Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. VI/Libro III/II

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Libro III - Cap. II

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CAPITOLO SECONDO.

Si seguita il viaggio sino alla Vera Crux.


C
Ontinuando il Lunedi 21. il cammino verso la Vera Crux; tre leghe lontano dalla Pobla, trovai il Casale d’Amotoque; e dopo altre cinque, il Villaggio d’Arassingo: e quindi fattene altre due, mi rimasi a pernottare nel Casale di Quaciula, in casa del Governadore Indiano.

Il Martedì 22., fatte quattro leghe di [p. 229 modifica]strada, anche piana, mi riposai nel Casale di S. Agostino. Vicino la Parrocchia di questo luogo, si scorge una gran Piramide, come le mentovate. Dopo desinare, passate altre tre leghe, a buon’ora mi rimasi nella massaria d’Istapa.

Ripigliato il cammino il Mercordi 23. e sceso da una terribile montagna, trovai le Guardie del passo, che si presero un reale per ogni cavallo. Essendo poscia sopra un’altro monte fangoso, la mia mula cascò in una pozzanghera, donde l’ebbero a trar fuori molti villani. Calato quindi per una lega di strabbocchevoli balze, mi fermai a prender riposo nel Casale d’Aculsingo, fabbricato entro una selva di Cirimoye. Desinai in casa del Tenente, e poi mi posi di nuovo cammino: e fatte tre leghe rimasi nell’Inghenio, che dicono del Conde, passato prima un gran fiume, sopra un lungo ponte. Volendo quivi pernottare, per essere già tardi, non trovai chi mi albergasse; oltre che ciò sarebbe stato pericoloso in casa di Neri. Mi partii dunque, colla guida di un Nero a cavallo, perocchè il luogo era sì fangoso, che l’acqua e’l loto giunge alle staffe. Ben tardi giunti, dopo una lega, nella Massaria di S. Nicolas, di nuovo passando l’istesso fiume, sopra un’altro ponte, [p. 230 modifica]appiè del monte d’Orizava. Quivi cortesemente mi accolse uno Spagnuolo, padrone della massaria; però una gallina, che gli diede a cuocere, comparve a tavola senza gambe, ed ale.

Passata una lega il Giovedì 24. mi convenne fare un gran giro, per passare il fiume blanco (sopra un ponte), e andare in Orizava, a prender cavalli freschi; dove giunto, in casa dell’Alcalde mayor, trovai l’Almirante dell’Armata di Barlovento, il quale volle, che mi rimanessi a desinar con esso loro. Postomi poscia a cavallo, passai lungo spazio a traverso d’Orizava, (che sembra una selva, fra tanti alberi di Cirimoye, o Anonas) e venni in un spazioso piano, presso il Vulcano del medesimo nome, coperto di neve. Mi condusse la guida per un sentiero fangoso, sopra un monte fangosissimo (detto per ciò despeñadero) dal quale miracolosamente uscirono le cavalcature. Passato dall’altra parte di questo monte, mi fu d’uopo salire per un’altro simile: e venuto nella sottoposta valle, passai un grosso fiume sopra il ponte. Fatte in tutto cinque leghe di malissima strada, giunsi a pernottare nella Villa di Cordua, capo dell’Alcaldia. Il luogo è abitato da ricchi Mercanti, che tengono strettoj [p. 231 modifica]di zucchero. La maggior parte sono Spagnuoli, a cagion della benignità del clima, e del suolo, che produce ogni sorte d’alberi fruttiferi. Stetti la notte in una mala osteria, dove il Nero, che mi guidò, vedendo di non potermi rubbare altro, tolse la cavezza della mula.

Il Venerdì 25. entrato in paese più caldo, vidi pappagalli di più spezie, e molti galli d’India (detti dagli Spagnuoli Guaxolotes, o gallos de la tierra), che stavano sopra gli alberi mansuetamente. Passate quattro leghe di selva, rimasi a desinare nel villaggio di S. Lorenzo de los negros, posto in mezzo d’un bosco. Come ch’è abitato tutto da Neri, rassembra d’esser quivi in Ghinea. Per altro sono di belle fattezze, ed applicati all’agricoltura. Essi traggono origine da alcuni schiavi fuggitivi: e fu poi permesso loro di rimanersi in libertà, purche non ricevessero altri Neri fuggitivi, ma gli rendessero a’ Padroni; ciò che osservano con buona fede. Quindi, fatte sei altre leghe, pernottai nell’Osteria di S. Campus; dove non si trovò cibo, nè per Cavalieri, nè per cavalli: e per maggior pena gli affamati cani, e sorci non ci lasciaron dormire; e fu d’uopo appendere in luogo alto gli stivali, e le scarpe, acciò [p. 232 modifica]non vi dasser di piglio. L’Oste era uno Spagnuolo macilento, e nudo, che quivi menava una vita da Anacoreta, per non servire altrui. Molti nobili della nazione s’ammogliano con Indiane, e Mulate, per questa cagione; e vivono miseramente, facendo i bifolchi per quelle campagne; prendendosi a scorno di tornare in Ispagna poveri: come se il suolo d’America fusse tutto d’oro, e d’argento; e chiunque vi và dovesse in brieve divenir ricco. O quanti ne periscono di pura fame, a comparazion di quei, che s’innalzano a sommo grado d’onore, e di fortuna in India: appunto come nella milizia, infiniti sono coloro, che perdon la vita; per molti pochi, che divengon Colonnelli, e Generali. Nella Valle vicina abitano come tante fiere, infiniti Neri, e Mulati.

Il Sabato 26. per un piano similmente incolto, feci quattro leghe, che si poteano contar per sei: e poi mi riposai nel passo de las Carrettas. Non si vede altro in questo luogo, che una casa di Mulati, senza veruna provvisione; onde i cavalli stetter digiuni, e noi mangiammo qualche cosetta, che portavamo. Il monte vicino ne avrebbe potuto dar frutta, bastanti ad empier la pancia; però tutte le frutta d’India [p. 233 modifica]non si ponno mangiare, che dopo essersi tenute tre dì in casa. Questi Mulati fanno buon filo, detto Pita (per cucire scarpe) di una certa erba, come Maghei, che essi coltivano.

Mi vidi in questo luogo in gran travaglio, bisognandomi di passare a guazzo un gran fiume. Facendo in fine della necessita virtù, Io, e uno Spagnuolo d’Orizava, ci facemmo guidare da uno di quei Mulati: e giunti alla riva del fiume, facemmo passare lui prima, sopra una mula alta; e vedemmo, che l’acqua giungeva alla groppa. Or non potendosi tornare in dietro, feci ripassare il Mulato sopra l’istessa mula, a lasciar dall’altra riva le mie valige, nelle quali erano i manuscritti: e quindi, raccomandatomi a Dio, mi posi con molto timore, a passare ancor’io il rapido fiume, colle gambe nude: e quantunque ciò si facesse per due rami dei medesimo; pure l’acqua copriva quasi la mia mula, e mi bagnava le coscie. Giunti in fine, mercè del Sig., dall’altra riva, e ripigliato coraggio, ci accorgemmo, quanto indegni di scusa sariamo stati, se il mulato ne avesse scherniti amendue, andandosene colla mula, e con tutto il nostro avere: cioè di lui miile pezze; e di me i manuscritti di quattro anni, [p. 234 modifica]e quattro mesi di peregrinazione, e’l danajo necessario per lo viaggio. Ma il timore ne avea occiecato l’intelletto, sicchè non pensammo, a passar prima un di noi all’altra riva. In questo passo era prima una barca, per traggettare i viandanti; ma poi l’Alcalde, volendo punire, di non so qual fallo, il Mulato, che la teneva; glie la tolse, facendogli ordine penale, che non ricevesse, nè alloggiasse più passaggieri; ma gli mandasse per lo passo di Cotasta, dove egli aveva interesse: ed avendo risposto il Mulato, che facesse chiamargli, ed avvertire dagli abitanti di detto Casale, ne fu maltrattato dall’ingordo Alcalde.

Andammo poscia per paese piano, e per un bosco, ben folto di certe palme, che faceano le frutta come noci verdi, pendenti da alcuni come grappoli. La polpa di dentro ha il sapor delle nostre mandorle. Passammo varj laghetti, e poco mancò non smarrissimo il sentiero, per l’altezza dell’erbe; tanto più, che non essendovi i barcajuoli, per passarne in Canoa, bisognò passare a guazzo, e ne bagnammo bene. Giugnemmo dopo quattro leghe in una massaria, detta d’Asperilla, dove le zanzare erano in grandissimo [p. 235 modifica]numero; per difenderci dalle loro punture, avemmo a pagar bene due sanzanere a’ Neri del luogo.

La Domenica 27. per molta diligenza usata, non fummo a tempo di sentir Messa nell’Azienda di Xamapa, due leghe distante; essendo stato d’uopo passare in barca il fiume di tal nome.

Uno Spagnuolo, ch’era nell’Osteria, mi confermò quello, che il P. Colin scrive dell’uccello Carpentero En l’hist. de las Filippinas.: cioè, ch’egli truovi un’erba, che rende frangibile il ferro, come vetro: e mi disse averne fatta la sperienza, inchiodando una piastra di ferro sul nido di questo uccello; però che simile erba giammai egli non avea potuto rinvenire per tutte quelle campagne.

Dopo desinare, fatte tre leghe, entrammo nel porto della Vera Crux nuova, dove trovai la mia roba, mandatavi un mese prima per Fernando Mercado. Non si truovano alberghi nella Città, onde un forestiere è obbligato prender in affitto una casa. Riavutomi dalla stanchezza del viaggio il Lunedì 28. il Martedì 29. andai in casa del Maestro di Campo D. Francesco Loranz de Rada, Governador della Piazza, che mi fece grandissime accoglienze.

Partissi il Mercordi 30. per l’Avana una [p. 236 modifica]fregata, sulla quale non volli imbarcarmi, per esser picciola: e allo stesso Governadore non parve bene, che dopo una sì lunga peregrinazione, per non attendere per pochi dì occasione migliore, m’arrischiassi, a uscir così dal Seno Mexiicano, con venti Settentrionali. Assicurandomi però che in brieve dovea partire un’altra miglior fregata; promise di raccomandarmi al Capitano di essa, acciò mi conducesse con ogni comodità.

Il Giovedi ultimo, benche fusse mal tempo, si partì per Caracas un’altra fregata, e si pubblicò la partenza della flotta. Essendo incomoda la casa affittata, passai ad abitare in un’appartamento, offertomi gentilmente da D. Antonio Peñalosa, Tenente d’una compagnia di cavalli.