Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. IV/Libro III/VIII

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Libro III - Cap. VIII

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CAPITOLO OTTAVO.

Ricchezze dell’Imperador della Cina.


C
Hiunque ha fior di senno, non potrà dubbitare, che l’Imperador della Cina sia il più ricco Monarca del Mondo; non solo per la grandezza del suo Imperio, ma perche i vassalli, non che l’ubbidiscono alla cieca, ma l’adorano. Dissi, l’adorano P. Magaill. nouvell. Relat. de la Chin. c. 16. pag. 265., nè senza gran fondamento; poiche di presente, gl’Imperadori della Cina sono in possesso di deificare chi più loro aggrada; siccome anticamente faceva il Senato Romano. Nel tempo, ch’entrò in Cina il Padre Matteo Ricci, vidi questa empietà dell’Imperador Ván-Lié, allora regnante. Avea egli fatto morire un Colao, detto Cham Kiu chem, per una prattica tenuta con sua madre. La Dama dolente della morte del Colao, e per lo timore d’un simile fine; cadde inferma, et indi a pochi giorni se ne morì. Adunque l’Imperadore, per ristabilire, con qualche onore straordinario, la riputazione di sua madre, la dichiarò solennemente Kieú Liên pusa; cioè Dea di nove fiori: sicchè oggidì si veggono Templi, [p. 442 modifica]eretti in onor di lei, per tutto l’Imperio: in cui ella è adorata, sotto questo titolo, della medesima maniera, che Flora cortigiana fu onorata da’ Romani, come Dea de’ fiori. Un Bonzo parimente, di quelli della setta di Taósú (che si ammogliano, e non si radono la testa) sono ormai più di quattrocento anni, si avanzò talmente nella grazia del Re, per mezzo della chimica, e magia; che questi, non contento d’averlo stimato più che uomo in vita, volle morto dichiararlo Dio, e Signore del Cielo, del Sole, della Luna, e delle Stelle. Si può scorgere da questi due esempli, quanta cieca sia l’ubbidienza de’ sudditi; poiche credono, che l’Imperadore abbia potere, di fare d’un’uomo debole, e miserabile, un Dio potentissimo: e passa sì avanti l’adulazione de’ letterati, che non solamente ciò appruovano, ma persuadono anche al Re, di fare azioni, tanto contrarie a’ dettami della ragione.

Or per dare un picciol saggio degl’immensi Tesori dell’Imperador della Cina, farò un picciol catalogo delle rendite, ch’entrano nel suo Erario; cavato da uno Scrittore di grande autorità fra’ Cinesi, i di cui libri sono chiamati ù hio pién. [p. 443 modifica]

Entrano primamente ogni anno nel Tesoro Reale diciotto milioni, e seicento mila scudi d’argento; fra’ quali non vengono compresi i diritti, che si pagano di tutto quello, che si compra, e vende in tutto l’Imperio; nè le rendite delle terre, boschi, e giardini Reali, che sono in gran numero; nè il danajo delle confiscazioni, che monta qualche volta a più milioni: nè in fine le rendite di beni immobili, confiscati a’ ribelli; a coloro, che occupano le rendite Regie; o che essendo in uficio, rubano a’ particolari sino alla somma di mille scudi; o che han commessi enormi delitti.

Entrano anche nel Tesoro, sotto titolo di rendite della Regina, un milione, ottocento ventitre mila, novecento sessantadue scudi: e dentro i magazzini Reali quarantatre milioni, trecento venti otto mila, ottocento trentaquattro sacchi di riso, e grano.

II. Un milione, trecento quindici mila, novecento trentasette pani di sale di 58. libbre l’uno.

III. Ducento cinquantotto libbre di minio finissimo.

IV. Novantaquattro mila, settecento trentasette libbre di vernice. [p. 444 modifica]

V. Trentotto mila, cinquecento cinquanta libbre di frutta secche, cioè d’uve, fichi, noci, e castagne.

Nella guardarobba Reale poi vengono primieramente seicento cinquantacinque mila, quattrocento trentadue libbre di diversi drappi di seta, e di diversi colori; oltre gli abiti Reali, portati dalle barche, come si è detto.

II. Quattrocento settantasei mila, ducento settanta pezze di drappi di seta leggiera, di cui i Cinesi vestono nella State.

III. Ducento settanta due mila, novecento e tre libbre di seta cruda.

IV. Trecento novantasei mila, quattrocento ottanta pezze di tela di cottone.

V. Quattrocento sessantaquattro mila, ducento e diecisette libbre di cottone.

VI. Cinquantasei mila, ducento e ottanta pezze di tela di canapa.

VII. Ventuno mila, quattrocento settanta sacchi di fave, che si danno a’ cavalli del Re, in luogo d’avena.

In fine due milioni, cinquecento novantotto mila, cinquecento ottantatre fascetti di paglia, di quindici libbre l’uno. Queste due ultime rendite erano così [p. 445 modifica]sotto i Re Cinesi; ma di presente sono tre volte più, a cagion della gran quantità di cavalli, che il Re Tartaro mantiene.

Oltre tutte queste cose, riportate dal citato Padre Magaillans, si conducono alla Corte bovi, montoni a porci, oche, anitre, polli, ed altri animali dimestici; e quantità d’ogni spezie di cacciagione, e parimente di pesci. Tutte sorti d’erbe sative, e frutta Chap. XVI p. 169. e 170.; così verdi, e fresche in mezzo del Verno, che in Primavera; tanta è l’industria della nazione, in conservarle, in luoghi a ciò destinati. Si porta anche olio, butiro, aceto, e tutte sorti di spezierie; vini preziosi di diversi luoghi; differenti sorti di farine, di pane, e di biscotti; e perciò si rende impossibile sapere la quantità di tutte le cose, che ogni giorno entrano nel Real palagio.

Sin qui ho trascritto ciò, che narrano Padri Magaillans, e Cuplet Confuc. Imper. Sinarum pag. 108.; però io, con meno parole farò capire a chi legge l’immense ricchezze di questo Monarca. I suoi sudditi (quando anche volessimo toglierne cento milioni, da’ trecento, che scrive il P. Bartoli) sono ducento milioni, secondo le comuni relazioni. Or da [p. 446 modifica]essi esigge l’Imperadore di tributo un Taes per ciascheduno (cioè 15. carlini Napoletani) giunti che siano in età di 18. anni, e che non abbiano passato i sessanta. Da tutti questi tolte le donne, ed altre persone franche, facilmente potrà farsi il calcolo, da quanti milioni riceve tributo personale. Si aggiugne poi il reale; perocchè tutto il terreno della Cina è dell’Imperadore, o posseduto con annuo canone: e per conseguenza non ve n’ha palmo, che non gli sia profittevole. Considerata adunque la spaziosità dell’Imperio, di facile potrà capirsi, senza troppo aritmetica, quanti milioni entrano nell’Erario Regio; a cui aggiunte le dogane, e quanto di sopra è detto, potrà ognuno restar persuaso; che siccome non vi è Monarca nel Mondo, che l’uguagli nel numero de’ sudditi, e de’ soldati, così non vi sia chi possa starvi appetto, per le ricchezze.