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Giacinta/Parte prima/IV

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IV

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IV.

Per la signora Marulli fu un gran colpo.

Stette più d’una settimana a divorarsi internamente con un’improvvisa tenerezza materna che aveva l’amarezza d’un rimorso. Quando suo marito cercò di Beppe, gli rispose soltanto:

— L’ho mandato via; mangiava il pane a tradimento.

— Lo predicavo da un pezzo! — disse il signor Paolo, approvando.

In quei giorni la signora Marulli era stata tutta della sua bambina. Non l’aveva sgridata, non le aveva fatto neppur sospettare che le fosse accaduto qualcosa di male; e se l’era tenuta accosto, accarezzandola, secondandone i capricci, scendendo in giardino con lei quando voleva giocare a palla, o a saltar la corda, o lanciare il cerchio. Ma la bambina, non abituata alla presenza della mamma, stava con ritegno e, nel suo interno, rimpiangeva Beppe, quantunque fosse stato così cattivo con lei. La sua mamma infatti, per quanto si sforzasse di parer buona, affettuosa, condiscendente, aveva un’aria troppo severa. Il dispetto dell’accaduto le dava un che di duro nella voce e nei modi, come se quella figliolina ci avesse avuto colpa lei.

— Infine, non poteva tenersela attorno da mattina a sera!... Non ci mancava altro!

E così Giacinta, nell’autunno, fu messa in un istituto femminile.

— Avrei dovuto pensarci prima!

La signora Marulli non cessava di rimproverarselo. [p. 44 modifica]

Lontana da casa sua, in un’altra città, fra tanti visi nuovi di ragazze grandi e piccine, Giacinta si sentì a disagio. Era vissuta sempre quasi sola, perchè la sua mamma non aveva voluto mai altre bambine per la casa, e quel chiacchiericcio, quelle risate argentine, quei dispettucci, quelle intimità di amiche che facevano lega contro le altre, le mettevano addosso malumore e dispetto, le impedivano di addomesticarsi con le compagne. Nelle ore di ricreazione, rimaneva in camera al suo posto; o si affacciava alla finestra accanto, per guardar fuori, lontano, verso quella collina piena di alberi, sparsa di casette bianche con le finestrine che parevan buchi nel muro.

— Ci si doveva star bene colà, all’ombra degli alberi, in mezzo all’erba dei campi, soli soli.

E una confusa visione della campagna e della cascina della balia le passava per la mente quando, piccina ancora, vagava pei prati sotto la sferza del sole e sotto la pioggia, e tornava tutta intrisa di mota alla cascina, coi capelli arruffati, pieni di sterpolini e di foglie secche e col vestitino in brandelli!

Dopo alcuni mesi però s’era affezionata a una bambina della sua età, che quasi evitata dalle compagne restava anche lei in disparte.

— Lo hai tu il babbo? — le domandava questa con una vocina di tristezza.

— Io sì; e anche la mamma.

— Io ho la sola mamma.

— E ti vuol bene?

— Oh, tanto! Viene a trovarmi tutti i giorni.

Giacinta la invidiava.

Invece, il suo babbo e la sua mamma venivano a [p. 45 modifica] vederla ogni sei mesi e la lasciavano in collegio anche durante le vacanze.

— Come è diventata grande!

— La malerba vien su presto!

L’esclamazione della mamma e il motto del babbo si ripetevano, ad ogni visita, colla stessa fredda intonazione dalla parte di lei, con la identica risatina sciocca dalla parte di lui. Poi, ogni volta, pareva che la sua mamma venisse lì apposta per sgridarla; non era mai contenta dello studio, della nettezza... di niente!

— Dio mio! Perchè la mamma non mi vuol bene?

E pensava di diventar cattiva, per meritarsi almeno quel trattamento!

Non era più una bambina; aveva già sedici anni. Le confidenze di qualche amica le avevano aperto un po’ gli occhi. La sua fanciullezza abbandonata le si aggravava sul cuore terribilmente, coi più vivi particolari, rimescolandola tutta. E quando le passava dinanzi agli occhi l’immagine di Beppe, con quel testone nero e quelle pupille nere che l’avevano tenuta così sottomessa, sentiva vibrare per tutto il corpo una sensazione strana, d’inesplicabile tenerezza verso quell’unico amico della sua infanzia che l’aveva tanto divertita e le aveva voluto un po’ di bene! E i baci di quelle labbra carnose le rifiorivano, caldi, per un istante, sulle gote insieme colle carezze delle ruvide mani di lui.

Così le si accresceva la smania di rivedere i luoghi dov’era trascorsa la sua fanciullezza, cari luoghi che dopo cinque anni di lontananza già prendevano nella sua immaginazione proporzioni grandiose, splendori abbaglianti.

Che altro le avrebbero rammentato quel ripostiglio, quegli alberi, quei viali, quel chiosco del [p. 46 modifica] giardino di cui le pareva di poter contare ancora sulle piante rampichine, i viticci spenzolanti e le foglie ad una ad una?

Ma l’assaliva lo sgomento:

— Ah!... La sua mamma non le voleva bene!

Pensando a questo, subito le si gonfiavano gli occhi di lagrime.

— Perchè non le voleva bene? Perchè?

E dal dispetto, sentiva seccarsi il pianto.

— Sarebbe arrivata a odiar la mamma?

E tremava.