Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. IV/Libro I/II

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Cap. II

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CAPITOLO SECONDO.

Viaggio infruttuoso de’ Portoghesi, e naturali

di Macao fatto al Giappone per ristabilirsi

nel commercio perduto nell’ultima

persecuzione de’ Cristiani.


P
Rocurarono i Cittadini di Macao ristabilir più volte la corrispondenza, e negozio co’ Giapponesi; però sempre in vano, mentre questi ostinatamente [p. 10 modifica]indurati si contentaron perdere più tosto le migliaja di scudi, che quei restavan dovendo, che amicarsegli di bel nuovo; poiche ha giurato per gli loro Dii di non ammettere più Cristiani nel lor paese, e venendovi trucidarli irremissibilmente. Per torre affatto la cagione d’introdursi Cristiani sotto il manto d’altre nazioni, furono consigliati dagli Olandesi (che vogliono esser soli nel guadagno) di porre nella porta dello sbarco un Crocifisso sul suolo, acciò che conoscasi se sotto abito mentito vi sia Cristiano; poiche questi ricuserà, o tituberà almeno nel calpestare il Crocifisso per entrare in Nangasache porto del Giappone. Così dunque gli Olandesi si stabilirono nel lor negozio coll’esclusione degli altri, facendo credere a’ Giapponesi, che eglino non fosser Cristiani; non avendo scrupolo per l’interesse del traffico di calpestare la Santa Immagine. Il che non vollero fare gl’Inglesi. Ed è tanto ciò vero, ch’io ho veduto, e parlato nella Cina con un Cinese, che mi disse averlo calpestato; e fattosi Cristiano in Nankin li accusò di simile empietà.

Fece però l’ultimo tentativo la Città di Macao, non ha molti anni: esponendosi alcuni suoi Cittadini con [p. 11 modifica]intrepidezza a morire, o a guadagnare colla forza del beneficio gl’indurati cuori Giapponesi, persuasi, che Iddio avesse disposto per un’accidente di far di nuovo inalberar la Croce in quel vasto Impero; ed il caso si fù, che naufragò a Febbr. 1685. correndo tempesta una funè, o barca Giapponese, ch’andava per l’Isole carica di tabacco, dando a traverso nelle vicinanze di Macao, senza pericolare nessuno delli 12. Giapponesi, che la governavano. Fece dunque la Città sovvenir coloro, e vendere la barca, e mercatanzia per dar loro il ritratto. Avuto poi fra lor consiglio, stimarono tutti ciò ottima congiuntura per tentare il ristabilimento in quell’Isole: del cui parere furono anche i Padri della Compagnia.

Noleggiarono per tal’effetto tanto la Città, quanto i PP. Gesuiti un vascello a spese loro; sopra di cui imbarcati i Giapponesi, fecesi vela 13. di Giugno di detto anno per Nangasache: e giunsero a 2. di Luglio di notte in quel porto; ed all’istessa ora venne un Mandarino a bordo del vascello (che si nomava S. Paolo) con un Drogheman, o Interprete, e quattro Scrivani; uno de’ quali era mandato dal Governadore dell’armi, il [p. 12 modifica]secondo da quello del politico, il terzo dalla Città, ed il quarto dal Giudice della Religione, per iscrivere separatamente gl’interrogatorj, che faceva l’Interprete; in lingua Portoghese, e le risposte, che davano gli stessi Portoghesi, acciocché non vi fusse inganno. Si pose il Drogheman inginocchioni avanti il Mandarino. Nè stimo io, che mal la diligenza di prudente, e scaltro Giudice potesse far tante interrogazioni fiscali, per far cadere il reo a confessare il delitto, quante ne facea il Mandarino per far confessare a’ Portoghesi la notizia dell’antico divieto, che vi era sotto pena della vita di non aver ad approdar legni Cristiani nell’Impero dei Giappone, ed approdandoci si avesse a praticare il gastigo dovuto. Ma costoro conoscendo il disegno del Mandarino, non caddero nella trappola, rispondendo giudiziosamente alle tante domande, sempre negando la scienza della proibizione. In fatti furono i Portoghesi domandati del tempo del naufragio della barca; in che quartiero videro in Macao li 12. Giapponesi; se colà, o nel vascello praticassero con Cristiani; e che cosa desiderava da loro la Città di Macao; se nel vascello vi erano [p. 13 modifica]vecchi, che si ricordassero dell’avvenuto co’ Cristiani, e’ Giapponesi; ed altre cose, che per brevità si tralasciano; spendendosi molte ore in simili domande sì dal Mandarino, come da’ quattro Scrivani, che separatamente le scrissero, per riportarle a’ loro Superiori. Preso in fine il numero della gente, e la misura del vascello, partissi il Mandarino con tutti coloro, che conduceva seco.

Ubbidiscono con piggior condizione degli schiavi i Giapponesi plebei a’ Nobili, ed a’ Mandarini; perciòche non ardiscono loro di parlare, che genuflessi con la faccia a terra, portando le mani giunte alla fronte, e slargandole verso il Mandarino in segno di riverenza; il che praticava ad ogni risposta del Capitan del vascello il Drogheman. E quando un Mandarino s’imbarcasse in un legno, dove fussero mille persone, non si udirà una parola, tutto oprandosi per segni: e comanda il Piloto con una carta, o ventaglio in mano, segnando a destra, o a sinistra per regolarsi il Timoniere.

Si partì il giorno seguente in un Palankin il Mandarino per Amiaco a dar contezza all’Imperadore dell’arrivo del [p. 14 modifica]vascello Portoghese; ed in tanto si mandavano dalla Città i rinfreschi con molta cortesia, facendo lor sapere, che dimandassero pure tutto ciò, che facea loro bisogno, che ne sarebbono provveduti; e benche i Portoghesi non si spiegassero, nondimeno da sè i Giapponesi mandavano quanto loro abbisognava.

Era di dì, e di notte circondato, e guardato il vascello da 10. funè, le quali son barche del paese, fornite di gente da guerra: ed invigilavano, acciòche niuno de’ Portoghesi mettesse piede in terra: ed insieme accioche non si facesse gitto di cosa alcuna in mare; poichè un giorno, che scappò un’Anitra, furono più funè in busca della medesima per più ore: e presa, portaronla legata al Governadore, che la rimandò, incaricando loro, che stessero con vigilanza a non farsi fuggire animale alcuno; volendo, che in presenza de’ Soldati ancora si gittassero le immondezze al Mare.

Il dì seguente dell’arrivo de’ Portoghesi vennero gli Olandesi in una barchetta a bordo del vascello, giudicando che fusse nave di loro nazione; e veduto ch’era Portoghese, ed inteso il motivo della venuta, se ne ritornarono, dicendo, che [p. 15 modifica]in quel paesce era necessario parlar la verità.

Non è la fattoria di Nangasacche in quella libertà, che altrove è il commercio degli Olandesi; nè in questo porto è sì autorevole, come in altre parti; poichè capitandovi vascelli, subito viene un Mandarino ad annoverar le persone, e riportar in terra le vele, e’l timone. Quando vi muore alcuno, si deve riconoscersi il cadavere per lo Mandarino prima di sepellirlo. In maniera che essendo sei anni sono mancati due marinari, che posero piede in terra, giudicossi, essere stati due Padri della Compagnia di Giesù, che in tal modo si aprissero il passo a quei Regni; ma costò molto denajo per occultare cotal fuga, corrompendo il Mandarino con fare apparire due tumoli di morti; di modo che oggidì nelle navi del Giappone non ricevono gli Olandesi alcun forestiero, ma i soli naturali d’Olanda, con giustificazione della contrada, del Padre, e della Madre. Nè gli Olandesi tengono comunicazione colla Città, ma se ne stanno nella loro fattoria, posta in uno scoglio serrato di mura, che tiene due porte: una dalla parte del porto, per imbarcare le mercatanzie, la [p. 16 modifica]quale si serra con cinque suggelli, partiti i vascelli, per non aprirsi a pena della vita; l’altra, che comunica colla Città, guardata di continuo; non permettendosi il commercio co’ Giapponesi, se non se una volta l’anno, che danno il passaporto alla persona destinata per passare in Amiaco a visitar l’Imperadore in nome della Compagnia.

Dopo 35. giorni ritornò dalla Corte il Mandarino; essendosi indugiato quivi per la distanza di 120. miglia, che vi hà da Nangasacche. Tanto egli, quanto altri Mandarini scrivani, ed interpreti, vennero a bordo del vascello Portoghese; e dissimulando l’andata in Amiaco, ferono a sapere al Capitan di quello, che l’Imperadore, e suo Consiglio non aveva contezza del loro arrivo; ma che comunicatosi al Segretario di stato, colui si caricò di tal’affare, per non potersi parlare al Re. Che perciò eglino potevano andarsene via; imponendo loro, che non ritornassero per innanzi all’Isole per qualsisia cagione; mentre per allora perdonavano loro, e davano la vita in ricompensa del beneficio, che aveano fatto a’ loro Cittadini: i quali condussero in Nangasacche senza sapersi se [p. 17 modifica]l’avessero fatto morire. Dopo questa rigorosa proibitione, dimandò il Capitan Portoghese per mezzo dell’Interprete, se mai di nuovo naufragasse altra barca di Giapponesi nel lor paese, che dovrebber eglino fare: alla qual domanda non mai fu data risposta.

Dopo lessero l’ordine dell’Imperadore, che riceverono per lettera del Segretario: ed ogni volta che si ripeteva il nome dell’Imperadore, i Mandarini si ponevano in ginocchione. In fine assignato loro il tempo alla partenza, dissero, che avvertissero ciò che faceva lor di bisogno per provvedersi; avvisando loro ancora, che se per disgrazia convenisse costretti da tempesta ritornare in dietro, venissero in Nangasacche: e che si guardassero di andar in altra parte, perche correrebber pericolo nella persona. Ritirandosi i Mandarini, ferono da più funè, e barche rimorchiare il vascello fuor del porto della Città un tiro di cannone, dove stiedero un mese e mezzo, attendendo la stagione: la qual giunta, nel giorno stabilito, condussero loro i Giapponesi il mantenimento domandato, e l’acqua; la quale assaggiarono in lor presenza per toglier ogni sospetto. Appresso [p. 18 modifica]riconsignaron loro l’Imagini, e Corona, e Croci, che si avevan prese nel primo loro arrivo in Nangasacche, le quali serbavan chiuse in una cassa, per l’aversione, che quei popoli hanno alla Croce, e devozioni de’ Cristiani. Avevangli dimandati nell’arrivo, perche portassero la Croce nella bandiera: a che avevan risposto i Portoghesi, ch’era l’insegna del loro Re. Partì dunque il vascello di ritorno a Macao senza alcun frutto, dopo tanta spesa.

Oltre alla relazione del fatto già riferito, mi narrarono il Piloto, il Contramestre, e più marinari, i quali furono a quel Viaggio (con cui ragionai sopra il vascello del Rosario) che nel canal di Nangasacche sia molto difficile ad entrare, per gli bassi, Isole, e scogli, che tiene: oltre alla necessità di dover ancorare quattro volte per la Marea, che in alcune ore è favorevole, in altre contraria. Custodiscono quello cinque guardie in cinque posti, compartite sul canale, e due Presidi nell’entramento del seno, i quali tosto che scuoprono qualche nave, ne portan alla Città la notizia; così quella senza mura, e senza cannoni custodiscesi so con la vigilanza. Le case della Città son di legno, le strade son abbarrate di [p. 19 modifica]notte, e guardate da’ Capitani, i quali devono dar conto di quanto accade. Riguarda Nangasacche l’Occidente: ed ha di giro più miglia. Riferirono di più, che i Giapponesi rappansi dalla largheza della fronte sino alla corona, lasciando gli altri capelli corti: e che mentre van fuori di casa, portano la testa scoperta, usando solamente i Mandarini un cappello di paglia delicata; rappansi il mostaccio, e la barba; la veste loro è corta (almen quella, che ho veduto portare ad alcuni Giapponesi) legano con una cinta la di sotto, in cui partano le due scimitarre, che portano, una lunga, ed altra corta. Le donne vestono dell’istessa maniera, e portano le chiome sciolte: non usano tele per soffiarsi il naso, ma consumano carta, che serve per una sol volta. Il terreno di Nangasacche è montuoso, ma fruttifero, in tanto che porta la maggior parte delle frutta d’Europa.