Giulio Cesare/Atto quinto

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Atto quinto

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William Shakespeare - Giulio Cesare (1599)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1858)
Atto quinto
Atto quarto Giulio Cesare
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ATTO QUINTO



SCENA I.
La pianura di Filippi.
Entrano Ottavio, Antonio, e i loro soldati.

Ott. Ecco confermate le nostre speranze, Antonio, il nemico, che diceste non sarebbe disceso dalle montagne, si presenta a noi, e minaccioso ne sfida.

Ant. Oh! la jattanza fa velo soltanto al timore. Con questa mostra d’ardire ei crede averne domi, e ignora che siamo conscii della viltà che lo preme.

(entra un uffiziale)     

Uff. Siate solerti, capitani; il nemico s’avanza in buon ordine, con insegne spiegate, quasi intendesse a battaglia.

Ant. Ottavio, guidate il vostro esercito alla sinistra di questo campo.

Ott. La destra è mia; voi abbiate la manca.

Ant. Perchè dissentire in tal momento?

Ott. Non dissento da voi, ma vi richiamo all’ordine che fermammo. (va a schierarsi a destra; le trombe squillano; entrano

Bruto, Cassio, il loro esercito, Lucilio, Titinio, Messala, ed altri)

Br. (a’ suoi) Sembra che i nemici ne guardino, e vogliano chiedere un abboccamento.

Cass. Fermati, Titinio; noi usciremo dalle squadre per conferire.

Ott. (dall’altra parte della pianura) Antonio, vuoi che’ si dia il segnale della battaglia?

Ant. No, Cesare; ma risponderemo all’attacco, se osano attaccarci. Avanzatevi: i duci conferiscano insieme un istante.

Ott. (a’ suoi) Non vi movete finchè non ne abbiate il segnale.

Br. (venuto fino ad Ottavio) Le parole prima de’ colpi: non è vero, concittadini?

Ott. Falso è che noi preferiamo le parole.

Br. Buone parole meglio valgono che tristi colpi, Ottavio.

Ant. Ma quelle che tu proferisci, Bruto, vanno accompagnate da colpi crudeli; e prova siane quella ferita che infliggesti nel cuor di Cesare, gridando: Salute e lunga vita a Cesare!

V. I. — 10          Shakspeare. Teatro completo. [p. 146 modifica]

Cass. Antonio, il luogo a cui s’addirizzano i tuoi colpi è ancora sconosciuto; ma i tuoi detti sono pregni di tutto il mele delle api d’Ibla.

Ant. Ma non del loro pungolo.

Br. Sì, del loro pungolo ancora e del loro vano ronzìo, avvegnachè tu hai la savia prudenza di minacciare prima di vibrare il dardo.

Ant. Traditori! non così voi forse adopraste quando i vostri vili pugnali si fransero entro il petto di Cesare? Allora mostraste pure ridenti come bertuccie la bocca; allora lambiste pure come mastini l’orme del vostro signore; allora prostrati come schiavi baciaste pure i piedi di Cesare; mentre l’empio Casca gl’immergeva a tradimento un pugnale nel collo. Ite, vili, nefandi adulatori!

Cass. Adulatori? Rendi grazie a te stesso, Bruto; che costui non ne avrebbe sì oltraggiati, se Cassio oggi avesse regolate le cose.

Ott. Diam fine alle parole, e veniamo allo intento nostro. Se questo dissenso ne cuopre la fronte di sudore, la lotta che il finirà cangerà questo sudore in sangue. Mirate: io traggo la spada; e la traggo contro i cospiratori. Sapete quando questa spada rientrerà nella vagina? Sol quando le ventitrè piaghe di Cesare saranno pienamente vendicate, o l’omicidio d’un altro Cesare avrà arrossati di nuovo i pugnali dei traditori.

Br. Cesare, a meno che con te non li guidi, temer non dèi di morire per mano di traditori.

Ott. Lo spero almeno; nè mi sento nato per morire sotto il pugnale di Bruto.

Br. Fossi tu il più nobile di tua razza, o giovine, perir non potresti di più onorevole mano.

Cass. Non merita un tale onore il perverso discepolo, l’abbietto seguace di un ipocrita dissoluto.

Ant. Rammento il vecchio Cassio!

Ott. Vieni, Antonio, lungi di qui; e prima di partire sfida meco a mortal tenzone questi traditori, (a Bruto e a Cassio) Se ardite combattere, oggi lo vedremo; se l’ardir vi manca, sgombrate, vili, di qua.

(Ottavio ed Antonio si allontanano)     


Cass. Ora soffiate, venti; ora gonfiati, mare; e voli fra la tempesta la nave de’ nostri fati.

Br. Lucilio, odi: vien meco per un istante.

Luc. Signore.....

(Bruto e Lucilio conversano a parte)     


Cass. Messala.....

Mess. Che dici capitano?

Cass. Messala, a questo dì risponde il mio anniversario; sì, [p. 147 modifica]questo dì vide nascer Cassio. Dammi la mano, Messala; siimi tu testimonio che mal grado mio, come Pompeo, sono costretto di confidare al rischio di una battaglia il sacro deposito di nostra libertà. Tu sai quanto un tempo amassi Epicuro e i suoi precetti; ma oggi la mia anima è cambiata, e presta fede ai segni che presagiscono l’avvenire. Lungo la via che seguimmo, partiti da Sardi, due fiere aquile posaronsi sul nostro primo vessillo; e di là prendendo il pasto dalla mano de’ nostri soldati, ne accompagnarono fino a questi campi di Filippi, ove ne hanno lasciati, cedendo il luogo ad una schiera di avoltoi che ci si aggirano sul capo, e sembrano minacciarne.

Mess. Non vi sgomentate per tali indicii.

Cass. Credo in essi, nè mi sgomento; e pronto sono ad affrontare ogni pericolo.

Br. Non scordartene, Lucilio.

Cass. Ebbene, Bruto, ci siano oggi propizi gli Dei, affinchè viver possiamo in pace una lunga vita, fatta beata dal nostro scambievole amore; ma se la sorte ci tradisse, se questa fosse l’ultima volta che insieme parliamo, che faresti allora?

Br. Seguirei i dettami di quella filosofia che mi fece biasimar Catone per essersi data la morte; imperocchè panni che da vile sia l’abbreviarsi il corso della vita per tema dei mali che possono sopravvenire. Afforzandomi quindi di virile pazienza, mi sottoporrei ai voleri di quelle supreme Deità che ci governano.

Cass. E se perdiam la battaglia, tu acconsentiresti, Bruto, d’essere condotto in trionfo per le vie di Roma?

Br. No, Cassio, no; non credere che Bruto veder potesse le sue mani cinte di ferri; il cuore gliene scoppierebbe. Mestieri è nondimeno che questo gran dì compia l’opera delle Idi di marzo, e ne faccia per sempre uniti, o ne separi per sempre. Timorosi di tale vicenda, riceviam l’un dall’altro il nostro eterno addio. Per sempre, per sempre addio, Cassio: se rivedremci non so; ma se ci rivedremo, sorrideremo di gioia; se non..... ci saremo divisi come si conveniva.

Cass. Per sempre addio, Bruto. Sì, ben dicesti: o sorrideremo di gioia rivedendoci; o, noi potendo, ci saremo divisi com’a noi s’addiceva.

Br. Ora andiamo, andiamo impavidi a quest’ultimo conflitto. Oh! chi squarciar potesse le tenebre del futuro ma non vale; la ventura notte ci farà aperti i nostri destini. Soldati, alla gloria! e con generosi petti avanti.

(escono)

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SCENA II.
Campo di battaglia.
Ferve la mischia. Entrano Bruto e Messala.

Br. A cavallo, a cavallo, Messala, corri; reca il mio comando alle legioni dell’altro corno. Si avanzino tutte repentinamente, perocchè veggo le squadre d’Ottavio trepidanti e incerte, e un urto impetuoso varrebbe a sgominarle. A cavallo, Messala, e va rapido come il lampo.

(escono)     


SCENA III.
Altra parte del campo.
Rumor di guerra. Entrano Cassio e Titinio.

Cass. Oh! mira, Titinio, mira come fuggono quei codardi: i miei soldati stessi fecer di me il loro nemico. Questa insegna, che vedi, la strappai di mano a un vile che con essa sgombrava, e che punii di morte.

Tit. Oh Cassio! troppo presto diede Bruto il segnale. Sedotto dal debole avvantaggio che gli fornivano le schiere d’Ottavio, le investi con troppo ardore, e i suoi soldati intendono ora al bottino, mentre Antonio li circonda.

(entra Pindaro)     

Pind. Fuggite, signore, fuggite. Antonio è nella vostra tenda. Fuggite, finchè n’avete tempo.

Cass. Questi colli sono abbastanza lungi... Ma guarda, guarda, Titinio; di’, non son quelle le mie tende là dove s’innalza quella fiamma?

Tit. Appunto, signore.

Cass. Or, Titinio, se m’ami, sali sul mio destriero, configgi gli speroni ne’ suoi fianchi, e va a quelle schiere là in fondo, per assicurarti se sono schiere amiche o nemiche.

Tit. Volerò, per ubbidirvi, rapido come il pensiero.

(esce)     

Cass. Tu, Pindaro, ascendi alla cima di questo colle, segui col guardo Titinio e dimmi quel che discerni nel campo. (Pindaro sale) Questo di fu il primo di mia vita: ora descrissi il circolo, e finirò nel punto in cui cominciai. — Ebbene, Pindaro, quali novelle?

Pind. (dalla cima del colle) Oh signore! Oime! ecco Titinio investito da una mano di cavalieri che lo inseguono a tutta briglia..... nondimeno ei corre ancora..... ahi! già già gli [p. 149 modifica]non sopra... Ora alcuni discendono... e Titinio insieme con essi.... è preso..... cattivo.... udite come festeggiano la preda.

(lontane grida)     

Cass. Scendi; non mirar altro, Pindaro; scendi. Ah vile ch’io sono a viver tanto, onde vedere l’amico mio preso sotto a’ miei occhi! (Pindaro se gli avvicina) Appressati, schiavo, e m’ascolta. Nel dì che ti feci prigioniero nel paese dei Parti, conservandoti la vita, ti costrinsi a giurare che ogni cosa che comandar ti potessi, eseguiresti. Ora adempì il sacramento. Da quest’istante sii libero; e con questa fida spada, che avida si tuffò nel petto di Cesare, trova il mio cuore. Non osar di rispondermi: obbedisci; afferra quest’elsa; e dacchè mi sarò coperto il volto..... come ora..... vibra il ferro. (Pindaro trafigge Cassio) — Cesare, sei vendicato; e colla spada istessa che ti ferì.

(muore)     

Pind. Son fatto libero; ma per via crudele lo divenni. Oh Cassio! Pindaro fuggirà sì lungi da queste contrade, che non mai alcun Romano saprà più nulla di lui. (fugge; rientrano Titinio e Messala)

Mess. Sì, Titinio; la vittoria non è ancor fissata, perocchè Antonio sgominò le schiere di Cassio, come Bruto quelle di Ottavio.

Tit. Coteste novelle ben consoleranno il vecchio Cassio.

Mess. Ove il lasciasti?

Tit. Qui, testè, col suo schiavo, in preda a funesti pensieri.

Mess. Ah! è forse quegli che giace colà sul terreno.

Tit. Il suo riposo non par d’uomo di questo mondo. (s’avvicina) Oh mio cuore!

Mess. Non è Cassio?

Tit. No, Messala; fu Cassio, e or più non è. Oh sole, che tramandi vibrando raggi di sangue, la tua luce imporporossi forse nel sangue di quest’eroe? Oh! la luce di Roma è eclissata; il dì della gloria finì; seguono ora le tenebre, i pericoli e le tempeste: a tanto dovea condurre la diffidenza della mia salute!

Mess. Di’ il diffidare d’una felice fortuna. Oh iniquo errore, cui generò malinconia, perchè mostri all’immaginazione dei mortali oggetti che non esistono! Oh errore troppo precocemente concetto, non mai t’è dato venire a maturanza, e morte sempre arrechi alla madre che resta incinta di te.

Tit. Olà, Pindaro, ove sei.

Mess. Cercalo, Titinio, intanto che vommene a Bruto per attristare il suo cuore con questa rea novella.

Tit. Affrettati, Messala, e lascia ch’io corra in traccia di [p. 150 modifica]Pindaro. (Messala esce; Titinio s’appressa al corpo di Cassio) Perchè m’inviasti lungi da te, generoso amico? Non pervenni io forse dove mi avevi spedito? Non n’ebb’io questo alloro di vittoria, perchè ne cingessi la tua fronte? E le grida con cui m’acclamarono, non a te pervennero? Oimè! funestamente interpretasti al certo ogni cosa. Ma abbiti nondimeno questa ghirlanda intorno alla chioma; il tuo Bruto m’accomandò di dartela, nè frustrerò il suo comando. — Or vieni, Bruto, vieni, e impara quanto io onorassi Cassio. Eterni Dei, concedetelo; è debito ad un Romano; e tu, spada, che fumi ancora del sangue d’un eroe, trapassa ora il cuore d’un uomo a cui è fatta odiosa la vita, dacchè l’amico perde. (si trafigge, e muore; cresce il romore delle armi; rientrano ad accorr’uomo Messala, Bruto, il giovine Catone, Stratone, Volunnio e Lucilio).

Br. Dov’è il suo cadavere, Messala?

Mess. Là in fondo, signore; e Titinio vi geme accanto.

Br. L’anima di Titinio pare assorta in cielo.

Cat. Il misero morì?

Br. Oh Giulio Cesare, ben sei potente ancora, se la tua ombra vagante intorno a noi ne sforza ad immergerci nelle viscere il ferro!

Cat. Generoso Titinio! pria di morire volle coronar Cassio.

Br. Son ora nel mondo due Romani simili a questi? Oh! tu l’ultimo de’ Quiriti, addio; riposa in pace. Roma non più genererà uomo che a te somigli. Amici, ho debito di più lagrime verso questo estinto, che non mi vediate versarne; ma il dì verrà, in cui spanderolle a torrenti. Venite ora, e recate questa fredda salma a Tasso, dove solo se le renderanno le debite esequie, per non iscorare l’esercito. — Seguimi, Lucilio; e tu ancora, giovine Cato: torniamo sul campo di battaglia a tentar l’ultima fortuna con mischia accanita, disperata, ferocissima.

(escono)     


SCENA IV.
Altra parte del campo.
Romor d’armi. Entrano combattendo soldati d’entrambi gli
eserciti; quindi
Bruto, Catone, Lucilio, ed altri.

Br. Valorosi concittadini, non rimettete dell’ardir vostro.

Cat. Qual vile lo vorrà? Seguitemi, generosi. Griderò il mio [p. 151 modifica]nome in faccia ai nostri oppressori; sclamerò combattendo: Son figlio di Catone, nemico ai tiranni, e sol vago di patria.

(s’avventa fra i nemici)     

Br. Ed io, io son Bruto, Marco Bruto, l’amico del popolo. Oh! riconoscetemi per Bruto, e venite con me. (esce, caricando il nemico; Catone è sopraffatto dal numero, e cade)

Luc. Giovine e nobile Cato, tu pur cadesti! Tu pur glorioso muori, guai lo debbe uomo di tua stirpe.

(alcuni soldati circondano Lucilio)     

Sold. Arrenditi o più non sei.

Luc. Non m’arrendo che a patto d’essere ucciso. Prendi, eccoti oro; prendilo, e svenami sull’istante. Uccidi così Bruto, e renditi illustre colla sua morte.

Sold. Bruto! uccider noi dobbiamo; è troppo gran prigioniero.

Sold. Olà, olà, dite ad Antonio che Bruto è cattivo.

Sold. Io stesso glie ne dirò... Ma ecco appunto il duce. (entra Antonio) Bruto è preso, signore; Bruto è in poter nostro.

Ant. Dov’è?

Luc. In luogo sicuro, Antonio; e non mai, me ne fo garante, non mai Bruto sarà fatto prigione. Gli Dei lo preserveranno da tanta ignominia; e o più noi vedrai, o il vedrai solo nella sua grandezza.

Ant. Soldato, mal t’apponesti: costui non è Bruto; ma nobil preda è, nè a me meno cara. Custodisci questo Romano, e prodigagli ogni cura; perocchè, me ’l credi, meglio amerei aver per amici che per nemici uomini simili a questo. Ora scorrazzate voi altri per tutto il campo, per vedere se Bruto è spento, o se ancora respira; e venite ad avvertirmene poscia nella tenda d’Ottavio.

(escono)     


SCENA V.
Altra parte del campo.
Entrano Bruto, Dardanio, Clito, Stratone e Volunnio.

Br. Innoltrate, misere reliquie degli amici miei, e riposatevi su questa roccia.

Cl. Statilio ne mostrò da lungi la sua face accesa, e ancora non ritorna; per certo egli ancora rimase prigioniero o morto.

Br. Assiditi, Clito, assiditi al mio fianco. — Strage è la parola che or vola soltanto per tutte le bocche. — Odimi, Clito.

(favella sommesso)     

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Cl. Oh! che dite, signore? No, no, per tutto il mondo.

Br. Calmati; non rispondermi.

Cl. Meglio amerei uccider me.

Br. Dardanio, ascolta.

(parla a bassa voce)     

Dard. Io commettere tale opera?

Cl. Oh Dardanio!

Dard. Clito!

Cl. Qual mala inchiesta ti fè’ Bruto?

Dard. E’ vuol che l’uccida. Mira com’è profondato in pensieri!

Cl. Ora quella grand’anima è piena di dolore..... Oh possa quel dolore stemprarsi soltanto in lagrime.

Br. Avvicinati, Volunnio; odi le mie parole.

Vol. Che vuoi, signore?

Br. L’ombra di Cesare m’è apparsa due volte in tempo di notte: la prima in Sardi; poi la scorsa sera qui in Filippi. La mia ora è venuta.

Vol. No, no, signore.

Br. È venuta, ti dissi, ne sono sicuro; e ben vedi, Volunnio, come corrono le sventure di questo mondo! I nemici che ne sconfissero, e ne cacciarono al limitar del sepolcro, ne impongono di precipitarci in esso, se non vogliamo scendervi per opera loro. Buon Volunnio, fummo amici e discepoli un tempo indivisibili: or non vorrai tu, in memoria di tanta e sì calda amistà, rendermi l’ufficio di cui ti prego, l’ultimo ch’io ti richieggo?

Vol. Non ufficio di amico mi richiedete, signore.

(cresce il suono delle armi)     

Cl. Fuggi, Bruto, omai più scampo non resta.

Br. Addio dunque, avanzi dei più valorosi uomini che mai fossero vissuti; il mio cuore s’inebbria di gioia pensando ancora ai fidi che m’allegrarono quest’aura di vita. Oh prodi miei, maggior gloria io raccorrò in questo di luttuoso, che Ottavio ed Antonio collo splendor delle conquiste. Addio anche una volta: Bruto ha finito l’istoria di sua vita; e la notte che m’aggrava le sue tenebre sugli occhi, m’invita ad un solenne riposo. (maggior romore d’armi, e alcune voci con esso che gridano: Fuggi, fuggi, fuggi)

Cl. Signore, salvatevi finchè n’avete il tempo.

Br. Fuggi; ti seguirò, (escono tutti, tranne Stratone) Stratone, te ne scongiuro, rimanti al mio fianco: tu nel sentiero della vita stampasti orme onorate; or non vorrai imprimerne una d’amore in questo petto? Impugna questa spada, e rivolgi altrove il volto per un istante. [p. 153 modifica]

Strat. Prima porgetemi la destra... e addio... per sempre addio!

Br. Addio, fido amico; vivi felice la vita che ti avanza, (dà la spada, che l’altro gli drissa al cuore, e su cui Bruto si precipita) Cesare, ora sii pago... La tua morte mi fa più assai dolorosa di questa, (muore; grida di vittoria; entrano Ottavio, Lucilio, Antonio, Messala, e soldati)

Ott. Chi è costui?

Mess. L’amico del mio capitano. — Stratone, ov’è Bruto?

Strat. Libero dalle catene che ti cingono, Messala; e tale, cui i vincitori potran solo ridurre in cenere. Bruto, e null’altri, trionfò di Bruto: male ad altri addicevasi l’onore della sua morte.

Luc. In tal guisa dovea trovarti, Bruto; ne sien grazie agli Dei! Bruto, la tua morte avverò le parole di Lucilio.

Ott. Tutti gli amici di Bruto vivranno, se il vogliono, con me. — Stratone, t’è a grado venire a’ miei servigi?

Strat. Sì, se Messala il consente.

Ott. Che di’ tu, buon Messala?

Mess. In qual guisa morì Bruto, Stratone?

Strat. Avventandosi sulla propria spada, ch’io ferma gli tenni.

Mess. Ottavio Cesare, abbi dunque con te colui che rese l’estremo servigio al suo signore.

Ant. Di quanti Romani furono, Bruto apparve certo il più nobile. Tutti gli altri cospiratori s’indussero per invidia ad uccider Cesare, mentre ei puro immischiossi in quell’empia congiura, e puro ei solo e incontaminato ne uscì. La vita che ebbe, scorse limpida e tranquilla come l’onda di un ruscello che annaffia l’erbe e i fiori; e gli elementi dell’esser suo furono sì industriosamente armonizzati, che la natura potrebbe gridare all’universo: Questi era un uomo!

Ott. Onoriamone le ceneri come ce lo impongono le sue virtù: e il suo cadavere posi questa notte nella mia tenda, bello di quanti ornamenti fregiar possono un guerriero. Voi chiamate di poi a raccolta l’esercito; fate che cessi la carneficina, e apprestatevi a partecipare alla gloria di cui ci fa lieti questo bel giorno.

(escono)     

FINE DELLA TRAGEDIA.