Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 10
Questo testo è incompleto. |
◄ | N. 9 | Suppl. al n. 10 | ► |
GAZZETTA MUSICALE | ||
N. 10 |
DOMENICA |
DI MILANO |
J. J. Rousseau.
SUONATA QUASI FANTASIA
In Do diesis minore, di Beethowen (1).
Unito a questo numero della nostra Gazzetta presentiamo a nostri cortesi associati, come abbiamo annunciato, un pezzo per pianoforte solo. E una suonata o fantasia di Beethoven. Il nome del sommo Alemanno basta all’illustrazione del pezzo. E d’altronde, quand’anche il volessimo, ci sarebbe egli possibile l’additarne, enumerarne tutte le singole bellezze, se ogni concetto, ogni frase è gemma inestimabile? L’autore istesso la intitolò del nome di Fantasia, e tanta di vera fantasia, ne racchiude questo pezzo che con più conveniente appellazione non potrebbe nomarsi. Cosi questo vocabolo titolare non fosse tanto invilito al giorno d’oggi, che le composizioni le più abbiette non si ha vergogna di fregiarle del presuntuoso nome di fantasie! Inutile dunque sarebbe il fermarsi a lodare la malinconica e quasi misteriosa grandezza dell'adagio, la soavità e l’affettuosa semplicità del minuetto e la tempestosa passione, e quel succedersi e incalzarsi di crescendi nell’ultimo tempo che risvegliano nello spirito di chi ascolta un misto di idee nuove e di potenti emozioni. Reputiamo vana ogni analisi minuta, persuasi che chi ha cuore non può non penetrarsi del forte sentire dell'autore, e a chi non ne ha apparirebbe inutile e ridicola ed esagerata ogni nostra lode. Ne piace chiudere questo cenno col notare che anche un nostro grande compositore italiano sentì certamente al pari di noi le bellezze di questo componimento. Egli è Bellini, il quale non credette umiliare sè stesso commettendo per lo appunto un non lieve plagio. Il noto coro in fa della sua Opera Bianca e Fernando, riportato poi nel secondo atto della Norma, non è esso, pel tratto di molte misure, copiato a puntino dal primo tempo di questa Fantasia? Avremmo amato potere, unitamente a questo pezzo, offrire a’ nostri lettori alcune notizie biografiche sulla vita e le opere del sommo compositore, come abbiamo fatto nel numero scorso col cenno su Cristoforo Glück, ma la quantità delle materie ce lo divieta per ora. Non mancheremo in seguito di svincolarci anche di questa come di tutte le altre promesse che abbiam date ai nostri benevoli associati.
A. M.
(1) Vedi il pezzo unito a questa Gazzetta.
COMPOSITORI ITALIANI
CONTEMPORANEI
Segue la seconda lettera del signor
Fetis (a).
(Nel dare il seguito della terza lettera
del sig. Fétis sullo stato delle arti musicali
in Italia, e nell'avvertire ch’essa riguarda
specialmente i nostri compositori
viventi più conosciuti aggiugniamo che con
alcune poche note un nostro collaboratore
ha procurato di supplire alla imperfezione
dei rapidi e poco diligenti cenni dell’E. Prof,
di Bruxelles. Però ci riserbiamo di tener
discorso molto più di proposito intorno ai
diversi artisti, nominati ora. poco meno che
di sfuggita, allorachè nel continuare gli articoli
della storia del melodramma, avremmo
ad occuparci parzialmente delle varie
vicende del teatro lirico italiano nell’epoca
contemporanea e a dimostrare fin dove
sieno vere le accuse di povertà che ci vengono
date dagli stranieri, e a rendere la
dovuta giustizia al genio musicale della
nostra nazione).
Pochi grandi compositori drammatici ebbero
i natali nell’alta Italia dopo la fine del
xvn secolo; la Lombardia, il Veneto e fin
la Toscana non poterono vantare brillanti
produzioni melodrammatiche se non se dal
1590 fino verso al 1700(1). Venezia si distinse
specialmente per le Opere di Monteverde,
di Cavalli, di Rovita, di Cesti, di Sartorio,
di Ziani, di Legrenzi, di Pallavicino,
di Bassani, di Pollarolo, di Caldara, di Gasparini
e di Lotti. Nel XVIII secolo non si
annovera altr’uomo di ingegno superiore
in questo genere tranne Galuppi (2). In questo
medesimo secolo Firenze potè vantare
Cherubini, il più profondo e svariato nello
stile tra tutti i musicanti dell’epoca nostra,
e Parma fu patria di Paer, destinato a mio
giudizio ad occupare nell’arte un posto più
luminoso di quello che gli fa dato e che
probabilmente sariasi meritato se più seria
fosse stata la sua esistenza. Milano non potè
menar vanto fino al presente di verun com-
(a) Vedi i numeri 2, 4 e 6 di questa Gazzetta Musicale.
(1) Questa proposizione è erronea ed apertamente contraddicente
colle citazioni dell’istesso Mons. Fétis. Anche
ne’ secoli XVIII e XIX l’alta Italia può vantare brillanti
Opere teatrali applaudite dovunque; e molte ne hanno
composte gli stessi autori di cui Mons. Fétis parla nelle sue
lettere, fra i quali al presente emerge Donizetti, illustrazione
ora mai europea.
(2) Oltre il celebre Galuppi, soprannominato il Buranello,
nel secolo XVIII lo stato Veneto ha prodotto Ferdinando
Bertoni, Cazzaniga, Nasolini, Salieri ecc.
positore illustrato dalla scena (1), e il suo Conservatorio
non corrispose alle speranze che
aveva fatte concepire sotto questo speciale
aspetto (2). Per questa città non è dunque da
aversi in conto il tempo passato; le rimane
l’avvenire. Fra i giovani compositori usciti
nei passati anni dal suo Conservatorio è
distinto il Mazzucato, il quale dopo un
viaggio a Parigi, fece ritorno alla sua patria
ove al presente è professore di canto
per le fanciulle nell’I. R. Conservatorio.
Già da due anni questo giovine artista fece le
prime sue prove sul teatro Carcano, indi alla
Scala, l’Esmeralda, nei Corsarj ed altre
Opere (3). Dei motivi non sufficientemente
sviluppati, ma pur tessuti di idee abbastanza
felici; delle formole del giorno, una stromentazione
clamorosa e uno scrivere negletto;
ecco quanto osservasi nelle prime produzioni
di un ingegno non ancora maturo,
e che difficilmente si addurrà al suo pieno
sviluppo, se il signor Mazzucato non esce
dal recinto di Milano. Egli ha bisogno di
vedere, di studiare, di perdere certe abitudini
di forme e di sistemi che al presente
sono il maggior ostacolo che si opponga
allo sviluppamento dell'indivualismo
de’ giovani compositori.
I signori Speranza di Parma, e Mabellini
di Pistoja sono anch’essi de’ giovani
scrittori melodrammatici nativi dell’alta Italia,
i quali fecero le prime lor prove negli
or passati anni, ma del cui ingegno mal
si saprebbe proferire un imparziale giudizio.
Il primo che compì i suoi studii a Parma
si fece chiaro coi Due Figaro, Opera composta
pel Teatro di Torino e con buon
esito rappresentata l’autunno dell’anno
1839. L'Aretino scritto pel teatro Carignano
nella città stessa ebbe meno prospera
fortuna, e d’allora in poi molte cadute
a Lucca e a Firenze hanno compromessa
la carriera del signor Speranza (4). Il
signor Mabellini fece i suoi primi studii
(1) Questa dura taccia apposta alla nostra città è purtroppo abbastanza fondata. Milano manca assolutamente
di compositori drammatici resisi celebri anche presso le
straniere nazioni. Nella nostra deficienza sotto un tale
riguardo giovi in parte il nominare Vignati, Lampugnani,
Monza, Bigatti, Brambilla, Marliani; si noti però che le
Opere di quest’ultimo, in ispecie il Bravo, l’Ildegonda
e la Xacarilla di recente sono state applaudite in varj
teatri di Francia, di Germania e d’Italia.
(2) Fra gli allievi del nostro Conservatorio si distinse
Soliva l’autore della Testa di bronzo, quindi Schira,
Pugni, ecc.
(3) L’udinese Mazzucato non intraprese i suoi studj
nel Conservatorio milanese, ed egli fino dal 1834 diede
a Padova la Fidanzata di Lammermoor, a cui tenne
dietro il Don Chisciotte al teatro della Canobbiana,
l’Esmeralda a Mantova, i Corsari alla Scala ed i due
Sorgenti al Re.
(4) Il maestro Speranza dopo l'Aretino non ha fatto
altra caduta che nello scorso carnevale a Lucca col Postiglione
di Lanjoumeau. musicali a Firenze. Alcuni ricchi abitanti
di questa città concorsero a somministrare
la somma necessaria a dargli i mezzi di recarsi
a compire la sua educazione presso
p Mercadante a Novara. Rolla, la prima sua
Operai fu rappresentata a Torino nel mese
di Novembre del 1840. e il pubblico la accolse con favore, benché vi trovasse molto più imitazione dello stile del suo maestro che non vera originalità. Una nuova Opera
di sua composizione dovea rappresentarsi
nella città stessa lo scorso autunno; ma non essendo io passato da Torino al mio ritorno, non so quale sorte ottenesse (1). Ho anche
udito parlare di un’signor Verdi, nativo dello stato di Parma, il quale fece rappresentare
a Milano nell'autunno del 1839 un
Oberto Conte di san Bonifacio, il cui
buon successo offriva delle speranze che poi svanirono senza ch’ei desse altri saggi del
suo talento (2).
Il Torrigiani di Parma è dotato di una
felice organizzazione sopra tutti gli altri giovani compositori che da due o tre anni
si esperimentarono sulla scena, ed è forse
quegli die offre migliori speranze. Proveniente
da una famiglia agiata, ei non esercitò
finora il suo ingegno che in qualità
di dilettante. Prime sue produzioni furono
delle sinfonie e delle cantate, e perla prima
volta ei si produceva sulla scena allorachè
10 giunsi a Napoli. La sua Opera intitolata
Ulrico di Oxford venne rappresentata al
teatro del Fondo l'11 Agosto del 1841.
Il suo successo non fu clamoroso, ma si
trovano nel suo lavoro dei tratti che indicano
un concepimento più forte di quello
di che dieder prova molti giovani musicanti
i cui saggi furono d’assai più felici. La cattiva
fortuna di Ulrico di Oxford vuolsi
particolarmente attribuire ai cantanti, i quali
molto male lo interpretarono. Pareva un
impegno preso a chi faceva peggio; poiché
l’orchestra e i cori gareggiavano cogli attori
a manomettere la musica: la messa in
iscena. gli abiti e le decorazioni erano degne
dell’esecuzione. Parma è notevole al
presente pe’ molti compositori drammatici
che diede all’Italia, poiché non solo Speranza
e Torrigiani si annoverano come nativi
di questa città, ma ed anco i giovani
maestri Luigi Finali, Luigi Savi (3) e Gualtiero
Sanelli; nulla io conosco delle loro
Opere.
Sono questi i nomi de’ compositori di
musica che colpirono il mio orecchio prima
del mio arrivo a Napoli. A Venezia nulla;
mi venne trovato (4), nè fui punto più felice
a Firenze ed a Roma. Non debbo però tacere
di alcuni giovani usciti dal Liceo
Musicale di Bologna, sebbene nessuno di
essi offra prova di eletto ingegno. Il più
anziano tra costoro è il maestro Nini, il
quale, dopo aver vissuti parecchi anni in
Russia, scrisse al suo ritorno in Italia Ida
della Torre per un teatro di second’ordine
a Venezia. Accolto con favore su questa
scena di poco conto, ei cadde alla Scala di
Milano. Molte Opere fece succedere il Nini
a questo primo saggio, tra le altre la Marescialla
d'Amore, la qual gode di qualche
(1) In fatto ivi fu rappresentata colpitolo di Ginevra
degli Alimìeri e non piacque
(2) Nel 1840 Verdi compose per la Scala Un giorno
di regno senza corrispondere all’aspettativa che di lui
si avea. Ora sta provando nell’istesso teatro il Nabucco
nel quale, a giudizio di taluno, è manifesto aver il Verdi
fatto de’ progressi.
(3) Morì al principio del corrente anno, e a parer nostro non era a confondersi col Sanelli e col Finali.
(4) Se l'eruditissimo signor Fétis si fosse dato premura di assumere le necessarie informazioni a Venezia
avrebbe potuto conoscere Ferrari, che già diede ripetute
prove del suo ingegno, e Buzzolla.
Opere, neppur un aria, neppur un pezzo qualunque abbia sopravvissuto e varcati i confini di Napoli per recare altrove il nome dell’autore! Gli altri compositori napoletani appartenenti all epoca attuale de quali mi rimaneva a parlare, lutti dal più al meno attendono in giornata a produrre delle Opere. A capo di essi, seguendo l’ordine di anzianità, si annovera il signor Aspa nato a Messina nel i 1800. e il quale, se non mi sbaglio, fu educato alle lezioni di Zingarelli. Dell" età di quarantanni passati non vuoisi più classificare tra i giovani artisti, e di qualsivoglia; guisa lo si giudichi. debbesi considerare come già maturo il suo ingegno, e non si! può dire ch’ei dia o non dia delle spe! ranze. Prima che lo stile alla moda avesse trovati tanfi imitatori, la maniera del signor Aspa aveva già preso un carattere più analogo allo stile rossiniano, il quale sembrami aver egli conservato fino al presente. Nelle cose sue da me udite mi parve scorgere un buon sentimento della scena, del! acume nella disposizione degli effetti, un armonia regolare e un buon sistema di stronrentazione; ma poche idee e molte re: miniscenze.il Proscritto, ultima sua Opera rappresentata al teatro Nuovo pochi giorni prima del mio arrivo a Napoli, e che fu ben accolta dal pubblico, è tale partizione che ai soli napoletani può piacere a cagione di una parte buffa scritta nel dialetto dell’ultima classe del popolo di Napoli, e contiene molte belle cose nel vero stile buffo italiano, molto differente da quello dell’Opèra-comique francese. Sgraziatamente quello spartito contiene delle rimembranze delXInganno felice e dell’Italiana in Algeri. Al pari di Raimondi il sig. Aspa ebbe una penna molto feconda, non dirò già lo stesso della fantasia. Il signor Salvatore Sarmiento, altro compositore siciliano, nato nelle vicinanze di Palermo nel 1816, e quindi molto pili giovine del sig. Aspa, fece i suoi studii nel Conservatorio di Napoli e fu allievo di Zingarelli. tutto quel più che si poteva esserlo di quel maestro negli ultimi suoi giorni. Esordì nella sua carriera coll’Opera Paleria, ossia la Cieca rappresentata al teatro San Carlo il 51 marzo 1858. Vi si notarono alcuni graziosi pezzi; ma Alfonso cTArragona, che il signor Sarmiento fece rappresentare alcuni mesi dopo. sembrò molto più debole c non ebbe vermi esito. Nell’agosto del d8-41 fece rappresentare Rolla al teatro del Fondo: quest’Opera produsse poco effetto e non dà diritto all’autore di essere considerato tra coloro dai quali si possa sperare qualche cosa perla rigenerazione futura dell’Opera italiana. Da alcuni anni in qua il Conservatorio di Napoli vide uscire dal suo ricinto molti allievi i quali si slanciarono sulla carriera drammatica. Il più degno tra essi è il signor Lillo, che esordi coll’Opera Odda di Rernauer rappresentata al teatro di San Carlo il 22~febbraio 1837. Abbenchè si notasse di inesperienza questa prima partizione del giovine maestro, si applaudirono nondimeno diversi buoni pezzi i quali procacciarongli una scrittura per Venezia ove scrisse un’Opera, di cui non ricordo il titolo, e che si produsse nella stagione medesima nella quale Mercadante diede il suo Ri avo 0). ì Non essendo felicemente riuscita la sua t Opera, il signor Lillo tornò a Napoli ove t diede il Conte di Clialais, nel mese d’Ot- g (4) Leggasi Due Illustri Rivali. U pe) tobre 1859 mese di se Cristina ri 40 Queste Op f fecero stili valente fra la sua mec Tuttavol ji di origina vedute, e i buon gusti ji che non ir dire che qi i rara nelle j lista ìtaliai blico. Molt osservare c non si an attenzione compresa. ricevere do cere o di < spirito d: musica già nuov sen fazione organi; qr se qualche prendere 1 mare in p sione sarà ] da che de produzioni non dopo non faccia maggior p fare sforzi e nuovo c matica; e: dover sod hanno an volersi cii Non vi ha cessano c genio sov Sini, geni pre degli modeslam dominanti ziali mod colte (t). 1 a dir giù: Francia, ii proprio s cune dell costituisci di ingegn Dopo i si risconi bevo del ciarda, r; di Giugn il signor diverse 0 I (4) Consei dedotte, a flessioni. So denza del p; analisi nel gi fosse fatta q di intelligen per imporn piaciuto chi sconfortare tare novelli connate e © (2) Anche troppo assol molta parte lo stile di eadante: e rcgj| colla manie (1) A noi sembra che Sogner dovrebbe posporsi al dotto Raimondi, da taluno tenuto siccome il più valente contrappuntista d’Italia. Per non dir d:altro, il suo Ventaglio non solo a Napoli quasi ogni anno si riproduce con festa di quel pubblico, ma venne eziandio rappresentato in altre città. tobre 1859, poi l'Osteria di Andujar nel mese di settembre del 1840, e per ultimo Cristina dì Svezia il 21 gennajo 1841. Queste Opere ottennero buon successo e fecero stimare il loro autore come il più valente fra i giovani artisti che percorrono la sua medesima carriera. Tuttavolta a me sembra sieno mancanti di originalità le sue composizioni da me vedute, e nelle cui bellezze ravvisi più di buon gusto e di intelligente disposizione che non invenzione. Tutt1 al più dobbiam dire che questa benedetta invenzione tanto rara nelle arti non è punto eccitata nell'artista italiano dalla! inclinazione] del pubblico. Molte volte mi fu data occasione di osservare che a Milano, a Roma e a Napoli non si ama prestare alla musica la seria attenzione che esige ogni novità per essere compresa. Gli italiani allorachè si recano ad udire una musica ci vanno preparati a ricevere delle impressioni passionate di piacere o di disgusto, non mai a far uso dello spirito d’analisi. Le cose clic in fatto di musica già conoscono, piacciono ad essi di più di quelle che sono per essi interamente nuove, e ciò per la ragione che non han bisogno di giudicarle. Una prima rappresentazione è una specie di crisi pei loro organi; questa crisi diventa quasi dolorosa se qualche novità di stile si presenta a sorprendere le loro orecchie, e si può affermare in prevenzione che la prima impressione sarà per essi sempre sfavorevole. Ecco da che deriva che il successo delle nuove produzioni non è confermato in Italia se non dopo ripetuti esperimenti. Adunque non facciamoci meraviglia se veggiamo la maggior parte de’ giovani compositori non fare sforzi di sorta per creare un migliore e nuovo ordine di cose nella musica drammatica^ essi non sono nella necessità di dover soddisfare ad un bisogno, ed anzi hanno argomento da temere de’ rovesci a volersi cimentare a sperimenti di novità. Non vi ha via di mezzo per essi; o è necessario che la natura li abbia dotati di un genio sovverchiante come quello di Rossini, genio che signoreggia e trionfa sempre degli ostacoli; o son costretti a seguire modestamente le vie già segnate e il gusto dominante, senza osar di tentare delle parziali modificazioni quasi sempre mal accolte (1). Il perchè in Italia non vi ha mai, a dir giusto, che un solo stile (2), laddove in Francia, in Germania ogni artista ha il suo proprio stile più o meno notevole per alcune delle mezzane prerogative che non costituiscono l’uomo di genio, ma si l’uomo di ingegno. Dopo i compositori da me or nominati, si riscontra il signor Selli, parimente allievo del Conservatorio, autore di una Ricciavda, rappresentata a San Carlo il mese di Giugno del 1839 senza buon effetto; il signor Siri autore di Reclinerò ed altre diverse Opere quasi tutte dimenticate non (1) Consentiamo in queste opinioni del signor Fétis, dedotte, a parer nostro, da savissime e giustissime riflessioni. Solo che in quanto ei disse riguardante la tendenza del pubblico italiano a non voler recare spirito di analisi nel giudizio delle novità musicali, avremmo amato fosse fatta qualche eccezione a favore di quella minoranza di intelligenti che però ne’ nostri teatri è troppo piccola por imporne alla grossa moltitudine. Di più ci sarebbe piaciuto che oltre questa causa, che mollo influisce a sconfortare i nostri giovani compositori dal farsi a tentare novelli modi di effetto], altre diverse ne avesse accennate e delle quali faremo, parola a luogo opportuno.
L’Est.
(2) Anche qui vorremmo fatta qualche eccezione a questa
gli troppo assoluta sentenza del signor Fétis, la quale è vera in
molta parte ma non in tuttoa nostro credere in pieno
lo stile di Donizetti è assai differente da quello di MerwtépM
tadante: e lo stile di Luigi Ricci non può confondersi
colla maniera di Coccia, di Vaccaj ecc.
appena prodotte; il sig. Rossi che scrisse Amelia ed altri spartiti de1 quali più non ricordo il titolo; il signor Praviller autore del Ballerino rappresentato al Fondo; in line altri nomi più o meno oscuri. Non devo dimenticare un certo signor Cohen, israelita, nativo di Napoli, che scrisse a Livorno e a Firenze con poco esito e che ho scontrato a Bologna occupato a preparare la rappresentazione ili un’Opera che doveasi cantare da madamigella Novello, Moriani e Coletti, lo scorso autunno. Egli recavasi soventi volte da Rossini, il quale parlandogli della sua Opera gli diceva sorridendo e guardando me di sott’occhio con una smorfia piccante: non dimenticate il pizzicato. Il gran maestro mi diede poi la spiegazione di questo motto informandomi che il sig. Cohen aveva accompagnate quasi tutte le melodie dello prime sue partizioni cogli stromenti a corde pizzicate. Sonovi a Napoli molti dilettanti i quali scrivono per istinto senza aver imparato la composizione e danno buoni saggi del loro ingegno, solo perchè dotati della felice organizzazione propria del napoletano nato per la musica. Fra costoro vuolsi citare il conte Gabrieli che scrisse la musica di molti Balli e di alcune Opere che più volte rappreseti tarmisi durante il mio soggiorno a Napoli, al teatro Nuovo e al teatro del Fondo. Citerò anche il marchese Staffa, d una delle primarie famiglie di Napoli, il quale fe" mostra sulle prime di volere dedicarsi con ardore al culto dell’arte, ma in questi ultimi tempi pare l abbia abbandonata per attendere agli affari pubblici. Sorto note le sue Opere la Francesca da Rimini rappresentata al San Carlo nel mese di marzo del 4851, e la Battaglia, ili Navarino che ebbero qualche successo. Anche alcuni stranieri scrivono di lauto in tanto pei teatri italiani. Trovasi a capo di essi il sig. Killer, valente scrittore musicale per forza di organizzazione e per educazione, che pur non ebbe buona fortuna a Milano. Segue il sig. Ottone Nicolai di Berlino, il quale dal 1853 iti poi fece molti viaggi in Italia e produsse alcune sue composizioni a Livorno e a Torino. Per ultimo si nomina uno spagnuolo. il signor Geuovez, il quale scrisse per il Fondo a Napoli Bianca di Belmonte nel 4835 ed un’altr’Opera a San Carlo nel 4840. In tutti i compositori or nominati io non credo che si trovi l’uomo predestinato a dare all’arte un più nobile indirizzò di quello sul quale ella procede al presente. Fin al dì d oggi l’esistenza di quest’uomo è ancora un mistero; ma io penso ch’ei non tarderà a manifestarsi, perocché un popolo il quale per molto tempo diede un gran numero d’artisti di primo ordine al resto del mondo non può essere stato colpito tutt’a un tratto da sterilità e da maledizione (1)!
Fétis padre
Direttore del Conservatorio di Bruxelles.
(1) Non possiamo convenire con quest’ultima asserzione.il
nomi ili Rossini, di Bellini, di Donizetti,
di Mercadante, le cui Opere risuonatto festeggiate in tutti
i teatri del mondo, ci assicurano che l’ingegno musicale
italiano può venire tacciato di tutl’allro ma certo non
di sterilità. Quanto alla maledizione di cui ci crede
colpiti il sig. Fétis. vogliamo per la più spiccia averla
in conto di una parola a grand’effetto gettata là per
chiudere lo scritto in modo, non sapremmo ben dire, se
sentimentale o ridicolo
Chiudiamo le nostre note, gettate là senza alcuna pretesa,
coll’enumerazione di molti compositori drammatici
italiani contemporanei, dal sig. Fétis dimenticati e clic pure
per moltissimi riguardi meritavano una speciale menzione.
- Coccia - Yaccaj - i due Ricci - Coppola - Mondanità
- Persiani - Gabussi - Marliani - Conti, ecc.
TEORICHE MUSICALI
DELL’ISTROMEONTAZIONE
ART. III (1).
Fra gli strumenti a cordo percosse il solo
pianoforte è in uso al presente. 11 pianoforte
considerato nel grado di perfezione
al quale lo han recato i fabbricatori d’oggidì
può essere riguardato sotto un doppio
punto di vista, cioè o come stromento
ti orchestra, o desso stesso come una piccola
orchestra completa. Una sola volta finora
fu trovato conveniente usarlo nell’orchestra
al modo medesimo degli altri stranienti,
vai a dire per recare all’insieme delle risorse
a lui speciali e clic altrimenti non
si potrebbero ottenere. E nondimeno alcuni
passi dei concerti di Beethoven avrebbero
dovuto por sull’avviso i compositori.
Senza dubbio essi tutti ammirarono il meraviglioso
effetto prodotto nel suo Gran
concerto in mi bemolle dalle batterie lente
delle due mani del piano con ottave negli
acuti, mentre si svolge il canto del
flauti e degli oboe e al dissotto i corni tengono
l’armonia ritmizzata dal pizzicato degli
stranienti ad arco. Cosi accompagnata
la sonorità del pianoforte è di un effetto
oltre ogni dire seducente, spira una calma
e una freschezza tutta sua propria e può
dirsi il tipo della grazia. 11 partito che se
ne cavò nel caso unico da me sopraccitato fu
al tutto diverso. L’autore in un coro di
spiriti aerei usò due pianoforti a quattro
mani per accompagnar le voci. Le mani
inferiori eseguiscono dal basso all’alto un
arpeggio rapido u tripole, al quale risponde
sulla seconda metà della battuta un altro
arpeggio a tre parti eseguito dall’alto al
basso da un flautino, un flauto grande e
un clarinetto, e al dissopra di questi freme
un doppio trillo in ottave delle due mani
superiori del piano. Veruno degli slromenti
noli varrebbe a produrre quella specie di
gorgogliare armonioso che il pianoforte può
dare senza difficoltà e che è reso perfettamente
adattato alla intenzione siliìdea del
pezzo. Se al contrario il pianoforte abbandoni
gli effetti dolci per voler gareggiare
di forza coll’orchestra, in tal caso è compiutamente
sagrifieato. E mestieri che od
egli accompagni o sia accompagnato, a meno
che noi si voglia adoperare, come l’arpa,
per masse. Questo modo di servirsi del pianoforte
nella stromentazione non sarebbe
a sdegnarsi. ma considerato lo spazio che
occupano, ci sarebbe sempre difficoltà non
poca a unire una dozzina di pianoforti pel
meno a un’orchestra sufficentemente numerosa.
Considerato come una piccola orchestra
indipendente, il pianoforte deve avere,
in certi limiti, un’istromejrtazione speciale.
Esso l’ha in fatto, e questa è arte
che spetta a quella del pianista. Tocca al
pianista in molte occasioni il giudicare se
debbe rendere spiccate certe parti mentre
le altre rimangono in una penombra, se
conviene marcare con forza un disegno intermedio,
segnando con leggerezza i ricami
superiori e lasciando ancor più deboli le
basse; tocca a lui giudicare dell’opportunità
di cambiar le dita o se convenga anche
a non servirsi, per questa o quella
melodia, che del pollice; egli che scrive
pel proprio stromento sa quando convenga
stringere o dilatare l’armonia, quali esser
debbano i vari gradi di dilatamento che
(1) Vedi il N. 5.e il N. 8 di questa Gazzetta Musicale. Testo in apiceaver ponno le note d un arpeggio e la diversa sonorità che ne risulta. E specialmente ei debbe sapere usare in buon punto i pedali. A questo proposito noi dobbiam dire che i principali compositori che scrissero pel piano non mancarono mai di segnare con diligenza e opportunità i passi ne’ quali è uopo alzare o abbassare il gran pedale. Epperò hanno gran torto que’ signori artisti, e ve n’ha molti de’più valenti, i quali si ostinano a non fare conto di quelle indicazioni e a tener quasi sempre alzati gli smorzatori, non punto riflettendo che in questo caso, delle armonie eterogenee denno per necessità prolungarsi le une sulle altre e produrre i più aspri disaccordi. Questo è un abuso deplorabile di un mezzo eccellente-, è il fracasso, è la confusione sostituita alla sonorità. E d’altra parte ella è la conseguenza naturale della insoffribile e incorreggibile tendenza degli artisti grandi e piccoli, cantanti e stromentisti, intelligenti e non intelligenti, a volere sempre sporgersi innanzi agli altri e far valere sopra tutto ciò che falsamente e’reputano essere loro convenienza personale. Nessuno o ben poco conto essi fanno dell’inalterabile rispetto che ogni esecutore deve al compositore e delfobnligo tacito ma assoluto che il primo assume versò l’uditore di trasmettergli intatto il pensiero del secondo, o sia ch’egli onori un autor mediocre servendogli da interprete, od abbia egli stesso l’onore di trasmettere l’immortai pensiero di un uomo di genio. E nell’uno e nell’altro caso l’esecutore, il qual si permette, obbedendo al suo momentaneo capriccio, di modificare le intenzioni del compositore, pensar dovrebbe sul serio che l’autore dell’opera precisa ch’egli eseguisce, probabilmente pose a più doppii maggior attenzione a determinar il posto e la durata di certi effetti, a indicare questo o quel movimento, a disegnare a quel dato modo la melodia e il ritmo, a scegliere que’ dati accordi e slromenti, che non egli l’esecutore ne metta a far il contrario. Non è mai abbastanza gridato contro codesta ingiusta prerogativa che troppo spesso si arrogano gli stromentisti, i cantanti,ei capi-orchestra. Una simile mania non solo è ridicola, ma grandemente dannosa come quella che addurrà nell’arte i più deplorevoli disordini. Debb’essere opera de’ compositori e de’critici l’intendere a non tollerarla mai più quindi innanzi. Un pedale che si usa molto meno di quello del forte, e dal quale Beethoven ed altri cavarono bellissimo partito, è il pedale unicorde; il quale non solo risulta di ottimo effetto messo in contrapposto col suono ordinario del pianoforte e colla sonorità pomposa che produce il gran pedale, ma è di una assoluta utilità per accompagnare il canto nel caso in cui la voce del cantante sia debole, o nell’altro anche più frequente in cui vogliasi dare alla esecuzione un carattere speciale di dolcezza e di intimità. Gli stromenti d’arco la cui unione forma ciò che molto impropriamente si chiama il quartetto. sono la base, l’elemento costitutivo dell’orchestra. È dovuta ad essi la maggior potenza espressiva ed una incontestabile varielà di timbri. I violini in ispecie si prestano a una varietà di mezze tinte in apparenza inconciliabili. Presi in massa hanno essi la forza, la leggerezza, la grazia, gli accenti cupi e giocondi, il tuono mesto e meditabondo e l’appassionato e veemente. Tutto sta nel saper farli parlare. A me sembra impossibile indicare in che modo il compositore possa ottener tanto effetto; è fuor di dubbio che una specie di particolare istinto vale solo a scorgerlo a ciò, nell’etto di scrivere. Ormai i violini sono atti ad eseguire tutto ciò che si vuole. Suonano essi sugli acutissimi quasi colla medesima facilità come sulle voci di mezzo; i passi di maggior agilità, le modulazioni più bizzarre non sono ostacoli per essi. Nella quantità, ciò che è onunesso dall’uno vien eseguito da un altro, e nel tutt’insieme il risullato ottenuto, senza che gli sbagli appariscano, è appunto la frase notata dal compositore. In oltre, i violini non si stancano punto, sicché non è duopo calcolare, come si pratica cogli stromenti da fiato, la durata d’una voce tenuta, nè offrir loro di tempo in tempo delle pause. I violini sono servi fedeli, intelligenti, attivi e instancabili. Penso olie molto più di (pianto si praticò fino al presente si potrebbe adoperare felicemente nei canti larghi la quarta corda ed alcune note alte della terza colf indicare con precisione fin dove queste corde debbano essere adoperate esclusivamente, senza di che gli esecutori non lascerebbero di cedere all’abitudine e alla facilità clic offre il passaggio da una corda all’altra per eseguir la frase al solito modo. Spesso accade che per dare ad un passo molta energia si raddoppia l’ottava de’violini primi colla ottava inferiore de’ secondi; ma, se il passo non è altissimo, è molto miglior partito raddoppiarlo all’unisono; nel qual caso è incomparabilmente più robusto e più bello l’effetto. 11 tuonante scoppio della perorazione del primo pezzo della sinfonia in do minore di Beethoven è dovuto ad un unisono di violini. In così fatte occasioni accade talfiata che, uniti all’unisono i violini, se vuoisi aumentarne la forza coll’aggiugnervi le viole nell’ottava sottoposta, questo raddoppiamento inferiore troppo debole a raffronto della disproporzione della parte superiore, produce un mormorio inutile pel quale, anziché accresciuta, è affievolita la vibrazione delle note acute de’ violini. Nel caso che la parte di viola non possa disegnarsi in modo spiccato, è miglior partito adoperarla a rinforzare il suono de’violoncelli, ponendo attenzione a farle andar insieme ( tutto quel più che è permesso dall’estensione dello stromento nelle voci basse) all’unisono e non per ottava. Le melodie tenere e lente, che al tempo nostro troppo spesso si affidano a stromenti da fiato, non producono mai sì buon effetto come allorachè sono eseguile dai violini in massa. Nulla v’ha che agguagli la dolcezza penetrante d’una ventina di cantini posti in vibrazione da venti archi ben esercitati. È la vera voce femmina dell’orchestra; una voce passionata e casta ad un tempo, straziante e soave che piange e grida e geme, e canta e mormora, o prorompe con accenti d’esultanza con tanta evidenza che certo non si potrebbe ottener la maggiore da altro qualsivoglia stromento. Un impercettibile movimento del braccio, un tratto d’espressione poco men che inavvertito da un solo violino, moltiplicati che sieno da molti unisono, producono delle tinte magnifiche, degli slanci irresistibili, degli accenti che penetrano fino al fondo del cuore. Sono poco usati ai nostri di gli arpeggi de’violini nelle orchestre. Gli arpeggi scritti nelle loro Opere da Gretry e da qualche suo contemporaneo mancano per verità di larghe intenzioni, ma perchè una cosa fu fatta male ei non è a dire che non si possa farla meglio. Anzi, tutl’al contrario vi ha degli arpeggi eleganti e nondimeno di agevole esecuzione, ì quali ponilo essere concertati in deliziosi accompagnamenti. I cosi detti suoni armonici, sconosciuti ai più rinomati esecutori, o poco meno, fino al tempo di Paganini, doveansi considerare come di uso impossibile nell istromentazione. Ma a questi dì son fatti cosi famigliari ai giovani nostri violinisti che nel medesimo pezzo in cui si trovano i suoni armonici di arpa, de’ quali si è parlato più in alto, l’autore di questo articolo non esitò, divisi avendo i violini in quattro parti, a dare delle note tenute armoniche ai tre violini inferiori, e l’esecuzione sortì perfettamente l’effetto proposto. Gli accordi, oltre la tenuità eccessiva del suono, tenuità resa anche maggiore dall’uso dei sordini, si presentano nei più alti acuti della scala musicale, là dove sarebbe appena possibile toccarli co’ suoni ordinarii. Nello scrivere queste parti di violino, è necessario di essere diligenti nel segnare con note di forma e grossezza differente, poste le une sopra le altre, la nota del dito sfioratile la corda e quelle del suono reale (allorché trattisi di ottenere la decimaquinta acuta di una corda vuota) e la noia del dito appoggiato, quella del dito sfiorante la corda, e quella del suono reale, negli allri casi, servendo così il primo dito di capotasto mobile. Egli è dunque necessario talvolta d’impiegar simultaneamente tre sedili per un solo suono; senza tale precauzione l’esecuzione non sarebbe che un inestricabile labirinto, nel quale l’autore istesso non saprebbe più riconoscersi. In generale i sordini si adoperano molto opportunamente in ispecie nei tempi lenti. Essi non sono di minor effetto, allorché l’indole del pezzo lo comporti, se anche si impieghino nei movimenti rapidi e leggeri o per accompagnamento a ritmo veloce. Gluck ne ha dato un bel saggio nel suo sublime monologo delVAlceste italiana: «Chi mi parla?...» Quando si adoperano è uso farli mettere da tutti gli stromenli da corda; però c’è de’ casi più frequenti di quanto si creda, in cui i sordiui posti ad una sola parte ( per esempio ai primi violini) danno un singolare colorito all’istromentazione colla mistura de’ suoni chiari e de’suoni velati. Ye n’ha altri poi ne’ quali il carattere della melodia è tanto dissomigliante da quello degli accompagnamenti che è d’uopo farne conto nell’uso de’ sordini. Anche il pizzicato è d’uso generale negli stromenti da arco. I suoni prodotti dal pizzicar delle corde danno degli accompagnamenti molto graditi a’ cantanti come quelli che non ne coprono la voce. Servono molto bene anche adoperati come effetti stromentali, insieme coi più vigorosi slanci dell’orchestra, sia nella total massa degli stromenti da corda, sia in alcune parti solamente. Se i pizzicati si adoperano in un forte è necessario, all’uopo di ottenere maggiore sonorità, non scriverli nè troppo alti, nè troppo bassi, per essere troppo esili e secche le voci acutissime e troppo sorde le più basse. Il solo pizzicalo fortissimo della corda più grossa del contrabasso è di ottimo effetto quando sia collocato bene. Prima dello scherzo della sinfonia in do minore di Beetbowen, nessuno erasi provato a scrivere delle frasi
SEGUE NEL SUPPLEMENTO.
Dall’I. R. Stabilimento Nazionale Privilegiato di Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale di GIOVANNI RICORDI.
Contrada degli Omenoni N. 1720.