra le parti verso di sè, e fra le parti e ’l tutto, quivi è la bellezza: e quella cosa veramente bella si può chiamare, in cui la detta misura si truova.

141. E per quello che io altre volte ne intesi da un dotto e scienziato uomo, vuole essere la bellezza uno, quanto si può il più, e la bruttezza per lo contrario è molti, siccome tu vedi che sono i visi delle belle e delle leggiadre giovani: perciocchè le fattezze di ciascuna di loro paion create pure per uno stesso viso; il che nelle brutte non addiviene; perciocchè avendo elle gli occhi per avventura molto grossi e rilevati, e ’l naso picciolo e le guance paffute e la bocca piatta e ’l mento in fuori e la pelle bruna, pare che quel viso non sia di una sola donna, ma sia composto di visi di molte, e fatto di pezzi.

142. E trovasene di quelle, i membri delle quali sono bellissimi a riguardare ciascuno per sè, ma tutti insieme sono spiacevoli e [p. 90 modifica]sozzi; non per altro, se non che sono fattezze di più belle donne, e non di questa una; sicchè pare, che ella le abbia prese in prestanza da questa e da quell’altra. E per avventura che quel dipintore, che ebbe dinanzi a sè le fanciulle calabresi, niuna altra cosa fece, che riconoscere in molte i membri che elle aveano quasi accattato chi uno e chi un altro da una sola; alla quale fatto restituire da ciascuna il suo, lei si pose a ritrarre; immaginando che tale e così unita dovesse essere la bellezza di Venere.

143. Nè voglio io che tu ti pensi, che ciò avvenga dei visi e delle membra o de’ corpi solamente; anzi interviene e nel favellare e nell’operare nè più, nè meno. Che se tu vedessi una nobile donna e ornata posta a lavar suoi stovigli nel rigagnolo della via pubblica, comeche per altro non ti calesse di lei, sì ti dispiacerebbe ella in ciò, che ella non si mostrerebbe pure una, ma più; perciocchè lo esser suo sarebbe di monda e di nobile donna; e l’operare sarebbe di vile e di lorda femmina: nè perciò ti verrebbe di lei nè odore, nè sapore aspero, nè suono, nè colore alcuno spiacevole, nè altramente farebbe noia al tuo appetito; ma dispiacerebbeti per sè quello sconcio e sconvenevol modo e diviso atto.