Gazzetta Musicale di Milano, 1884/N. 42
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ANNO XXXIX. - N. 42. 19 OTTOBRE 1884 DIRETTORE GIULIO RICORDI REDATTORE SALVATORE FARINA SI PUBBLICA OGNI DOMENICA ★ Sommario: Alcune osservazioni intorno alla Lettera critica scritta da Benedetto Marcello sopra il Libro dei Madrigali di Antonio Lotti; Avv. Leonida Busi. — Giacomo Puccini: F. Fontana. — Una polemica a proposito di Marcello. — Alla rinfusa. — Corrispondenze: Torino, Firenze, Verona, Genova, Mantova, Parigi, Londra, Pietroburgo. — Teatri. — Sciarada.
- Illustrazioni: Giacomo Puccini, disegno di A. Baronchelli.
Alcune ofservaÿoni intorno alla Lettera critica SCRITTA DA BENEDETTO MARCELLO sopra il Libro dei Madrigali di ANTONIO LOTTI (Continuazione, vedi N. 41). o ben sapeva che il padre maestro G. B. Martini, con una operosità e con una costanza, che veramente ha del meraviglioso, si diè attorno per molti e molti anni, onde raccogliere codici manoscritti, libri, trattati ed altre opere a stampa di ogni maniera, attinenti però alla musica; e tante ne raccolse, e di sì gran pregio, che l’illustre Burney, allorquando fece il suo viaggio artistico in Italia, e si recò a visitare l’umile e dottissimo frate, se ne mostrò altamente ammirato e stupito. Eppure al Martini non era venuto fatto giammai di procurarsi alcun esemplare in istampa della desiderata Lettera. È bensì vero che un Antonio Tonelli di Carpi compilò una specie di compendio di codesta lettera, che volle dedicato, e mandò in autografo, al padre G. B. Martini; e lo compilò, trascrivendo da una parte i passi dell’opera di Lotti, che più specialmente erano stati fatti soggetto di critica, e dall’altra parte aggiungendo le modificazioni e le correzioni da Marcello proposte. Il compendio del Tonelli si chiude con questa curiosa annotazione: «a riguardo di valida intercessione a prò dell’autore impegnata qui il Critico fa punto. Ed il Copista (che era poi lo stesso Tonelli) spronato dallo ^elo verso il povero paciente vuol concludere and’esso criticando il critico in quest’ultima correzione, parendogli, che se l’avesse fatta alla maniera seguente (e qui espone in note musicali le modificazioni che intenderebbe di portare nella correzione già fatta da Marcello) avrebbe meglio espresso le parole, come anche dato meno fastidio all’autore per inserirla nella cantilena» (i). Ma tutto ciò non dimostra che Martini non possedeva ancora, nè a stampa, nè manoscritta, la Lettera critica di Marcello. Fu soltanto nel 1736, e così circa vent’anni dopo che quella Lettera era stata dettata, che finalmente egli potè riceverne un esemplare scritto a mano, cui il marchese Fulvio Rangoni da Modena gli fece tenere, accompagnandolo con quella lettera, che io pubblicai a pag. 36 del mio opuscoletto. Ora, se dopo sì gran tempo, e ad onta di tante e tante premurose ricerche, non era riuscito al Martini di procurarsi la Lettera del Marcello stampata, era (1) Biblioteca del Liceo Musicale; H, 46. questo, a mio avviso, un non lieve argomento per dubitare sempre più che di quella Lettera esistesse veramente una edizione tipografica. Aggiungerò per ultimo che il Gaspari, uno de’ più eruditi bibliografi musicali del nostro tempo, pazientissimo nelle ricerche, ed indefesso nello spoglio e nell’esame di quante opere e di quanti cataloghi gli venissero alle mani, suppose sempre, congetturò talvolta, ma non iscoperse, nè accertò giammai la esistenza di alcun esemplare della Lettera impressa a stampa. E per vero, tutte le schede della nostra biblioteca sono dovute all’accurata diligenza del Gaspari; io presi ad esame particolarmente quelle che si riferivano alla Lettera famigliare, sia sotto il nome di Marcello, sia sotto quello di Lotti; e trovai quanto appresso: nella scheda del Marcello, a mo’ d’esempio, il Gaspari, dopo aver riportata l’annotazione, con cui si chiude il manoscritto della Lettera (già inserita a pag. 3 5 della mia conferenza), così prosegue: «queste parole sono per chiusa del Ms, e da esso ancora apprendesi che se ne era incominciata la impressione; cosicché di questa Lettera potrebbe eziandio rinvenirsi qualche esemplare a. stampa» (1). Come si vede, egli accenna ad una possibilità; e nulla più. Egualmente nell’altra scheda, sotto il nome di Lotti, il Gaspari si esprime di questa guisa: «pare ancora che si fosse inoltrata la stampa; ma questa rimase interrotta, e si cercò di distruggere le copie dei fogli già impressi» (2). Egli suppone, dubita; ma non afferma. Finalmente il Gaspari aggiunse di propria mano molte note scritte al libro di Francesco Caffi intorno alla vita ed al comporre di Antonio Lotti, edito a Venezia l’anno 1835 nella tipografia Picotti; ed in una di codeste note, a pag. 29 dell’opuscolo, Gaspari, alludendo alla Lettera del Marcello contenente la critica sui Madrigali del Lotti, fa questa osservazione: «una copia di essa Lettera trovasi al Liceo...; ma È probabile che alcuni benché rarissimi esemplari se ne veggan impressi» (3). Dunque anche il Gaspari riteneva probabile la esistenza di qualche copia a stampa; ma neppur egli osava di dirsene certo e sicuro. Dopo tutte queste promesse qual’esser poteva la conseguenza, a cui logicamente io era condotto? Questa sola, che espressi già nel mio opuscolo, e cioè: «par dunque certo che di codesta Lettera fosse intrapresa una edizione per le stampe.» Non mi era lecito dire dippiù; giacché ninna copia a stampa era caduta sotto i miei occhi; nè da alcun biografo aveva potuto raccogliere dati od elementi bastevoli per affermarne in modo positivo l’esistenza. Mi si dirà; ma perchè, dopo veduto il libro del Chilesotti, in cui egli ha posta la Lettera di Marcello fra quelle opere appunto, che di lui si avevano alle stampe, e non fra le manoscritte ed inedite, perchè mai non aggiungeste una nota al vostro opuscoletto, per dare almeno un cenno di ciò? Rispondo: prima di tutto, le parole stesse del Chilesotti, e cioè: «si crede che sia del Marcello la Lettera famigliare, ecc.,» mi fecero l’effetto come se egli si (1) Biblioteca del Liceo Musicale; H, 46. (2) Biblioteca del Liceo Musicale; H, 34. (3) Biblioteca del Liceo- Musicale; MM, 100. 379 esprimesse in senso piuttosto dubitativo nel dare codesta notizia (i). Aggiungo, che, ad accrescere la mia dubbiezza, concorse pur l’altra circostanza di vedere non indicato l’anno della stampa, ed il nome del tipografo che ne avrebbe fatta la impressione. Sta bene, che dal tipografo nella edizione, come talvolta accade, sarebbesi potuto omettere e la data. e il luogo della stampa. Ma in tali casi è costume del bibliografo di citare almeno od il formato del libro od il numero delle pagine, e via dicendo. Ed un esempio ne ha pur dato lo stesso Chilesotti, quando nel suo articolo del 3 agosto 1884, descrivendo la Lettera a stampa da lui per la prima volta veduta, ha detto consistere essa in «un libretto in 8° di ~pag. 68, senga il frontispizio, senz’anno, senza luogo, e senza nome di editore.» Ma codeste indicazioni non erano, nè potevano essere, nel suo libro. Quindi, dimando io, come si potrebbe appormi ad errore o a colpa, se nel marzo 1883 io ignorava ciò, che il dott. Chilesotti ha scoperto e pubblicato soltanto nell’agosto dell’84? In qual modo poteva io conoscere le notizie a lui date intorno alla Lettera stampata di Marcello, dall’abate prof. Canal, mentre lo stesso Chilesotti nel suo volume non ne aveva fatto, per quanto ricordo, neppure un lontanissimo cenno? Dunque, se il non essermi stata nota la esistenza d’un esemplare a stampa della Lettera di Marcello può costituire in me un difetto, parmi che dopo le ragioni esposte, si tratti di un difetto molto scusabile. Del resto, non tutto il male viene per nuocere. Se io non manifestava in proposito qualche dubbio nel mio libretto, il dott. Chilesotti forse neppur per ora sarebbesi recato a Crespano; e così una rarità storica e bibliografica sarebbe rimasta anche per alcun tempo ignota al mondo musicale. Il Chilesotti l’ha vista, l’ha descritta; meglio cosi: io sono il primo ad esserne lieto ed a rallegrarmene con lui. Desidero la verità, da qualunque parte essa mi venga. IL Fin qui ho scritto per dar ragione del metodo che seguii, e dei risultati che ebbi, nelle mie ricerche intorno alla Lettera famigliare di Marcello. Adesso è mestieri che io mi difenda, non dirò da accuse, e nè manco da censure, che m’abbia rivolto il Chilesotti, ma piuttosto da certe dimande categoriche ed imperative, con cui gli è piaciuto, direi quasi, di investirmi. È naturale, che, dopo di avere, per così esprimermi, rivendicata a Marcello la paternità della Lettera, io mi trovassi come in debito di manifestare un giudizio qualsiasi intorno al valore delle osservazioni critiche in essa contenute. E fu allora che dissi e stampai: «forse le censure possono sembrare talvolta un po’ rigorose ed austere; ma pero in sostanza sono sempre giuste, fondate, assennatissime.» A tal punto sorge il Chilesotti, e mi dirige, anzi, per dir meglio, mi avventa contro quest’interrogazione: «chi gliePha detto, dimando io, signor avvocato, se ella dichiara fin dalle prime pagine del suo libro che non se ne intende di musica?» Un po’ di pazienza, egregio dott. Chilesotti; e le farò sapere e chi me lo ha detto, e come, e quando. Però mi è indispensabile far cenno di un salutare ammaestramento che ebbi a ricavare dai miei studi di critica e di letteratura musicale. Sarà forse una storia un po’ lunghetta; ma non meno utile ed istruttiva. Giova sapere che io stava raccogliendo notizie intorno ai musicisti bolognesi de’ passati tempi; e precisamente ero intento a ricercare intorno a Giovanni Spataro, che fiorì sul cader del secolo XV, e che viene considerato, ed a buon diritto, come il fondatore della scuola musicale bolognese. Egli fu scolaro dello spagnuolo Ramis de Pareja, il quale pubblicò per le stampe a Bologna nell’anno 1482 un libro intitolato: de Musica tractatus, ecc.; a proposito del qual libro insorse contesa fra Antonio Burei di Parma e lo stesso Giovanni Spataro. Mi prese talento di conoscere qual fosse il giudizio che F. G. Fétis aveva portato intorno al modo tenuto dallo Spataro, che prese a difendere il suo maestro dalle critiche del Burei, ed intorno al valore delle osservazioni esposte nel suo libro a quest’uopo pubbliblicato nel 1491 (2); e nell’opera del Fétis lessi ciò che segue: (1) E mi confermai nell’opinione, che egli pure non ne fosse ben certo, leggendo nella biografia di Antonio Lotti dettata dal Chilesotti (pag. 75 del suo libro) a proposito della raccolta dei duetti, terzetti, madrigali, ecc., queste precise parole: «fu aspramente censurata da scrittore anonimo, che si suppone fosse il Marcello.» (2) M. Johannis Sfadari in Musica Immillimi Professons ejusdem Musices, ac Bartolomei Rami Pareja ejus Preceptoris honesta defensio: In Nicolai Burtii Parmensis Ofusculum. Impresso ne l’alma et inclita città dì Bologna per mi Plato de Benedecti... ann. MCCCCLXXXXI adì XVI de mazo. «La publication du livre de Ramis intilulé: de Musica tractatus, sive Musica practica (Bologna 1482, in-4.0) avait donné naissance au virulent pamphlet dirigé contre Vauteur par Burei. Spataro crut devoir prendre la défense de son maître; il le fit avec autant DE FORCE LOGIQUE, QUE DE MODERATION, dans Vécrit intitulé t AD REVEREND ISSIMUM IN CRISTO PATREM A. D. D AnTONIUM GaLEAZ de Bontivolis» (1). Non basta; ma lo stesso Fétis, sempre nell’articolo biografico relativo allo Spataro, soggiunge: «si V on considère tout fois Z’instruction solide qui brille dans les ouvrages de Spataro, non-seulement en ce qui concerne la musique, mais dans les mathématiques, la philosophie, et la langue latine, il est permis de révoquer en doute ce fait, peut-être inventé par la haine, ecc.,» (2). Dunque, accettando le asserzioni del Fétis, io avrei dovuto persuadermi per lo meno di due cose; e cioè che Spataro aveva difeso il proprio maestro con tutta moderazione; e che dal suo libro, dettato a tale scopo, emergeva una istruzione soda anche nella lingua latina. Desiderai di consultare le Memorie storiche del Gaspari; e trovai, che, oppunto discorrendo della polemica insorta fra il Burei e lò Spataro a proposito del libro di Ramis, cosi si esprimeva: «... e litigio davvero debbe dirsi non erudita disputa questa fatta di scritti riboccanti di rabbia, di veleno e delle più plateali insolenze. Eppure il Fétis (prosegue Gaspari) in tuono assoluto asserisce che Spataro nella sovraccennata opera difese il suo maestro con altrettanto di forza logica che di moderazione. Di questa decantata moderazione sieno un saggio i brani che qui trascrivo a manifesta prova della leggerezza di si rinomato biografo nell’affettare di conoscere il contenuto d’un libro ch’ei per certo non lesse e probabilmente non vide giammai, tanto ne è eccessiva la rarit’a (3). E Gaspari aveva ragione. Non voglio riprodurre interi tutti i brani da lui citati; ma a porgere un esempio della moderazione di Spataro, tanto ammirata dal Fétis, basteranno queste apostrofi, che lo Spataro rivolgeva al Burei: «s’ei non fusse quel tuo pago capo signato de la chierica; o mostro de ignorantia, ardirei più che non ardisco senza esser uinto da passione come tu... il mio Pareja e uanto et honore della patria sua; et tu sei uituperio e dishonor della tua... e non ti ricorda quanto al mio doctissimo maestro mostrasti certe tue compositioni composte cum tanta ignorantia: che tu non concordavi il contra cum il soprano...» A’quali brani, addotti già da Gaspari, voglio aggiungere solo questo che io trassi dalla correctio secunda; ove lo Spataro dice al Barei: «cupido dectratore delle laude di colui che la tua invidia occultare non potr’a mai certo, in questo usi parole conveniente alla tua lingua; la quale spierò castigar ai udendo che solo fruta infamia alla tua ignorantia, e non l’altrui fama minuisse» (4). Certo non può essere codesta una maniera così temperata di dire che meriti encomio. E se, non di meno, il Fétis ebbe a darne lode allo Spataro, convien davvero persuadersi che egli o non ne lesse, o non ne vide il libro. E per dimostrarlo ancor più, basti ricordare l’elogio che Fétis tributa allo Spataro, per la istruzione ch’egli aveva nella lingua latina. Anche su questo proposito giudiziosamente osserva il Gaspari: «ma, con buona pace del signor Fétis, nulla sapeva di latino lo Spataro, e male ancora scriveva nella natia favella: onde bisogna ben dire che il dotto biografo suddetto non abbia visto pur uno de* trattati editi da Spataro, stesi tutti in volgare rozzissimo e scorrettissimo.» Lo Spataro fu davvero, come lo appellò (sebbene gli fosse avversario) Franchino Gaffurio, vir in musicis acutissimus; ma di lettere sapea poco; pochissimo, ed anzi nulla, di lingua latina. Lo dà a conoscere egli stesso in una sua lettera delli 8 aprile 1523, ove dice: «finita che sia questa quadragesima io sarò con uno frate de sancto Angustino multo dodo; per far riducere lopera de la sesqualtera in latino» (5). (Continua) Avv. Leonida Busi. (1) Biografò. Univers., Tom. Vili pag. 76, (2) Biografò. Univers., loc. cit. (5) Prof. G. Gaspari: Ricerche, documenti e Memorie risguardanti la storia dell’arte musicale in Bologna. — Bologna, Reg. Tip., 1867, pag. 12, 13. (4) M. Johannis Spadari, op. cit. pag. 3 retro. (5) Biblioteca del Liceo Musicale; B, 107. — Ms. tratto da un Codice Vaticano contenente lettere di musicisti dei secoli XV, XVI. Vol. Ili, pag. 254. 380 — GIACOMO PUCCINI iacomo Puccini, il giovanissimo maestro lucchese, autore delle Villi, ha 172 anni; dico centosettantadue; poiché egli non è, infatti, che il fiore novello d’un ceppo di musicisti piantato a Lucca nel 1712. Per tessere la sua biografia convien dunque riassumere quelle di cinque generazioni di maestri, lui compreso; ed ecco il riassunto: Giacomo Puccini. Nasce a Lucca nel 1712; studia a Bologna; nel 1739 è nominato maestro della Repubblica Lucchese. Scrisse egregiamente nel genere ecclesiastico e drammatico; di lui restano moltissime composizioni, notevoli fra le quali un Domine a 4 voci pieno, ed un Te Deum a 4 voci istrumentato. Ma il suo raro talento di compositore è specialmente tenuto vivo da un celebre Mottetto a 8 voci a grande orchestra che soleva eseguirsi nella festa della Santa Croce, per la quale ricorrenza il Puccini scrisse le musiche dal 1740 al 1780. Il bisavolo omonimo del giovane vegliardo autore delle Villi morì in Lucca nel 1781, lasciando un figlio: Antonio. Antonio Puccini. Nato nel 1747; studia nella città natale col padre e con Matteo Lucchesi, poi si reca a Bologna dal Carretti, che era già stato maestro di suo padre (siamo in pieno trionfo di longevità, come vedete; che stoffe quei vecchi maestri!) Tornato a Lucca, fatto maestro della Serenissima Repubblica, vi morì nel 1832 (quasi novantenne!), lasciando una grande quantità di composizioni: Salmi, Inni, Mottetti a 2, 3, 4, 8 voci, e un figlio: Domenico. Domenico Puccini. Nato nel 1771. Anch’egli studia dapprima a Lucca, poi va a perfezionarsi a Bologna e a Napoli. In lui comincia /ri.,... r. (Disegno di A. a spiccare maggiormente la tendenza alla musica drammatica. Infatti se di lui restano molte composizioni sacre bellissime, restano anche cinque melodrammi rappresentati con molto plauso a quell’epoca: Quinto Fabio, il Ciarlatano, l’Ortolanella, le Freccio d’amore e la Capricciosa. E, certo, molto maggior copia di opere avrebbe lasciato, se la morte non lo avesse colto nel 1815 a soli 44 anni, quando dava le più belle speranze di carriera luminosa. Lasciò un figlio: Michele. Michele Puccini. Questi è il padre del Giacomo nostro. Nacque nel 1812, e, rimasto orfano a 3 anni, ebbe cura di lui l’avolo Antonio. Anch’egli studiò a Bologna e a Napoli, poi tornò a Lucca e fu maestro e direttore dell’Istituto musicale del Municipio. Compositore dotato di moltissimo gusto e. di fantasia, egli scrisse gran numero di opere sacre e profane. Notevoli fra esse sono: i Responsori a 4 voci con strumenti, alcuni Miserere e un Benedictus (ch’egli scrisse in un suo casino di campagna, detto A Celle, dove non aveva istrumento alcuno), e due Messe, due vere gemme, una in sol e l’altra in do. Questo per il sacro; quanto al profano restano di lui gran parte d’un melodramma, Antonio Foscarini, ed un’azione drammatica intitolata: Cattaui 0 la rivoluzione degli stracz doni, che ebbe ottimo successo. Ma,. carico di famiglia, egli dovette pur troppo trascurare l’estro per l’insegnamento; assidua e ingrata fatica che gli logorò la salute. — Michele Puccini morì il 23 gennaio 1864; a lui furono resi pubblici onori, l’intera città partecipò al lutto dei suoi cari e il Municipio fissò un soccorso Baronchelli). annuo alla vedova che rimaneva sola con sei figli quasi tutti in tenera età. Fra questi, e dei più piccini, c’era Giacomo. Giacomo Puccini. Nato nel 1858; impara la musica, si può dire, succhiando il latte, e la studia senza accorgersene, venendo su in mezzo a una nidiata di belle sorelle e di un fratello minore, tutti pestatoti assidui di pianoforte. La sua casa è come una gran cassa armonica; v’è una specie di saturazione di note musicali nell’aria; tutto vi è pregno di musica. — Ma, mentre la nidiata pesta sul pianoforte e spillucchera diesis e bemolle, gli strumenti funzionano terribilmente, i calzoncini e le gonnelline e le scarpette si consumano con una prestezza prodigiosa e spaventosa. La madre coraggiosa lotta eroicamente; ma gli anni passano e i bisogni della nidiata crescono colle stature degli individui che la compongono; oltre alle vesti e alla bucolica convien pensare all’educazione, cibo dell’anima che costa più di quello del corpo. • Allora vengono in soccorso della brava madre alcuni parenti; e chi prende a proteggere un figliuolo e chi un altro. Il giovinetto Giacomo, per esempio, dà prova d’avere proprio un ingegno spiccato per la musica, ed eccoti il signor Agostino Cerù, un prozio che fa per lui, niente affatto ricco lui stesso, quanto farebbe un padre. Ma il brav’uomo a un certo punto non ha più risorse bastevoli; finché si -tratta di far studiare a Lucca il giovinetto egli vi riesce, ma adesso è giunta l’epoca di mandarlo in qualche istituto di levatura — al Conservatorio di Milano, per esempio. Cerca, chiedi, domanda. Sua Maestà la Regina concede una pensione di 1200 lire per un anno affinchè il giovinetto Giacomo se ne venga a studiare a Milano; e la concede per un anno soltanto per la semplice ragione che l’onesta famiglia, nella sua discrezione, non gliela chiede per un lasso maggiore di tempo. Il giovinetto viene a Milano a studiar composizione al Conservatorio sotto Amilcare Ponchielli; i progressi sono rapidi, ma il tempo è rapido del pari, sicché l’anno è finito, e con esso la pensione, e per diventare maestro ei vorrebbe ancora un anno di studi. Siamo daccapo, coll’aggravante che non si osa più ricorrere all’aiuto sovrano. Ma l’ottimo prozio fece uno sforzo supremo e Giacomo toccò la meta con un saggio brillantissimo, una Sinfonia-Capriccio che ottenne un grande successo, e non l’ottenne soltanto per generosità d amici e di compagni di scuola al concerto annuo di prova qui a Milano, ma anche altrove, come a Torino, dove la Sinfonici venne poi eseguita dall’Orchestra milanese dinnanzi al pubblico vero. Intanto fra le due esecuzioni della Sinfonia il giovane maestro aveva fatto un bel passo. Uscito dal Conservatorio colla patente morale e materiale di maestro, significa non finire, ma cominciare, e cominciare, cioè, una lotta terribile per ottenere la patente da quel vasto conservatorio che è il mondo. — Giacomo Puccini si trovò povero, con una forte vocazione di compositore, ma colla prospettiva di dovere rinunziare all’arte per darsi preda a quel mostro che si chiama insegnamento, pena la fame. — Tuttavia non si perdè di coraggio. La casa Sonzogno aveva aperto un concorso per un’operetta ed egli volle tentare. Era l’agosto dell’anno scorso; una bella mattina io mi ero recato a Lecco dal romitaggio ghislanzoniano di Caprino; tornando, alla stazione di Lecco, m’imbattei nella colonia artistico-estiva di Maggianico che rincasava: Ponchielli, Dominiceti, Saladino ed altri egregi, fra essi c’era Puccini. Ci conoscevamo poco, ma una grande corrente di simpatia era corsa fra noi in quelle poche occasioni che ei era accaduto d’incontrarci. Saliti nell’istesso vagone con Ponchielli, questi mi parlò delle intenzioni del suo scolaro per il concorso Sonzogno, e mi propose di fargli il libretto. Li per li, colla memoria viva della Sinfonia-Capriccio, mi parve che per il giovane maestro ei volesse un argomento fantastico e gli sciorinai il canevaccio delle Villi. Accettò. Il libretto fu compiuto per i primi di settembre e lo spartito presentito all’ultimo momento. Il maestro aveva dovuto presentarlo senza poterlo copiare, come si dice, in bella; la Commissione... Ma non è qui il caso di raccontare per la centomilesima volta quello che si sa da tutti, tanto più che, volere o volare, non solo il concorso giovò all’arte musicale in tutto quel possibile giovamento di cui possono essere capaci tali istituzioni, ma superò di gran lunga ogni desiderio destando un vero interesse nel pubblico, rivelando, invece di due soli, parecchi nomi di maestri. Ciò che è mio debito notare qui si è che allorché si trattò di far rappresentare le Villi al teatro Dal Verme, al Puccini, ignoto allora, non vennero meno gli appoggi morali, e, quel che più monta, materiali. Arrigo Boito e Marco Sala aprirono al giovane gli orecchi, il cuore e la borsa; e a loro si unirono nell’opera, diremo cosi, filoarmonicoantropica, Giulio Litta, Emilio Treves e altri parecchi, ai quali il maestro serba e serberà gratitudine vivissima. Le Villi piacquero, piacquero assai; l’editore Ricordi ne ha acquistata la proprietà dando commissione d’un’altra opera al Puccini; la Scala riconfermerà, speriamo, il verdetto del teatro Dal Verme; insomma, in capo alla via spinosa dei suoi studi, il giovane maestro raccoglie ora qualche consolazione, non funestata che dalla perdita recente dell’amatissima sua madre. E v’è a credere che il Puccini manterrà le promesse fatte nelle Villi. Il suo passato è quello degli artisti veri; il suo successo del pari; la sua indole come uomo anche. Poiché egli è allegro e appassionato, di carattere cordiale e dolce, ma sodo e sensato; mangia con ottimo appetito, con un appetito rossiniano, è sano, grande qualità questa in un artista, poiché gli artisti, come dice Ghislanzoni, «devono avere i canali larghi.» Giacomo Puccini è un bel giovane, dai modi garbati, ma ama la vita semplice e ha una certa ripugnanza a frequentare i cosidetti salotti. Pensa molto prima di comporre, ma ha delle idee generali ben delineate, ha delle aspirazioni fisse, qualità di capitale importanza nei musicisti, i quali avendo a che fare coll’arte più vaga com’è quella dei suoni, debbono essere positivi assai circa il sapere che cosa intendono di fare a rischio di veder sfumare il proprio ingegno come una bolla di sapone. Allorché ha ben pensato quel che deve fare, il Puccini lavora senza interruzioni, batte il ferro quand’è caldo, e da ciò quella fluidità che è uno dei meriti della sua musica. Ma a me non spetta fargli degli elogi; essi potrebbero recargli, anzi, nocumento, poiché il pubblico, e a ragione, va molto guardingo circa i cosidetti taglierini fatti in casa. A lui tocca; ma è permesso credere che sarà giusto nel suo verdetto della Scala; certo sarà una giustizia meritata da uno dei più intelligenti e cari giovani che io ho avuto la consolazione di incontrare nel mondo. ★ Un altro violoncellista, destinato ad alta fama. È il neerlandese Giuseppe Hollmann, di Maestricht. Rimpatriato testé da un giro artistico nelle principali città della Scozia, porta seco oro ed alloro. Il Dundee Advertiser, parlando dell’Hollmann, dice che è un violoncellista senza rivali, d’eletto sentimento musicale, fascinatore, esecutore perfetto. Egli si recherà presto a Brusselle. ★ In un’agenzia musicale di Londra sono registrati nientemeno che 225 tenori. Non si può dire che le ugole faccian difetto — nel mondo teatrale... inglese! ★ A Wiesbaden s’è scoperto un altro fenomeno di tenore, nella persona di certo Carlo Weyter — dottore di leggi — il quale, dando l’addio a Temi, si è messo ai servigi di Euterpe. Anzi, il signor Weyter farà quanto prima la sua comparsa sul palcoscenico del Teatro Ducale, di quella città, nelle spoglie di Raul ^Ugonotti). In Italia, il giovane signor Peri Severo, licenziato in belle lettere, all’Accademia Scientifico-Letteraria di Milano, ha esordito come primo tenore nella Lucia di Lammermoor. Ugula e dottrina: questo è progresso davvero. ★ Certo Frendenberg, maestro tedesco, ha scritto libretto e musica di una nuova opera dal titolo Marin Faliero. ~k Un maestro polacco, Zelensky, reputatissimo, ha scritto anch’esso un’opera nuova: Corrado di Wallenrode, che verrà rappresentata al teatro di Lamberg. L’argomento è fratello di latte a quello scelto dal Ponchielli co’ suoi Lituani.
- Il Ménestrel, ottimo e addottrinato collega nostro, parigino,
pubblica, settimanalmente, uno studio interessantissimo sul grande compositore francese Méhul, dovuto alla brillante penna di Arturo Pougin. ★ Virtù delle virgole. In un giornale di provincia — inglese — si è pubblicato il seguente avviso: «Italian Pianoforte Harmony» taught in a particular ladies3school. Vale a dire che, per omissione delle necessarie virgole, in quella scuola particolare di signore, si insegna l’armonia italiana del pianoforte. Un curioso bisticcio. ★ Uno dei soliti calcolatori, stimando il costo del Tempio di Salomone, è venuto a questa scoperta: che le trombe ammontavano ad un valore di 5,000,000 di franchi — e gli altri■ strumenti musicali ad 1,000,000. Conosciamo dei Wagneristi che pensano con invidia a quello... sproposito. ★ A Voghera, quanto prima, si costrurrà un nuovo Politeama. Una società di giovani cittadini provvede per proprio conto alla costruzione. Abbiamo delle città grandi che provvedono alla... distruzione de’ loro teatri. ★ Nel prossimo mese, il Parsifal di Wagner verrà eseguito, in forma di cantata ed in lingua tedesca, all’Albert Hall di Londra. Interpreti principali: signorina Malten, e signori Gudehns e Reichmann. ★ Il pianista austriaco, Roberto Fischof, è stato nominato professore ad una delle classi superiori di pianoforte al Conservatorio di Vienna. ★ Il grande arpista, Felice Godefroid, darà, nel prossimo novembre, ad Amiens e Namur, il suo dramma lirico La figlia di Saul. La signorina Harkness, giovane e valente violinista americana, premiata nel 1881 al Conservatorio di Parigi, va facendo, da alcuni mesi, un giro artistico in Germania, sotto il pseudonimo di Arma Senkrah. La settimana scorsa, dunque, la signorina Senkrah ha ottenuto gran successo a Baden, Strasburgo, ed a Colmar. ★ Il 25.0 anniversario artistico di Cristina Nilsson — la celebre diva svedese — va a cadere col prossimo mese. Apparve sulle scene la prima volta, in Isvezia, nel 1859 — ed a Parigi, nel 1864. Ora, fa il giro del mondo — applauditissima. Ottava figlia di una famiglia di poveri operai svedesi, fanciulletta ancora veniva mandata per le strade a suonare il violino ne’ giorni di festa campestri. Ora è una prima donna. -— Scherzi di fortuna. ★ Domenica, 19 ottobre, alle ore 2 zf, il Corpo di Musica Municipale eseguirà, ai Giardini Pubblici, i seguenti pezzi: 1. Marcia: Tempi felici Guarneri 2. Sinfonia del? Opera II Guarany ♦... Gomes 3. Valzer: Dan^a di giovani signori Gung’l 4. Ballabile delle ore nell’Opera La Gioconda Ponchielli $. Mazurka: Biografia Rossari 6. Baccanale nell’Opera Filemone e Bauci Gounod 7. Polka: La Goriziana Bosig 382 — Mentre il Guglielmo Teli si alterna col Mefistofele (in cui è sempre l’idolo del Canta nel di voce si un elogio sincero la sua infaticabilità — dote preziosa e rara ormai. Guglielmo Teli, canta nel Poliuto, canterà nella Dejanice, nè il timbro risente dalla fatica. Inutile dire che Faccio... è sempre lui! Una polemica a proposito di Marcello nel N. 34 di di chi bassadirmi Bastano Veneto, io ottobre 1884. TORINO, 15 Settembre. FIRENZE, 15 Ottobre. un soggetto che tentò già le inspirazioni di paL’orchestra Romana ha chiuso mente incominciato coll’orchestra retto tutti esso nato getto la morte di Giulio Cesare: recchi maestri. Un Don Pasquale al Niccolini che invita a parlarne — Altre piccole baie di circostanza per il Pagliano, per la Pergola e per lo stesso Niccolini. Concerti dell’orchestra Parmense e Romana all’Esposizione — Demolizioni. Tamagno e la Bellincioni al Regio — La Dejanice di Catalani. Suo dev. ser. D.r Oscar Chilesotti. il ciclo dei concerti sinfonici; ciclo splendidaMilanese. Fra poco quel vasto salone sarà muto, ^^^’egregio nostro collaboratore, dott. Chilesotti, ei invia la letf^^ltera che più sotto pubblichiamo. Se dobbiamo dire tutto l’animo nostro, ei pare che da una parte e dall’altra siasi data soverchia importanza ad una quistione di semplice apprezzamento e di una importanza, in merito all’arte, molto relativa. In ogni modo abbiamo aperto le nostre colonne alla polemica insorta a proposito della lettera di Marcello, persuasi che i due argomentatori finiranno per intendersi. Egregio signor Direttore, La prego vivamente di voler inserire nella Gazzetta Musicale il brano qui sotto di una corrispondenza da Bologna al Tempo di Venezia (N. 247, Anno XXV, giovedì 9 ottobre 1884): «E già che parliamo di musica, vi annuncio che il signor dott. Oscar Chilesotti si è permesso di criticare, nella Gazzetta Musicale di Milano, un pocolino più del prudente, il libro dell’avv. Leonardo Busi su Benedetto Marcello, libro altamente lodato dalla stampa italiana e dai maggiori competenti in materia, che nell’esimio giureconsulto ed oratore, han pur riconosciuto il vero ingegno, la vera coltura del musicista. «Il signor dott. Chilesotti, di qua, ha trovato ciò che forse non cercava e di cui avrebbe certo fatto a meno. — Ha trovato prontissimo il Busi a dedicargli un po’ del suo tempo prezioso e sullo stesso giornale comparirà una rispostina per intero documentata e quindi forse affatto soddisfacente pel dott. Chilesotti... Vedremo se, dopo ciò, si sentirà la voglia di criticare ancora la risposta del professor Busi, che intanto da criticato diventa... lascio dirlo al signor Chilesotti stesso.» Queste parole sgarbate non giungono ad offendermi: io trattai questo giornale sulla Lettera Critica di Marcello contro il Lotti per ver dire, Non per odio d’altrui, nè per disprezzo. E non sentendomi offeso, desidero vederle pubblicate a disdoro mente insulta sotto il velo dell’anonimo. Ringraziandola della sua cortesia, colla massima stima mi pregio ei due concerti dell’orchestra Parmense nel gran salone dell’Esposizione, poco mi resta a dire. — Mi riporto a quanto si legge nel numero antecedente della Gazzetta. Anche Parma ha corrisposto alla comune aspettazione, ed anche per Parma risuonò il vasto ambiente degli applausi entusiastici di quanti amano queste grandiose manifestazioni dell’arte italiana. Cleofonte Campanini, giovane maestro, può essere lieto del successo che gli sarà certamente di sprone a proseguire negli studi seri, elevati, nei quali stampò già orme quasi sicure. Non minore successo ottenne l’orchestra di Roma, diretta da quel benemerito e dotto cultore delle scienze musicali che è il Pinelli. Meno rumorosa, meno numerosa, meno abbagliante forse nelle esecuzioni dell’orchestra di Parma, l’orchestra di Roma rivelò una compattezza di assieme,‘una solidità, una profondità di studi davvero consolanti, e tali da far perdonare certe scelte nei programmi meno addatte e felici. Questi programmi sono ormai conosciuti. Mi limito a constatare gli applausi con cui fu salutato il Falchi Stanislao autore di una Ouverture sinfonica sul sogperfettamente muto... anzi non sarà più! Il piccone inesorabile del demolitore rovescierà quell’ambiente chetante reminiscenze desta... rovescierà quelle immagini dei sommi che dalla vòlta, lassù, parevano dominare il tempio dell’arte, ed applaudire alla fratellanza che, in nome del bello e del vero, congiunse e i nomi più disparati, e le età più remote, e i generi più diversi, e le regioni più lontane! È una desolazione, è una tristezza il pensiero di tale demolizione! Oh se si fosse pensato a far stabile tale edifizio! Come sarebbe stato bello, splendido, il concetto di un tempio ove ogni anno avessero potuto riprodursi queste feste artistiche che furono vanto di Torino e sono titolo di onore di quanti al successo di esse, hanno con amore, studio indefesso e con abnegazione contribuito I 3^# Al Regio si cammina di trionfo in trionfo. Dopo il Mefistofele, il Guglielmo Teli e il Poliuto. Non è davvero esagerato il dire che una stagione pari a questa, Torino non ebbe mai da molti anni, e per molti anni pur troppo non riavrà. La parte del protagonista nel Poliuto è, come saprete certo, affidata al Tamagno. Di questo artista davvero celebre, che voi conoscete e apprezzate tanto a Milano, vorrei dire quanto sento, quanto sento con ammirazione di concittadino, con afdi antico amico. Io che conobbi lui fin dalla prima gioventù, e ho seguito i suoi passi, vorrei poterne scrivere lunghe pagine, poiché parmi sia anche un esempio vivente del quanto valga il proverbio Volere è potere. Tamagno da, famiglia che se aveva l’istinto della musica non aveva al culto di essa aperta e facile la strada, sentì in sè il soffio dell’arte, amò, volle, studiò, progredì, raggiunse quell’apogeo che ormai pochi gli contrastano, a forza di perseveranza e di applicazione. Tutto in lui andò man mano crescendo, trasformandosi, perfezionandosi; voce, accento, colorito, passione, sentimento di posizione, abilità di esecuzione artistica. E ciò che è sommamente notevole in lui, è che lo sforzo e lo studio non appaiono. Egli è sempre il colosso franco, ardito, sicuro di sè, dei suoi mezzi, sotto le spoglie di Radamès, o sotto quella di Poliuto, nel Figliuol Prodigo e nel Re di Labore, nella Forza- del Destino e nel Trovatore, nell’Ebrea e nel Don Carlo, nel Ballo* in maschera e nel Guarany, nel Lohengrin e nel Guglielmo Teli. Enumero le sole opere nelle quali io l’ho sentito, e in cui ho ammirato la facile, spontanea versatilità e potenza de’suoi mezzi. Il pubblico di Torino era davvero ansioso di riudirlo: l’aspettazione era quasi febbrile, non diminuita nè disturbata neppure da certe diffidenze che pur essendo in massima buona fede, non rendono però meno vero il noto proverbio: Nemo propheta in patria. La vittoria fu campale, decisiva: il trionfo completo. Il pubblico tutto, unanime, entusiasta, ricolmò di vere ovazioni — e ricolma ogni sera — Tamagno. Lo udimmo io anni circa or sono — catecumeno dell’arte — fare il Nearco nella stessa opera: rimanemmo sbalorditi dalla limpidezza della sua voce, gli preconizzammo un avvenire di successi... oggi lo rivediamo sotto le spoglie di Poliuto e lo risalutiamo, entrato ormai trionfante nel tempio! Pagato il tributo meritato dal bravissimo artista, poco mi resta a dire degli altri esecutori dell’opera, non per deficienza di merito ma per ragione di spazio. Mancherei però al dovere ed alla verità se non dicessi che la Bellincioni divise col Tamagno e divide gli onori del trionfo. Questa artista è chiamata ad una carriera splendida — non è possibile dubitarne. Imparò in pochissime prove la sua parte e la eseguisce con sicurezza somma e con calore lodevolissimo. Essa ha il vantaggio preclaro di una voce eccezionalmente impastata, se non potentissima; di un sentimento corretto, squisito, alieno dalle esagerazioni. Merita poi pubblico la triade Pantaleoni-Synnerberg-De Bassini) si allestiscono alacremente le prove della Dejanice di Catalani. Tutto induce a far ritenere per questo studioso e appassionato cultore dell’arte musicale un successo. Ed io glie lo auguro non ultimo nell’ammirare chi con tanta competenza fa dell’arte divina l’ideale della sua vita. — C. VVIENE che, dopo l’astinenza, se non diventa più delicato il gusto, l’appetito cresce di certo. E noi qua che, per lungo tempo stemmo muti, contemplando il teatro, che per lungo silenzio parca fioco, appena ne abbiamo riudito qualche segno di vita, ei siamo corsi festivamente, come l’affamato che, sebbene avvezzo all’arrosto di quaglie, si butta volontieri ai fagiuoli. Non che di presente i nostri teatri siano coperti d’imbandigioni volgari, ma neppur rarissime: e la gente vi accorre e si diverte. Gran maestro il digiuno e gran pedagoga la parsimonia! Si contenti adunque la Gazzetta Musicale, compiacente com’è, e dell’arte amantissima, di dire, in mio nome, due paroline d’un Don Pasquale che al teatro Niccolini viene eseguito, con molta esattezza e con raro accordo ed equilibrio di voci, da una giovane schiera d’artisti che in tutti non riuniscono un secolo. Così è; questo vecchio Don Pasquale par tornato un ragazzetto di primo pelo; e colle sue attrattive chiama un pubblico scelto, numeroso ed intelligente ad applaudirlo da cima a fondo, e a chieder la replica di tre o quattro pezzi per sera: il duetto fra Malatesta e Don Pasquale; l’adagio del quartetto; la serenata del tenore; e il duetto d’amore che segue fra lui e Norina. Gli applausi poi cominciano dalla sinfonia e non smettono fino al calar del sipario. E bisogna, per la verità, confessare che l’esecuzione di questo grazioso e fine lavoro del maestro Donizetti è piena di colorito, di vita, di movimento e di fuoco sotto la guida intelligente del maestro Catalanotti, cui risponde l’abilità e il buon volere della sua orchestra. Questo, rispetto alla parte strumentale. Quanto poi ai cantanti tutti fanno a gara a ben meritarsi l’accoglienza festosa di un pubblico esilarato e soddisfatto. Eccone i nomi: signora Neyma, che ha una vocettina che pare un filo d’argento, chiara, facile, agilissima e franca: la modula bene, fa di bei passi, ma non vi spira dentro, per ora, quell’alito di fuoco sacro che viene dall’intimo: è giovanissima e lo acquisterà colla esperienza; signor Giordano, lepido e disinvolto, e che, sul fiore degli anni, rende con bastevole comicità il carattere del vecchio sdolcinato Don Pasquale; signor Buti, l’accorto dottor Malatesta, che ad una voce simpatica e flessibile, accoppia un canto or delicato ed ora svelto, e che si mostra padrone del suo organo e del palcoscenico; il signor Baldini, esordiente, che possiede una dolce voce di tenore di grazia, bei mezzi petti, bel centro e che si capisce iniziato ad una buona scuola. Un complesso insomma di giovani artisti che mettono il buon umore e l’allegria nel pubblico: e un Don Pasquale ringiovanito nella scorsa e nel midollo. E questa piccola ma valorosa falange di artisti sapete chi l’ha raccolta? Il nostro Galletti che ha odorato sì acuto in fatto di giovani promettenti per l’arte; il Galletti che ha saputo farsi precorrere da 383 Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1884.djvu/414 Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1884.djvu/415 Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1884.djvu/416