Giacinta/Parte seconda/X
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Parte seconda - IX | Parte seconda - XI | ► |
X.
Andrea Gerace camminava con lesti passi, sotto i rami degli alberi che ombreggiavano la viottola deserta. Quel cielo limpidissimo, filettato di nuvolette bianche, diafane, dagli orli color rosa; quel verde novello delle fronde che tremolava, a ogni alito d’aria, come preso da fremiti d’amore nell’onda d’oro che il sole vespertino spandeva dall’alto, pareva lo spronassero allegramente, quantunque egli fosse preoccupato.
In un momento di stupido abbandono — sì, sì, stupidissimo! — s’era lasciato sfuggire una mezza confidenza — neppure — delle parole vaghe, degli accenni lontani... Basta! Gessi, capito assai più ch’egli non avesse voluto, forse, aveva parlato. Altrimenti come spiegarsi i maliziosi mirallegro del Ratti ogni volta che lo incontrava, da una settimana in qua? Meritava degli schiaffi quell’imbecille!
— Ma perchè prendersela con gli altri? L’imbecille era stato lui che non aveva saputo frenarsi! Scoppiava col suo segreto in corpo?...
E per sfogarsi contro di qualcuno, sbatteva rabbiosamente la mazzettina sui cespugli e i rami degli alberi spenzolanti dai muriccioli.
— Bisognava raddoppiar le cautele, per sviare i curiosi. Quel posticino fuori le mura parevagli al sicuro d’ogni sorpresa. Giacinta arrivava da una parte, lui dall’altra e quei due vecchietti, marito e moglie, erano interessati a non tradirli... Però, però... non convien fidarsi. Diraderemo gli appuntamenti...
Si era messo a sedere sulla spalletta del ponticello, fumando, lasciandosi invadere dalla pace silenziosa della campagna, con gli occhi fissi alla viottolina di faccia. Credeva di aver anticipato di mezz’ora. E zuffolava, dondolando le gambe, battendo i talloni, guardando qualche volta a sinistra, verso la città mezzo arrampicata sulla collina, colle guglie dei campanili e le cupole, che si intravedevano a traverso il folto fogliame, di là dei merli delle mura.
Era già rassicurato. Quel solitario posticino così incastrato fra le collinette, gli pareva proprio in capo al mondo.
— Le cinque! Giacinta tardava... Come mai?
Si sentì colpire al cappello e alle spalle da due pallottole d’erba lanciate di dietro alla siepe.
— Ah!... Dovevo immaginarlo!
E aperto il vecchio cancello di legno, si trovò faccia a faccia con Giacinta che gentilmente lo garriva:
— Non ha fretta il signore! Si riposa!
A braccetto, s’inoltrarono lungo la siepe di cinta.
— Siamo di già, ai sospetti, eh?
Giacinta lo canzonava, leggermente, braveggiando contro quel pericolo che lo impauriva.
— Non scherzare, — rispose Andrea! — La cosa può diventare grave, gravissima.
— In che maniera?
— Non lo so. È una voce del cuore. Sono superstizioso; credo al cuore ad occhi chiusi.
— Intanto esso non ti ha ancora detto...!
E fermatasi, lo guardava con le pupille scintillanti di gioia, un po’ arrossita, sorridendogli sotto il naso con una smorfiettina bambinesca.
I polli, razzolanti sul mucchio del concime, scapparono, starnazzando, chiocciando, tosto ch’essi volsero a destra, fra le due strisce di lino in fiore che parevano due grandi pezze di velluto verde, con ricami d’argento, sciorinate sul prato.
— Che avrebbe dovuto dirmi il cuore? — insisteva Andrea.
— Nulla!... Nulla!... Com’è bello qui!
Il lino ondeggiava al soffio del venticello che faceva stormire le fronde dei gelsi intorno: i festoni di vite con le foglioline novelle, si dondolavano, da un albero all’altro. In fondo, dietro la collinetta mezza nascosta fra gli ulivi, il camino quadrangolare d’una fabbrica di mattoni, di cui si vedeva soltanto il tetto annerito, mandava fuori leggere ondate di fumo che disperdevansi subito.
— Non mi vuoi bene quanto dovresti; — riprese a dire Giacinta.
— Perchè?
— Sera fa, perdesti al gioco... Non negarlo...
— Un’inezia...
— E, piuttosto che a me, hai ricorso al Merli per pagare il tuo debito... Cattivo!
— In questo tu non devi entrarci.
— Voglio entrarci anzi! Esigo, sopra tutte, questa prova d’amore. Ma se l’ho detto! Mi tratti da amante, ecco. Sei cattivo.
— Non giocherò più!
— Benissimo! Per farmi dispetto!...
Gli si staccò dal braccio, imbizzita, e si mise a camminare innanzi, sola. Andrea, raggiuntala con un salto, la prese per la vita.
— No, no... Lasciami!
Si dibatteva stizzosamente, per svincolarsi, per evitare che egli la baciucchiasse sulla nuca.
— Lasciami!... Mi fai il solletico...
— Non andare in collera, via!
— Sta’ fermo!... Sta’ fermo!...
Ma intanto gli s’abbandonava sul petto, con la testa indietro broncia broncia, vinta da un languore dolce:
— Sai, Andrea? Quel mio sospetto... sai? Non mi stringere così; mi fai male! io lo credo già una certezza...
— Oh!
Voleva baciarla, ma ella era scappata. Andrea le corse dietro. Presi da matta allegria, si inseguivano, ridendo e battendo le mani, come due ragazzi. E la vecchia contadina, che stava seduta sopra un corbello rovesciato davanti alla porta della casa rustica, aguzzava gli occhietti maliziosi verso quel diavolino di signora che non si lasciava chiappare.