Gli amori pastorali di Dafni e Cloe/Supplemento

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Supplemento del traduttore alla lacuna del Ragionamento primo

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Longo Sofista - Gli amori pastorali di Dafni e Cloe (III secolo)
Traduzione dal greco di Annibale Caro, Sebastiano Ciampi (XVI secolo)
Supplemento del traduttore alla lacuna del Ragionamento primo
Ragionamento quarto Appendice
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SUPPLIMENTO DEL TRADUTTORE.




Scampato Dafni da questo pericolo, come gentile e conoscente che egli era, ringraziò Dorcone del suo aiuto, offerendosegli molto; e la Cloe altresì gli prese affezione, e fecegli intorno di molte amorevolezze. Era Dorcone un cotal tarpagnuolo inframmettente, di pel rosso, di persona piccoletto, e di maniere tutto nel praticar curioso, nel parlar lusinghiero, e nel pensier malignuzzo: insomma un cattivo bestiuolo. Aveva costui più volte veduto la Cloe, e, piacendogli, cercava di farlesi amico; e di già aveva gittata un motto a Driante di volerla per moglie. Ora, in su questa occasione, veggendo Dafni cortese e soro com’era, e parendogli la Cloe semplicetta ed arrendevole per le carezze, ch’ella per amor di Dafni gli facea, pensò di che addomesticarsi con esso loro più strettamente, perchè il suo disegno gli riuscisse; e fattilisi con molte parole e con molte sue novelle amici, e lasciato un appicco per rivedersi, se ne tornò per allora a’ suoi bovi, tutto acceso della bellezza della Cloe, ed aschioso della pratica, che vi tenea. Rimasti i due giovinetti soli, se n’andarono verso la grotta delle Ninfe, per ringraziarle del pericolo scampato, e cogliendo tra via de’ fiori, fecero a ciascuna di esse la sua corona; poscia adoratele e ringraziatele, uscirono sul pratello davanti alla grotta, e quivi d’altri fiori fatte ghirlande per loro, così inghirlandate se ne scesero al bagno delle Ninfe. Era questo bagno a’ piè d’esso pratello, perciocchè l’acqua che della grotta usciva, per mezzo d’esso correndo, giungeva [p. 107 modifica]ad una ripa tagliata del medesimo sasso che la grotta, e quindi cadendo, e d’uno in un altro macigno, percotendo, e romoreggiando, si ricoglieva tutta a piè della ripa in un pelaghetto bellissimo; e perciocchè la ripa dal mezzo in giù era sotto in varie grotte cavata, una parte del laghetto dentro da quelle riducendosi, faceva altri bagnetti, e conserve d’acque calde, fredde, temperate più e meno, secondo i diversi temperamenti del caldo, e del freddo, che in ciascun ridotto faceva o il sole, o l’ombra, che vi fosse; e dove l’acqua non giungeva, qua una grotta faceva stanza asciutta, là una falda porgeva un seggio erboso, o di verde muschio appannato: e ’l sole, che, dacchè nasceva insino a mezzo giorno, in certe di esse caverne feriva, ripercotendo dalla chiarezza dell’acqua nelle volte di sopra, faceva di continuo lampeggiamenti, e ’ncrespamenti di certi splendori lucidissimi, e quivi il bagno era caldo; poscia più a dentro, dove il sole non feriva, secondo che l’acque s’allontanavano dal caldo, così tiepide, fresche, e fredde si trovavano. L’altra parte del bagno era tutta allo scoperto; e perciocchè il letto era del medesimo sasso vivo, la bianchezza dell’acqua facea che la paresse tutta d’argento: e perchè le sponde per lo spruzzolar dell’acqua, che di sopra le bagnava, e per l’umor che di sotto le nutriva erano sempre di rugiadosi fiori dipinte, e d’erbe verdissime e freschissime vestite, per tutto il lor giro ripercotendo il verde dell’erba col cristallino dell’acque, riluceva un fregio di smeraldo finissimo; e da ogni banda, sendo l’acqua limpidissima, si vedevano certi piccoli pescetti scherzare, i quali a lor dilett, o quando disturbo venìa lor fatto, sotto al concavo delle sponde, o per le buche delle grotte si riducevano. Stati alquanto i giovinetti a mirar la bellezza del lago, gli scherzamenti de’ pesci ed i lampeggiamenti del sole Dafni, tirato dalla vaghezza del loco, si spogliò ignudo, e lasciato il suo tabarro alla Cloe, se ne corse in cima alla ripa, e quindi spiccato un salto per insino al mezzo del pelaghetto, si gittò giuso, con maggior paura della Cloe, che quando nella buca lo vide cadere; perciocchè [p. 108 modifica]andatosene al fondo, stette per buono spazio a tornar suso; poscia venuto sopra, sbuffato ch’egli ebbe, come quello che era buonissimo nuotatore, prese a fare in su l’acqua di molti giuochi; ed or rovescio, or boccone, or per il lato fece quando il ranocchio, quando la lepre, quando il passeggio, e quando il tuffo; fece il tombolo, fece il paneruzzolo, fece tutti i giuochi, che si fanno in su l’acqua, di tutte le guise con meraviglioso piacere ed attenzione della fanciulla. Era Dafni di statura mezzana, e ben proporzionata; di capegli neri e ricciuti; di viso modesto e grazioso, e d’occhi allegri e spiritosi; avea le sue braccia ritondette, e bene appiccate; le gambe isvelte, e ben dintornate; il torso gentilesco e morbidamente ciccioso; il volto, e l’altre parti ignude, per la cottura del sole, erano come di un colore olivigno, quasi ad arte inverniciate; l’altre coverte, erano di un vivo candor di latte misto con una porpora di sciamintino nativamente carnate: ciascuna parte per se stessa bellissima, e tutte insieme piene di leggiadria, formavano una persona, che come di nobile tenea del delicato, e come di pastore avea del robusto.

Di tutte le sue fattezze si componeva quell’aria, che bellezza si chiama; di tutti i suoi moti risultava quell’attitudine, che grazia si domanda, e tutte due insieme portavano vaghezza agli occhi di chiunque le vedeva; e questo è ’l focile, con che percotendo Amore gli occhi dei più gentili, accende lor foco nel core. Con questo davanti a Dafni avea egli più volte percossi gli occhi della fanciulla; ma le percosse, come quelle che non venivano da tutte le sue bellezze, nè da tutta la sua grazia intera, non isfavillarono mai con tanta forza al core, che v’accendessero l’esca del desiderio, come ora, che assagliendolo unitamente con tutte le sue bellezze, riforbite dalla purezza del bagno con tutta la sua grazia accresciuta dall’arte del nuoto, la colpì negli occhi con tanto impeto, e quindi nel core con tante scintille, che incontinente, con tutto che di rozza e fredda pastorella fosse, non pure il fuoco vi s’apprese, ma con di molti lampi si mostrò subito fuori; onde con gli [p. 109 modifica]occhi attentissimi, con la mente da ogni altra cosa alienata, e con la persona tutta inverso Dafni inclinata, si stette per lungo spazio immobilmente a mirarlo; e mirando, lo incendio le cresceva. Pur mentre il piacer della vista lo rinfrescava, sempre dilettoso le parve; ma poscia che manco le venne, subitamente in affannoso le si rivolse, perciocchè Dafni, fatte ch’ebbe di molte tresche, rivolgendosele, come per ischerzo le disse: «Addio, Cloe; io me ne vo sotto, a star con le Ninfe;» e tuffatosi in un tempo davanti a lei, se n’andò lungo le sponde, coperto dalle ombre delle ripe, a riuscir chetamente dentro le grotte; e, postosi in una di esse all’asciutto, attendeva dalla crepatura d’un sasso quel che la fanciulla facesse. La Cloe poscia che di vista l’ebbe perduto, e che egli per molto che l’aspettasse non ritornava, credendosi prima certamente, che affogato si fosse, dirottamente piangendo e gridando, s’era già mossa correndo a cercar d’intorno qualcuno, per veder di soccorrerlo; quando Dafni, con certe voci chiamandola, la fece fermare. Poscia di nuovo per ischerzo, con tutto che molto fosse chiamato da lei, mai non rispose; ma le istesse voci della fanciulla, dall’eco della grotta rintonate, e così donnesche come erano, e da quelle di Dafni diverse indietro tornando, come da più grotte, per la diversa distanza, diversamente riverberavano, così di più donne, e di più sorti voci parevano alla semplicetta che fossero: laonde ricordandosi di quel che Dafni nel tuffarsi avea detto, le venne da credere, che ivi dentro albergassero quelle Ninfe, le cui statue di sopra nel tempio si adoravano. Questa credenza le crebbe maggiormente, quando chiamandolo sentiva le voci, qual più da presso, e qual più da lontano, che medesimamente lo richiamavano. «Dafni vieni a me,» diceva ella: «a me, a me, a me,» le voci rispondevano «chi ti ritiene, Dafni mio? io, io, io,» separatamente reiteravano. Questi e molti altri simili inganni d’eco, di cui non aveva la semplice fanciulla notizia, le persuasero che le Ninfe fossero quelle, che il suo Dafni le ritenevano. Già le sue bellezze vedute, le avevano desta [p. 110 modifica]vaghezza e diletto: ora celate, le crescevano incendio e desiderio. La tema che fosse morto, la trafiggeva mortalmente; la speranza che fosse vivo, non la consolava interamente; perciocchè il pensare che ella ne fosse priva, le recava disperazione; l’immaginarsi che fosse d’altruile partoriva gelosia: così non era appena stata la meschinella dall’Amore assalita, che non solamente da molte, ma da contrarie passioni amorose si trovò in un tempo medesimo fieramente combattuta: sentiva il suo male, e come rozza, non sapeva nè la cagione, nè il rimedio; come incauta, non l’aveva potuto schifare; come tenera, non lo poteva sostenere; ed era sola, e non aveva chi l’aiutasse, nè chi la consigliasse. Fuor di sè stessa, con gli occhi fissi alla grotta, e con l’orecchie intente alle voci, si stava per lungo spazio immobile; ora quasi infuriata d’intorno al lago aggirandosi a guisa di vedova tortorella, la perduta compagnia con doglioso gemito richiamava; e fra sè medesima pensando, diceva, «Oimè! che se fosse vivo, sarebbe tornato; se fosse morto non mi avrebbe chiamata: ma se la voce che mi chiamò, fu sua, perchè ora non mi risponde? se fu delle Ninfe, perchè diversa da quella, che mi rispondono? Oimè! che le Ninfe son quelle, che non lo lasciano nè tornar, nè rispondere: Oimè! che gli faranno qualche strazio per esser forse entrato nel bagno; e forse che le sue bellezze son loro piaciute, forse che piace loro di vederlo notare, e per questo lo ritengono. Ma si fuggirà poi. Fuggiti, Dafni, fuggiti. Oimè! che non si curerà forse di ritornare. Ma egli ha pur lasciato il tabarro; si dovrà pur ricordar della sampogna; penserà pure che le sue capre son senza guardia.» E pur non tornando fra dubitar che fosse morto, e creder che le si togliesse vivo, dolente e gelosa non cessava di richiamarlo.


Fin qui il Caro; e voleva condurre il racconto fino a raggiungere la storia interrotta di Longo; ma nol fece.


fine degli amori di dafni e cloe.