Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. VI/Libro IV/IX

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Libro IV - Cap. IX

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CAPITOLO NONO.

Si nota ciò che si vide sino a Roma.


A
Vendo preso un calesso, sino a Roma, per lo prezzo di dodici piastre, [p. 464 modifica]m’accompagnai col procaccio, che partì la stessa Domenica, prima di mezzodì. Andammo sempre per monti, e colli, sterili di lor natura, ma renduti fecondi dall’industria Fiorentina, che fa capitale fin degli escrementi, per servirsene sul terreno. Passato il Castello di Barberino, dove in rimembranza di loro origine, tengono un podere i Signori Barberini di Roma; e fatte in tutto il dì 21. miglia, pernottammo in Poggibonzi, Terra murata.

Con cinque ore di notte ne partimmo il Lunedì 24. e fatte 14. miglia, al far del giorno fummo in Siena. Questa antichissima Città è più lunga, che larga, e posta in pendente; però con pochi, benche buoni edificj; essendo per la terza parte piena di orti, e vigne. Ella è abitata da una cospicua nobiltà, che in ogni tempo ha dato Cardinali, e talora Pontefici alla Chiesa. Il Duomo è coperto al di fuori tutto di marmi neri, e bianchi, con molte statue, ed intagli. Entrandosi per le sue porte si veggono tre belle, e spaziose navi, formate da 30. e più pilieri, incrustati di marmo bianco, e nero. Il pergamo è sostenuto da dodici colonne, e tutto dilicatamente lavorato [p. 465 modifica]all’intorno di figure, che non invidiano punto le altre belle statue, che sono per la Chiesa. Il Battisterio è nella vaga Cappella di S. Giovanni Battista, attaccata alla stessa Chiesa. All’incontro di questa sono i palagi del Principe, e dell’Arcivescovo; e nella Piazza quello del Senato, con un’altissima Torre, e una buona fontana. Facemmo 18. miglia dopo desinare, per paese ben coltivato, benche non sia piano; per dove incontravamo bellissime contadine, con gran cappelli di paglia in testa. Rimanemmo la notte nel Castello di Turrineri, nell’osteria della posta.

Il Martedì 25. due ore prima di giorno postici in cammino, non facemmo altro, che salire, e scender montagne, con pioggia, e nebbia, e venimmo dopo 18. miglia nella osteria di Redicofani, detta così dal Casale dell’istesso nome. Con ugual pioggia scendemmo dalla sommità di sì alto monte, per sei miglia, sino alla valle, e fiume Riego; che passammo otto volte, non senza pericolo, per la piena dell’acque. Nel fiume Centino, poco più avanti, termina la giurisdizione del Gran Duca; onde venimmo a pernottare in Acquapendente, [p. 466 modifica]prima Città dello Stato Ecclesiastico, dopo 14. miglia di strada.

Il Mercordi 26. fatte nove miglia, desinammo nella terra di Bolsena, non essendosi potuto andar più avanti, a cagion del freddo, e della neve, che cadea. E’ posto questo luogo allato a un gran lago, che tiene dentro due Isole. Passati poscia per la Città di Montefiascone, a capo di 18. altre miglia, pernottammo in quella di Viterbo, che ha tre miglia di circuito. Montammo prima cinque miglia di montagna gelata, il Giovedì 27., e dopo altrettante giugnemmo, tutti intirizziti, a desinare in Ronciglione; buona terra, porta sulle balze d’un monte. Facemmo poscia 15. miglia, e ne rimanemmo la sera nell’Osteria di Baccareo, mal passaggio agli stranieri; e’l Venerdì 28. passate 15. miglia, giugnemmo in Roma.

Roma Regina delle Città, e capo del Mondo, è posta nel Lazio, in elevazione di gr. 41. e 40. m.; benche il Borgo Vaticano stia in Toscana: e vien bagnata dal fiume Tevere, che vi entra da Settentrione, e se n’esce da Mezzo di, correndo verso Ostia. Si crede fondata, e così appellata da Romolo, figlio di Rea Silvia, discendente da Enea, circa la fine della sesta [p. 467 modifica]Olimpiade, 753. anni prima del nascimento di Giesù Cristo. Cinse egli primamente di mura, il solo monte Palatino, e quindi vi si aggiunse il Capitolino; e in fine ne’ secoli appresso s’ingrandì a tal segno, che in tempo dell’Imperadore Aureliano ella avea da tredici miglia di circuito. Augusto la divise in quattordici regioni, o rioni, come di presente chiamansi. Ma che sto io di Roma a far parola, quando ella medesima, colle sue imprese, essi tanto al Mondo renduta gloriosa, e immortale; che oggimai non merita d’essere appellato uomo, chi della di lei buona, ed avversa fortuna non ha conoscenza. Basterà dir solamente, che benche non sia nel suo antico splendore, le medesime rovine nondimeno ne rendono testimonianza; e i moderni edificj altresì non son tali, per cui non si debba anteporre ad ogni altra più famosa Cittade. E in vero dove mai trovar si potranno le magnifiche Chiese, i sontuosi palagi, le spaziose strade, i deliziosi giardini, le amene fontane? anzi le maravigliose opere, e de’ pennelli, e degli scalpelli migliori, che mai stati sieno? La Corte podee dirsi maestra di tutte l’altre d’Europa; e’l più bel Teatro, dove colei, che il [p. 468 modifica]volgo appella Fortuna, faccia conoscer le sue vicende. In una parola dirò tutte le sue glorie: ella è sede del vero, e legittimo successor di Pietro; cioè a dire ella è oggidì capo del Mondo, non meno di quello, ch’era ne’ secoli trasandati: imperocchè non è punto da estimarsi minor gloria; anzi di gran lunga maggiore, il reggere la parte spirituale, e più nobile degli uomini, che il dominare i corpi colla forza dell’armi.