Gazzetta Musicale di Milano, 1842/Suppl. al n. 10
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SUPPLEMENTO AL N. 10 DELLA GAZZETTA MUSICALE
[modifica]DI MILANO
[modifica]6 Marzo 1842.
con pizzicato e a note legate due a due; ma al presente i nostri [giovani violinisti non se ne sgomentano punto. Alcuni di essi impararono da Paganinij le scale pizzicate colla mano sinistra e mischiativi ad un tempo de’ colpi d’arco.] Dobbiamo però confessare che l’arte del pizzicato, dalla quale si buonTpartito cavar potriano i compositori, è ancora pochissimo famigliare alle nostre orchestre. Io penso clie sarebbero troppo minuziosi i compositori ove si facessero ad indicare i colpi d’arco nelle loro partizioni, ponendo cioè dei segni quando l’arco deve tirarsi e quando deve spingersi, come si pratica negli studii di violino; ma è però bene, ne’casi in cui un passo vuol essere assolutamente eseguito con leggerezza, o con somma energia, o con far largo, indicare il modo di esecuzione con queste parole: alla punta dell’arco, ovvero col tallone dell’arco, ovvero tutta la lunghezza dell’arco su ogni nota. Dicasi lo stesso delle parole: sul ponticello e sul manico indicanti il posto più o meno vicino al ponticello, nel quale l’arco debbe intaccare le corde. I suoni metallici alcun po’ aspri che danno le corde intaccate dall’arco in vicinanza del ponticello differiscono molto dai suoni dolci e sfumati che producono allorché l’arco si adopera vicino al manico. In un pezzo stromentale in cui il carattere orrido è misto al grottesco fu adoperata la punta degli archi per battere le corde. Assai di rado vuol essere praticato questo mezzo bizzarro e solo ne’ casi in cui strettamente sia indicato; e s’aggiunga cb’esso non dà effetti sensibili se non usalo con grandi orchestre. In tal caso la quantità degli archi, cadendo precipitosamente sulle corde, produce una specie di sebioppettìochea malappenasi distinguerebbe ove i violini fossero in piccol numero per essere troppo debole e di breve durata la vibrazione sonora ottenuta con simil mezzo (1).
(Sarà continuato).
(1) L’esperimento di cui fa qui cenno il sig. Berlioz fu tentato da lui medesimo in una sua sinfonia fantastica. Alla raccomandazione che fa egli stesso di ricorrere a simili mezzi di effetto stromentale se non assai di rado noi aggiugniamo la nostra, persuasi come siamo che in fatto di innovazioni straordinarie ogni menomo tentativo è pericoloso e l’innovatore corre rischio di essere tacciato di stravaganza mentre ambiva alia lode di originalità. Il sig. Berlioz ebbe più d una volta a far prova di questa verità. Le teorie stromentali da lui esposte in questo suo scritto sono fondate sopra savii principii e (iellate da una profonda conoscenza degli eliciti possibili dei diversi stranienti, ma alcuni pensieri audaci gittati qui e qua, perché escono dall’ordinaria sfera delle idee abitudinali degli uomini di professione, potrebbero per avventura scemar pregio anche ai suoi migliori precetti, ove i lettori sensati non riflettessero che il signor Berlioz considera l’arte in tutta la più ardita ampiezza de’ suoi mezzi. Tra i compositori viventi nessuno si diede più di lui pensiero di dilatare le risorse della stromentazione c di ottenere dall’uso dell’orchestra quell’audace varietà di tinte che valga a spaziare ne’ più intentati recessi dell’imitazione musicale. So per caso alcuna volta le sue prove non riuscirono all’intento ch’ei si propose non è da appuntarsi di ignoranza o di povertà di fantasia, ma sì di soverchia temerità. - Por conto nostro dobbiam confessare che in fatto d’artisti, più ne piacciono coloro che per impeto d’animo eccedono in ardimenti, anziché quegli altri che, limitati di spirito, peccano di troppo prudenza. L’arte raccoglie o tosto o tardi qualche frullo dalle audacie dei primi; i secondi senza accorgersene la rimpiccioliscono c la fanno o stazionaria
o retrogradante.L'Est.
VARIETÀ
I CANTORI NOTTURNI.
V’hanno a questo mondo persone eminentemente festevoli, persone sì piene di spirito le quali non sapendo che cosa farne, finiscono col gettarlo a male. Fossero almeno caritatevoli, che in questo caso darebbero il superfluo ai loro conoscenti, agli amici! Ma, oibò! lo sprecano, lo sparnazzano, lo disperdono al vento! Nel novero delle più amabili abbiamo notato più volte i cantori notturni; creature misteriose, le quali coltivano ancor la romanza agli angoli delle contrade, verso mezzanotte. Esse celebrano lo sciampagna e l’amore coll’aiuto del vino bianco, a sei soldi il boccale. La domenica in ispecie cercano e trovano inspirazioni fuori di qualche dazio, e poi fanno echeggiare in Milano la loro gioia copiosamente innaffiata resa e talvolta ardente da balli campestri, nei quali improvvisano Ìiose espressive e simboliche che paion ru>ate alle danze orientali. I cantori notturni, appartenenti quasi tutti alle classi artigiane, riprendono caduto il sole, la via di Milano; per qual direzione, se per la diritta o la sinuosa, se per la breve o la lunga, poco importa, giacché sapendo essi benissimo che tutte le strade conducono a Roma, non v’ha motivo di credere che non conducano parimenti a Milano. Non sì tosto i loro piedi, o polverosi 0 infangati, toccano il suolo indigeno, la loro gioia scoppia improvvisa in note furibonde che fanno stridere i vetri sotto gli ingraticolati delle finestre, e gli eco ripetono le rime più fedeli alle canzoni della taverna, mentre il coro intuona a tutta gola il favorito ritornello. Hanno ragione i francesi di dire che la memoria dello stomaco è la più secura di tutte. Altri cantori poi che non possono trovar scuse o pretesti della loro gaiezza campestre per modulare il lor baccano vocale, si permettono nonpertanto d intuonare con tutto il fiato dei loro polmoni, nelle vie che credono le più quiete e le più decenti, 1 pezzi più ambiziosi delle nostre grandi Opere italiane. Questi infelici s’imaginano, colla miglior buona fede del mondo, di uscir caldi ancora dal nostro teatro alla Scala! Chi il crederebbe udendoli lungo il corso di porta comasina? Alcuni Almaviva, consacrati al culto della chitarra amorosa, approfittano della pubblica tolleranza per tiranneggiare orecchi innocenti che ad essi non hanno mai fatto nulla di male. Vengono a riscuotervi d’improvviso dal vostro sonno cogli aspri accordi del loro stromento disusato e volgare, e nessuno pensa a versare sul loro capo l’ira di qualche don Bartolo! Che diremo degli aspiranti ai quali il diavolo ha dato un appartamento d’aifitto vicino alla casa di una bella. Non v’ba narcotico atto a resistere ai suoni disarmonici che si: odono colà intorno. Sono inflessioni di voce d’averno da disgradare le gatte di gennaio; note che non si posson trovare perchè non appartengono alla solfa volgare. I tenori clie cantano i loro tormenti possono vantarsi di farne provare di convulsivi a coloro che hanno la sventura di
udirli.A. Piazza.
PENSIERI
ARMONIA E MELODIA.
I giudizii che s’odono all’intorno su questi due eiementi musicali sono così disparati, incerti, cozzanti, clic mal ci trarremmo d’impaccio volendone cavar costrutto; verremo perciò esponendo qualche ragione or per l’una, ed or per l’altra di quelle due sorelle, e ben ruminandole cercheremo di trovare un’opinione conciliatrice, che nò l’una innalzi troppo, nè l’altra troppo digradi. Se risaliamo alle antiche memorie, vediamo che la melodia è più vecchia certo dell’armo/tia. Nc’libri greci, ne’ monumenti asiatici non troviamo nulla che ne faccia in que’ tempi sospettare la conoscenza del contrappunto. La musica non era altro che un canto, od un suono, semplice, senza ritmo, vago ma affettuoso e potente: le mitologiche fole dal solo modo con cui sono inventate, dimostrano chiaramente in qual guisa dagli antichi si gustasse la musica e fosse presso di essi un mezzo influente di civiltà. Orfeo, quando si faceva correr dietro i sassi non improvvisava dei pezzi concertati, nè Anfìone per farsi seguire dai delfini componeva delle fughe. Pare pertanto certo che la melodia essendo più antica debba anco essere più naturale, più adattata alla percezione degli uomini. Pare anche evidente che Yarmonia è, nella sua espressione, nella sua natura, ed anche nel suo nome, la produzione della scienza, ed il raffinamento dell’arte, che i soli iniziati possono perfettamente concepire. Dappertutto v’ha musica; ove è aria è melodia: ma non è che presso le nazioni incivilite che noi udiamo quella riunione di suoni in accordi, quella struttura elaborata di parti con parti, chiamata armonia. Che vuoisi da ciò inferire? È un progresso dell’arte, oppure abbiamo viziato il modo di percezione? Udendo le composizioni di Haendel, di Bach, di Haydn, di Beethowen, di Mercadante, e di Berlioz, appena la nostra mente giunse ad afferrare il senso melodico neH’armonica nebbia, noi siamo penetrati da una grande esaltazione, ed un indescrivibile fremito percorre le nostre vene. Ma molti qui dimandano: quelle composizioni commovono o destano meraviglia? Sono fatte per aizzare le facoltà sensitive, o per esercitare l’esame critico della nostra testa? Sono sorprendenti od affettuose? La scienza può ella tener luogo della voce divina della passione? Il calcolo può egli venir sostituito aH’effcllo?... Queste ed altre tali ragioni vari ponendo in campo taluni, nè so se precisamente, ed in tutti i casi si possa trovar degna soluzione, e soddisfacente risposta. All’incontro, se noi udiamo una cantilena semplice, disadorna, non sostenuta da accompagnamento, la sua squisitezza può bensì destare una soave sensazione nell’animo nostro: ma eolesta sensazione è ella durevole, incisiva, oppure non è piuttosto una vellicazione fuggitiva, e che appena provata si dilegua senza lasciare dietro di sè un’eco, una riflessione? Si narra di Haydn che allorquando fece eseguire una delle sue più belle sinfonie, accortosi che qualcuno degli uditori s’era pigliato la libertà di dormire, s’alzò dalla seggiola e corse a rimbrottare violentemente gli incivili dormienti scuotendoli per un braccio; un bello spirito ebbe a rispondergli: «Se non era questo passo della vostra sinfonia, probabilmente dormiremmo ancora». Eppure le sinfonie d’Haydn non sono esse produzioni immortali? la fantasia melodica non va forse in esse del paro colla potenza strumentale? Ecco un altro paradosso. Lo stesso Haydn si sarebbe più maravigliato ancora se avesse saputo che la Mara, prima donna, si lamentava privatamente perchè il maestro sagrificasse la sua voce allo strepito dell’orchestra. Eppure tuttoché ben elaborata la musica d’Haydn non è sopraccarica di parti stromentali, ed al confronto della musica moderna di Meycrbecr, e di Mercadante si può quella chiamar semplice. Pochi anni addietro non erano rari i detrattori di Bellini. Si imprecava alla pochezza del suo stromcntare, si malediva al fare stiracchiato di alcune sue cadenze, c da alcuni piccioli nei, che tutti poi riguardavano la pura tecnica, si traeva argomento a qualificarlo quale ignorante compositore e per poco non dissi indegno d’esser maestro. Ora però è fatta giustizia di queste ehiacchere: nessuno sarà mai che contenda all’affettuoso siciliano la palma del sentire melodico specialmente flebile. Ciò prova quanto importi conciliare le opposte opinioni di coloro che voglion tutto armonìa, o tutto melodia. Un esempio contrario lo troviamo in Listz. Tutti si accordano nel dire che questo immenso genio musicale manca totalmente di fantasia puramente melodica. Egli in sè non sa trovar melodie, òppur se le trova sono tanto ampie, tanto misteriose e soprannaturali, e cosi coperte da coorti cromatiche, accompagnamenti bizzarri e fantastici, che perdono la natura di melodia, nel senso della parola. Ma pure chi oserà negare che desso non possieda un cervello il più prodigiosamente armonico e poetico che mai si sapesse? Ma pure come divinamente egli sa interpretare la melodia d’altri infiorandola, variandola, e dandole colle potenti sue mani un’esistenza più verginale, più celeste, più dantesca? Stiamo in forse di credere ai portentosi effetti, alla irresistibile magia della musica antica: gli uditori delle rappresentazioni pizie diventavano furibondi per l’entusiasmo, ed epilettici si gettavano innanzi a’ loro cantori, gridando che erano rapiti nell’Eliso. Eppure essi non sapevano nulla nè di settime diminuite, nè di seste superflue, nè di risolvente, ecc. Ciò che è però indubitato si è che quella musica frigia, dato che venisse eseguita adesso invece di renderci epilettici, ci farebbe meravigliare della poca esigenza di quel pubblico. Il che prova che se in alcuni casi la nativa semplicità della melodia può esser ascoltala e gustata, in altri ha duopo dell’aiuto deli’armoma. La vecchia e misera questione se la musica per esser bella debba piacere a tutti indistintamente resta a nostro parere così disciolta. Se con una piccola ipotesi anacronica voi faceste rappresentare il Guglielmo Teli nella piazza d’Atene qualche centinaia d’anni prima dell’era volgare, gli è ben certo che dovreste vedere il povero Rossini circondato da tanta gente affaccendata a dimandargli se sia matto, od imbecille. - Il pubblico vuol essere educato a poco a poco a scoprire e far sue le bellezze recondite d’una musica: il fiasco, come dicono i giornali^, il fiasco d’una prima recita non conchiude mai nulla. II disdegno che taluni maestri portano alla pura melodia ci pare che si possa spiegar così. La melodia è subito compresa, e vista in tutti i suoi lati, in tutti i suoi sensi: la mente vigorosa del maestro brama, anela alla ginnastica mentale, che meglio lo ispiri, e lo faccia poggiar all’alto: le combinazioni armoniche offrendo maggior tela, più vasto campo alla sua fantasia, ei vi si lascia trascinare, e si avvoltola in quelle come in un’atmosfera più vitale e profumata. Se dopo fa ritorno alla semplice melodia gli par divenuta cosa meschina, e per un’illusione ben perdonabile si dà a credere che la melodia non basti ad esprimere quello che ei sente. L’uditore che lo rimira da basso non Io comprende, e si stringe nelle spalle: egli che guarda dall’alto l’uditore, misura sdegnosamente la via che questo deve percorrere onde raggiungerlo e non vuole abbassarsi infìno a lui...
un torto d’ambedue.T-lli.
NOTIZIE DIVERSE.
— Parigi. La terza esecuzione dello Stabat di Rossini
avea attirato al Teatro Italiano una gran folla di
gente. Già da tre giorni prima, la direzione non avea
più posti da dare e si disputavano i biglietti per la.quarta
esecuzione che dovea aver luogo il’14 corrente. - È cosa
indubitabile che se ogni due giorni si potesse far cantare
quel capolavoro, senza incagliare l’andamento ordinario
del repertorio di quel teatro, a ciascuna esecuzione si
presenterebbero persone abbastanza da riempire il Teatro
Italiano.
— Quaranta montanari francesi, del paese di Bagneres
de Bigorre, sotto il titolo di Menestrelli dei Pirenei, percorrono
da quattro anni l’Europa dando de’ concerti di
canto senza strumenti, al pio scopo di fondare una chiesa,
una scuola ed un ospitale per i poveri pastori loro confratelli
della Vallata natia, affiliati ad una istituzione di
beneficenza già da un decennio eretta. Reduci da Pietroburgo
e da Vienna, ove eccitarono un entusiasmo generale,
questa interessante falange dirigesi a Roma, onde,
come dice, far colà benedire la sua bandiera, e trovandosi
di passaggio in Trieste, vi diede un unico concerto
nel Teatro Grande la sera del 21 p. p. Componevasi
questo di cantici, inni, e marcio religiose, patriottiche,
guerriere. Quanto all’effetto di quella musica e
di quella esecuzione, avrebbe forse incontrato meglio in
campagna aperta e fra i monti, o se forse conservando
di più il carattere naturale di semplicità popolare s’avesse
meno inteso di vestirla con forme artistiche conosciute.
— Castil-Blaze con argomenti non del tutto convincenti
nel N. 8 delia Franca Musicala vorrebbe far credere
che la musica del Devin du Fillage, Opera in un
atto di Rousseau, non appartiene a quel gran letteratofilosofo,
c che invece fu composta da un certo Granet,
maestro di musica a Lione.
— Il quinto concerto della Gazzette musicale ebbe
principio dal Settimino di Hummel, in cui i parigini hanno
potuto conoscere un nuovo suonatore di pianoforte, Pirkher
di Vienna, artista di talento, che distinguesi per la nettezza,
il brio e la maniera pura, elegante c classica di
fraseggiare. Giusta l’opinione del celebre Cramer, che
assisteva all’accademia, giammai quella famosa Opera
è stata eseguita a Parigi in un modo si completo.
— Sembra che di giorno in giorno vadano confermandosi le voci che già da qualche tempo corrono fra inostri amatori di musica in rapporto all’esecuzione dello Stabat Mutar a Bologna nella prossima settimana Santa sotto la direzione dell’istesso autore. Assicurasi che Ivanoff ivi già trovisi, e che la Rovello, ed il maggior dilettante di canto d’Italia, illustre nostro concittadino, chiamati da Rossini, stiano per dirigersi a quella città per prender parte ali’ esecuzione di quel capolavoro.
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Melodramma in 3 parti
Parole di G. Rossi
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Sono pubblicati varj pezzi staccati sia per Canto che per Pianoforte solo, e l’Opera completa verrà pubblicata in breve.
SAFFO
Tragedia lirica in tre tre parti
di S. Cammarano
MUSICA DEL M.°
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L’Opera completa per Canto con accompagnamento di Pfte. Fr. 30.
L’Opera suddetta verrà fra pochi giorni pubblicata completa anche per Pianoforte solo a 2 ed a 4 mani.
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Composto di sei pezzi di Canto
per Camera
DEL MAESTRO
N. 1 La Disperazione. Aria per
Soprano Fr. 3
N. 2. La Rosa. Duettino per Soprano
e Contralto... " 1 50
N. 3. Il Lago. Duetto per Soprano
e Contralto " 2
N. 4. I Chinesi. Duettino per Soprano
e Contralto... " 2 50
N. 5. Mezzanotte. Duetto per 1/2
Soprano e Tenore... " 2 50
N. 6 I Tristi Cantori. Scena e
Duetto per Tenore e Basso " 3 75
L'AMO E IL BACIO
DUETTINO PER CAMERA
CON ACCOMPAGNAMENTO DI PIANOFORTE
COMPOSTO DA
A. BAZZINI
Fr. 3 25.
IGINIA D'ASTI
Melodramma tragico in tre atti
MUSICA DEL MAESTRO
GENOVES
Sono pubblicati i pezzi principali per Canto e Pianoforte
CRISTINA DI SVEZIA
Tragedia lirica in tre parti
MUSICA DEL M.°
G. LILLO
Sono pubblicati i pezzi più favoriti per Canto e Pianoforte
IL PROSCRITTO
Melodramma tragico di S. CAMMARANO
MUSICA DEL MAESTRO
Sono pubblicati varj pezzi per Canto con accompagnamento di Pianoforte.
ULRICO DI OXFORD
Melodramma in tre parti
MUSICA DEL MAESTRO
TORREGIANI
Sono esciti i principali pezzi ridotti per Canto e Pianoforte
REMINISCENZE
DELL’OPERA
ROLLA DI MABELLINI
DUE RONDINI
Per Pianoforte e Violoncello
DI
P. TOMASSI
Cadauno Fr. 5.
FANTAISIE
pour Piano et Violoncelle ou Violon
SUR L'OPÉRA
LUCIA DI LAMMERMOOR.
DE DONIZETTI
PAR
F.A. KUMMER
Op. 68. - Fr. 4.
GIOVANNI RICORDI
EDITORE-PROPRIETARIO
N.B. Si unisce a questo foglio il pezzo N. 3 dell'ANTOLOGIA CLASSICA MUSICALE.