Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. V/Libro II/X

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Libro II - Cap. X

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CAPITOLO DECIMO.

Brieve viaggio sino al Porto di Cavite, e descrizione di quella Città.


R
Ipigliando, dopo una digressione, non affatto forse rincrescevole, l’interrotto Diario; dico, che la Domenica 10. di Giugno andai provvedendomi di ciò, che mi facea d’uopo per lo viaggio, che di brieve dovea fare, per la nuova Spagna. Il Lunedì 11. fui a vedere il Governadore, che di già era ritornato in Città: il Martedì 12. a visitare il Padre Antonino Tutio Messinese, Rettore, e Vice-Provinciale della Compagnia di Giesù; che mi regalò di buona quantità di Pepite di Catbalogan: e’l Mercordì 13. a licenziarmi dal Provinciale di San Francesco, nuovamente eletto.

Presi commiato, il Giovedì 14. dal Dottor D. Gabriel de Sturis di Navarra, [p. 244 modifica](Consultore del Governadore) il quale mi fece presente di otto canne di damasco della Cina. Il Venerdì 15. andai licenziandomi da molti altri amici, che mi aveano visitato in casa: e’l Sabato 16. finalmente diedi l’ultimo addio al Sig. D. Fausto, Governadore, e Capitan Generale dell’Isole; il quale con tanta gentilezza mi avea dato imbarco, e mi avea raccomandato al Generale del Galeone.

Adunque la Domenica 17. poste le mie robe in una banca, o barca, me ne andai, col Nero, al porto di Cavite; dove giunsi a mezzo dì. Quelle banche si fanno dal tronco d’un solo albero, larghe sei palmi, e lunghe più delle filuche Napoletane.

Non trovai, come credea, Carlo Joseph Milanese; per essersi pochi dì prima partito per le Mariane, a portare in quell’Isole, il Real Situado alla milizia, e a’ Padri della Compagnia. Ciò fatto dovea egli passare a scoprire l’Isole di Mezzo giorno; e quivi giunto por gente a terra, per informarsi della religione, e costumi degli abitanti; e condursi alcuno degl’Isolani prigioniero, per trarsene più chiare notizie: secondo l’istruzioni dategli in mia presenza dal Governadore pochi giorni [p. 245 modifica]prima. Sopra tutto però avea ordine di trovare quella, ch’egli medesimo avea scoperta, et appellata Carolina, nel 1686. allor che andò a soccorrere un Vascello arrenato. Si stimava comunemente, ch’egli vi sarrbbe andato indarno, imperocchè da 13. gradi, sino alla linea, le correnti sono impetuose; sicchè non può loro resistere un Petacchio; e molto meno a cagion de’ venti, che colà dominano. Per altro non può recarsi in dubbio, che, in tutto lo spazio, sino alla linea, vi siano più Isole abitate da gente silvestre; et indi molte altre sino ai Giappone: imperciocchè si veggono alle volte molte barche di que’ luoghi, portate dalle tempeste nell’Isola di Samar, e nella costa di Palapa, come altrove è detto. Per l’assenza adunque di detto Carlo, mi ricevette in sua casa Miguel Martinez, Generale del Galeone, che dovea partire.

Entrai il Lunedì 18. a vedere il Castello di S. Filippo, situato in quella punta di terra, che forma il Seno. Egli fù fabbricato, dopo la Fortezza di Manila, in forma di quadrato regolare, con quattro Baloardi, forniti di bastante artiglieria, ma picciola: oltre alquanti pezzi sulla porta. All’intorno si stavano attualmente [p. 246 modifica]fabbricando abitazioni, per gli soldati, magazzini, e cisterne; rimanendosi nel mezzo una gran piazza d’armi. Quivi fu fatta nel 1779. una casa di legno, per carcere di D. Ferdinando Valenzuola, con cappella dentro; acciò non si pregiudicasse all’Immunità Ecclesiastica, finche avesse compiuti i dieci anni di relegazione. Sul principio fù egli tenuto rigorosamente; non permettendosegli di scrivere, nè d’abitare nel primo piano della casa; peró visse poscia con tanta libertà, che fece rappresentare, nell’istesso Castello, varie commedie. Si occupava il dì in comporre, leggere, ed orare; e così menava meno nojose l’ore. Peraltro Sua Maestà gli avea fatto assegnamento di 250. pezze da otto al mese. Nel 1689. (finiti già i dieci anni) se n’andò nella nuova Spagna; dove essendo V. Re il Signor Conte di Galue, fratello del Signor Duca di Prestana (al quale avea servito di paggio) fu ben ricevuto; e se gli pagavano puntualmente le mille pezze al mese, assegnategli dal Re, con divieto di non passare in Ispagna. Ebbero poscia infelice termine le sue sventure; perche mentre si era intento ad ammaestrare i suoi cavalli; ne ebbe un calcio tale, che gli cagionò la morte: [p. 247 modifica]chiarissimo esemplo delle vicende di Fortuna sopra coloro, che maggiormente credono avere inchiodata la di lei ruota.

Questo Ministro, introdotto a’ servigj della Regina madre, per mezzo d’una sua zia, damigella della medesima; seppe cotanto acquistarsene la grazia, col leal servire, e particolarmente nelle due volte, che fu da lei mandato alla Corte di Vienna, per affari d’importanza; che da privato Cavaliere fu innalzato all’onore di primo Ministro, e al Grandato; onde venne poscia il suo precipizio.

Il Martedì 19. andai vedendo la Città di Cavite, o Cavit, come dicono i Tagali. Ella è posta a veduta, e distante tre leghe da Manila, dalla parte di Mezzo dì, in una sottile, e lunga punta di terra; che ha da una parte la spiaggia, e dall’altra un Seno, che serve di porto. Quindi essendo tutta quasi circondata dal Mare, non ha mura all’intorno; ma in una estremità tiene il Castello suddetto; e nell’altra, verso terra, un muro, dall’un Mare all’altro, fornito di alcuni pezzi d’artiglieria. In questo muro è la porta, alla quale si passa sopra un ponte levatojo, a cagion del fosso; il quale in tempo di marea, s’empie d’acqua. Certamente, con mezzana spesa, [p. 248 modifica]potrebbe la Città esser ridotta in Isola. Il porto mentovato è in forma di mezzo circolo, come quello di Trapani, nel Reame di Sicilia. Sta a coverto de’ venti Vandavali, o Australi; ma non de’ Settentrionali: e perciò, come che i vascelli grossi non vi si ponno accostar molto a terra, stanno mal sicuri: e nel 1589. vi se ne perdettero due.

Quanto agli edificj, e piazze, non vi ha alcuna vaghezza; essendo le case di legno, o canne, e ben poche col primo piano di pietra, e calce. La Chiesa Parrocchiale è di legno: l’ospizio, e Chiesa de’ PP. Domenicani, dell’istesso. Il Convento de’ Padri Agostiniani Scalzi è alquanto migliore, e vi ha Chiesa di fabbrica. La Casa de’ PP. Gesuiti però, sebbene principiata pochi anni sono, è ottima. Il Castellano, come Justita mayor, governa il Castello, e la Città.

Andai il Mercordì 20. a vedere la Rivera, o Arsenale, posto nella punta suddetta del Castello. Quivi faticano ordinariamente, alla fabbrica di Galeoni, e vascelli, 200. e 300. Indiani, ed alcuna fiata 600. tolti per forza dalle Provincie vicine. Il Rè dà loro una pezza d’otto, e un cavan di riso, per un mese, che gli tiene; perciocchè passato questo tempo, si [p. 249 modifica]prendono altri. Chi di essi spiana, chi sega, chi inchioda il legname, chi fa le gomene, chi attende a spalmare (ciò che si fa, quivi con olio di Cina, mescolato con calce) e la maggior parte nel monte taglia gli alberi; che denno essere molti, e ben grandi, acciò le navi possano resistere agl’impetuosi Mari, che hanno a passare. Oltre l’essere quella sorte di legno duro, e pesante, come pietra; fanno le tavole così grosse, e tanto foderate dentro, e fuori, che poco, o niun danno sentono dalle palle di cannone. A quel vascello, che combattè gli anni passati con 14. degli Olandesi, venuti per prender Cavite, si tolsero 90. palle, rimase nel legno, come in un muro di pietra dolce: e ciò fu, perche essendo dato in secco, bisognò, che combattesse sempre da un lato; non senza gran maraviglia de’ nemici.

Quanto alla capacità dell’Arsenale, egli è grandissimo, e buono, per farvisi qualsivoglia gran vascello. Nel 1694. vi fu terminato il famoso Galeone di San Giuseppe (altrove mentovato, per la sua disgrazia) ch’era maggiore, o almeno uguale, a quello de’ Portughesi, detto il Padre Eterno. Era lungo nel primo cordone (o come dicono gli Spagnuoli) di [p. 250 modifica]Rivera di quilla, 62. gombiti (di un palmo, e mezzo l’uno) e largo a proporzione. La sua perdita rovinò i Cittadini di Manila; ma quella dell’altro, chiamato S. Cristo, gli recò all’ultima miseria. Egli avea 60. gombiti di Rivera di quilla, e avea fatto un sol viaggio nella nuova Spagna, dopo essersi fabbricato in Bagatao. Mentre io era in Manila, si stava facendo, anche in Bagatao, un’altro vascello, per nome S. Francesco Borgia, lungo 55. gombiti; per dovere andare alla nuova Spagna nel 1697. Dio sa però qual fortuna egli correrà: imperocchè avendo avuto i Cittadini di Manila, concessione dal Rè, di caricare un Galeone, e mandarne un’altro di conserva, pagando 74. mila pezze da otto per ciascheduno; eglino, per non pagar due volte, ne fanno, a spese del Rè, un solo; così grande, che sebbene carica per tre, per muoverlo nondimeno vi bisogna una tempesta: o poi l’inchiodatura di sì gran macchina non essendo bastevole, per resistere a’ furiosi colpi, e temperie d’immensi Mari, che dee valicare; facilmente si perde, siccome la sperienza ha fatto conoscere: onde assai più a proposito, per tal navigazione, riescono vascelli mezzani, che i grandi. [p. 251 modifica]

Il Giovedì 21. passai a vedere il Borgo di S. Rocco (che si stende dopo il muro, da un Mare all’altro) tutto composto di case di legno, e di palme di nipa, fra selve d’alberi. La Chiesa Parrocchiale è ottima; perche fu fatta fabbricare, per sua divozione, da D. Ferdinando Valenzuela. Questo Borgo ha più abitanti, che Cavite, fra Spagnuoli, Indiani, e Sangley, o Cinesi. Vi si truovano buone frutta del paese, con qualche poco d’uva d’Europa.

Il Venerdì 22. avendo di già il vascello ricevuto il carico, m’imbarcai. Egli era stato fatto fabbricare in Bagatao, da D. Gio: Garicocea, e già avea fatto un viaggio nella Costa. Per la perdita de’ due riferiti Galeoni, se l’avea comprato il Rè, per 50. m. pezze d’otto; acciò portasse in America il Real situado. Era di 45. gombiti di lunghezza, e abbastanza largo, e forte.

Il Sabato 23. nella Chiesa Parrocchiale si celebrò Messa cantata, nell’Altar maggiore, in onor della Concezione di Nostra Donna; intervenendovi D. Miguel Martinez, Generale del vascello: e poscia fu portata la statua processionalmente, sopra il medesimo vascello, col [p. 252 modifica]suono di varj strumenti.

Mentre si stava per partire, il Generale fece chiamare i Piloti, e tutti gli altri Uficiali, a consulta; per sapere, se il vascello era abile, a fare il viaggio della Nuova Spagna, e Marinero, come essi dicono. La maggior parte fu di parere, ch’era soverchio carico, fino a star la manica tre palmi entro l’acqua; e che perciò non potea far cammino. Ordinò quegli adunque, che si ponessero tutte le casse de’ marinaj a terra, acciò si lasciassero tutte le duplicate. Essendosi anche di ciò dato parte al Governadore; questi mandò il Maestro di Campo Tommaso Andaya, per alleggerire il vascello. Giunse l’Andaya la mattina della Domenica 24. e ne fece trar fuori tutti i vasi d’acqua; poiche essendo il vascello capace di 1500. fardi, l’aveano eccessivamente caricato di 2200. oltre le vettovaglie, ed altro.

Il Lunedì 25. il medesimo Maestro di Campo, fece porre a terra più fardi, e marchette di cera, facendone restare i soli 1500. di bolletta. La distribuzione del carico dee farsi dal Governadore, et Auditori, secondo l’ordine Regio, fra’ Cittadini; però poco si osserva la giustizia distributiva, nè si riguarda la necessità di [p. 253 modifica]qualcuno; ma prevalgono i favori, dandosi a’ più potenti luogo per 30. 40. e sino 350. fardi di bolletta; e a’ poveri Cittadini bisognosi due, o tre, col colore, che non può caricar più; e ciò contro l’intenzion Reale.

Il Martedì 26. si tolsero altri fardi, e marchette di cera, differendosi la partenza; quando gli ordini Reali sono, che parta il Galeone il dì di S. Gio: 24. Giugno.

In questo viaggio si costuma portar l’acqua in vasi di creta, al numero di 2, 3, e 4 mila, secondo la quantità della gente, e grandezza del Galeone; e come che non bastano per sette, o otto mesi di navigazione, suppliscono le pioggie continue. Questa volta s’erano fatti due stanchi, o cisterne a’ fianchi del Vascello, che dalla coperta giungeano alla sentina, nella maniera, che usano i Portughesi, e Mori; ed erano riuscite di gran bontà: però si ruppero, a fine di porre in quel luogo più fardi; senza considerarsi, che, colla speranza delle cisterne non s’erano fatti i vasi di creta; e che nell’imminente partenza non era facile il farsi. Ciò avvenne, perche i medesimi Ministri vi posero balle di lor conto (non ostante il divieto Reale) i quali poco si curarono di mandar tanta gente, a perir di sete, per Mari [p. 254 modifica]così spaziosi. Si perdettero adunque il Mercordì 27. ottocento barili d’acqua, rompendosi le cisterne; e’l medesimo si fece il Giovedì 28., e si cominciarono a riporre i fardi, appartenenti ad amici, ed affezionati del Maestro di Campo.