Gli assempri/Di Frate Niccolò Tini Priore del detto Convento

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Di Frate Niccolò Tini Priore del detto Convento

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Di Frate Niccolò Tini Priore del detto Convento
Di frate Bandino priore di Selva di Lago, che per non rompare el silenzio lassò furare l'asino D'uno religioso el quale per la sua mala vita fu molto minacciato da uno spirito, che era addosso a una giovana

[p. 135 modifica]Di Frate Niccolò Tini Priore del detto Convento.1

CAP. 41.°


E poi per altri tempi di più Priori si sono veduti molto bellissimi segni e miracoli, però che i frati che l’avevano a fare 2 sempre, [p. 136 modifica]ponevano in quel convento per priore el miglior frate e di più santa vita che si trovasse ne la provincia. Avenne che vacando el priorato del detto Convento di Selva di Lago e volendo e’ frati ponarvi un buon priore com’era usato, fu trovato nel convento di Siena un venerabile frate el cui nome era frate Niccolò Tini, et avenga che a quello officio fusse troppo giovano, non dimeno vedendo ch’egli era vecchio di senno e di prudenzia e di santi costumi, non miraro a la gioventù del tempo si vel posero per priore. E fu fatto priore nell’anno Domini MCCCXXXII e stette priore nel detto convento cinquanta e quattro anni. Et avenga ch’egli vivesse nel mondo più d’ottanta anni sempre mantenne pura e santa virginità. Questo benedetto frate Niccolò Tini fu tanto smisuratamente umile e paziente e piatoso e misericordioso, che se nel troppo non offese Idio, non mi parbe mai vedere nè udire ricordare ne’ miei di uomo simile a lui.

Avvenne che dopo la mortalità del quarantotto alquanto tempo, fu una grande carestia per la quale molti povari venivano a la porta per la limosina, e ’l benedetto priore aveva per usanza che mai per nessun tempo a’ povari non voleva che fusse negato limosina. Unde che per quella carestia molto mag[p. 137 modifica]giormente e più facondiosamente, a quanti povari venivano abbondantemente lo’ faceva dare del pane e del vino e dell’altre cose che v’erano, intanto che ’l procuratore del convento si cominciò a scandalizzare per la troppa limosina che ’l benedetto Priore faceva fare a’ povari. Allora el Priore comandò a lui et agli altri frati, che non fusse neuno che negasse limosina a’ povari e che se nessuno la negasse che ’l correggiarebbe aspramente. Et egli medesimo quanto poteva si stava ’nteso quando e’ povari venivano a la porta, e subbito andava a loro egli medesimo però che più abbondantemente lo faceva dare la limosina che non facevano gli altri frati. Et in questo medesimo tempo spesse volte a certe fameglie bisognose dava uno staio e due di grano insieme e quando più. E quando venne el tempo de la ricolta, trovò nel granaio tanto grano quanto v’aveva quando aveva fatto el comandamento che a’ povari non fusse negato la limosina e datone lo’ abbondantemente. E quantunque egli avesse grandissime fadighe et angosce e tribulazioni et affanni, intanto che mai none stette senz’esse, e non dimeno la sua mente santa non si mutava mai a impazienzia, anco sempre era tanto pacifico e mansueto e benigno e lieto, che sempre pareva [p. 138 modifica]ch’egli ardesse di carità. E d’ogni aversità e prosperità altrui, così si rattristava e ralegrava come fusse stata sua propria. Et i forestieri che gli capitavano a casa gli riceveva con tanto amore e carità, che tutti pareva che gli fussero fratelli e figliuoli, che longo tempo non gli avesse più veduti. E mai di sua bocca non esciva parola oziosa o reprensibile. Vacava molto a orazione di dì e di notte et innunque egli andava per lo Luogo sempre andava orando. Viddi questo di lui in parte e parte udii da un caro suo amico, che ragionandosi co’ lui, semplicemente gl’il disse ciò,3 fu che nel tempo che l’officio de’ Nove4 si mutò, che reggeva la città di Siena, e resse doppo loro l’officio de’ Dodici; fu veduto venire ne la Selva del Comune di Siena un figliuolo di Messer Ranieri da Casole con alquarti fanti. E siccome [p. 139 modifica]lo Spirito Santo parla per bocca de’ Servi di Dio, così medesimamente el demonio dello ’nferno parla per bocca degl’iniqui e pessimi uomini, cominciaro a sparlare di questo benedetto Priore5 dicendo che egli ricettava gli sbanditi che venivano a far male ne la città di Siena e che gli avevano veduti. Unde che molti contadini vennero al luogo di Selva di Lago e fecero sonare la campana a martello. E trovovisi el dì più di quatrocento contadini armati. Et a Siena corse la boce che a Selva di Lago si ricettavano gli sbanditi e coloro che venivano per far danno a la città. Unde che in Siena si levò el romore nel Campo e molto popolo vi si congregò, gridando che a Selva di Lago6 s’andasse col fuoco a guastare. Allora e’ frati di Siena mandaro subbito un messo al Priore di Selva di Lago, ch’egli [p. 140 modifica]si provedesse, però che ’l popolo vi veniva co’ la bandiera del guasto7 e già molti del popolo erano aviati. Et i contadini avevano menati tre prigionieri al Potestà de’ compagni del figliuolo di misser Ranieri da Casole, che gli avevano presi ne la Selva. E già el potestà gli aveva mandati fuore del palazzo, però che ’l popolo a furia volevano che fussero impiccati. E giognendo el messo al Priore e data la’ imbasciata, el benedetto Priore venne tutto meno di dolore e di tristizia. E subbito ricorse all’arme che debbano ricorrire e’ Servi di Dio cioè all’orazione. E subbitamente lassò stare tutta la gente che solamente nel luogo n’aveva ben dugento e tutti gridavano e sparlavano contra e’ frati et andonne in chiesa, e rinchiusevisi dentro et andonne a una cappella là dove è la tavola vecchia del Salvatore. E con molte lagrime e con amaro pianto e con grandissimo dolore cordiale si gittò in terra ginocchioni e disse: Signor mio Gesù Cristo figliuol di Dio vivo e vero, Salvatore e Redentore di tutta l’umana generazione: Tu sai che per la grazia tua hai permesso che io sia priore e [p. 141 modifica]guardiano di questo tuo santo luogo, avenga che io non ne sia degno, non dimeno per la grazia tua te l’ho guardato più di vinti anni. Ora pe’ miei peccati non tel posso più guardare, non estante che in quello che c’è apposto siamo innocenti. E dette queste parole subbitamente essendo el tempo chiaro e bello e nell’aria non si vedeva nessuna nuvila, essendo già presso al vespero, quasi come se le nuvile fossero state nell’aria invisibili, vene ne una piova tanto grande e per sì fatto modo che quegli tre uomini ch’erano già fuore del palazzo del Potestà, e’ quali erano menati a furia senza colpa a ’npiccare, fuorono rimenati dentro nel palazzo del Potestà, e poi trovando la loro innocenzia, campare. El popolo ch’era armato nel Campo s’andarono tutti a le case loro a disarmare. E quelli ch’erano già in camino per andare ad ardare el Luogo si tornaro a dietro. E medesimanmente e’ contadini ch’erano dentro e di fuore del luogo, ciascuno si tornò a le case loro, sicchè in poca dotta el luogo tutto si sgombro di gente, e quel benedetto Priore rimase in pace co’ suoi frati.

Quest’altro miracolo tutti e’ frati che erano allora nel Convento, che erano ben dodici, ne fuoro testimoni. Avenne una volta [p. 142 modifica]questo caso, che uno offerto8 che v’era molto antico el quale aveva nome Guido, facendo un dì alcuna cosa sciaguratamente, gli venne fatto alcun danno al Convento. Per lo quale el demonio dello ’nferno volendo scandalizzare quel benedetto Priore, che per altro modo nol poteva scandalizzare, misse tanta tristizia e tanta malinconia nell’animo di quello offerto per lo danno che aveva fatto, che una mattina per tempo prese al capresto de la bestia et inpiccossi per la gola esso medesimo. E poco stante un laico ch’era nel convento procuratore,9 volendo mandare la bestia a Siena per certo bisogno di convento, e vedendo la bestia sciolta senza ‘l capresto, subito insospettì, però che ’l dì dinanzi anco s’era voluto affogare e non aveva potuto perch’era stato soccorso: si chiamò un’altro offerto ch’era ine presso e disse, vedrai che Guido si sarà impiccato egli stesso, però che la bestia non ha el caprestro et andando subbito a mirare viddero che era impiccato. Allora l’altro offerto andò a chiamare al Priore et e’ frati. E quello laico che era molto forte el prese di sot[p. 143 modifica]to a la centura e soppesollo; et avendolo soppesato, non vidde come fu fatto drusciolare e caddeli di mano e dette una scossa per sì fatto modo, che egli al tutto credette che fusse dinoccolato el collo. E giognendo poi el Priore, tagliaro la fune et ispiccarlo e portarlo in una corticella10 ine presso. El Priore fece fare un buon fuoco e pose quel corpo allato al fuoco su ’n un materazzo. E fatto questo, quel benedetto priore raccomandò el luogo a un frate che v’era più antico e disseli, che tutto ’l dì con tutti e’ novizii che v’erano, stessero con quello misero corpo, e strifinasserlo e riscaldasserlo co’ panni caldi. E non si ristessero el dì di dir salmi e paternostri e dell’avemarie, e pregassero Idio per lui. E poi se n’andò in chiesa dinanzi a la tavola vecchia del Salvatore, e comando che per nulla cagione che potesse avenire non fusse nullo che passasse di sotto all’uscio de le reggiuole. E tutto dì, da la mattina per tempo insino la sera a compieta, stette in orazione dinanzi a [p. 144 modifica]quella benedetta e santissima immagine del Salvatore, senza mangiare e senza bere che mai non si partì. E medesimamente stette quello misero corpo ine presso al fuoco che mai nessuno segno di vita se li vidde. Et all’ora de la compieta quello benedetto priore esci di chiesa, e venne colà dov’era quello misero corpo e preselo per lo braccio e mirollo in viso, e poi con amaro pianto el segnò e benedisse. E fatto questo, subbito cominciò a uprir gli occhi, e poi poco stante ritornò in se perfettamente. Et allora quel benedetto priore el fece confortare11 e ponare in sul letto, e poi el confessò bene e diligentemente. E s’egli era morto o tramortito, o se quel benedetto priore gli pose in secreto cavelle, non se ne potè altro sapere se non che poi visse nel torno di tre anni con buon senno e con buono conoscimento e catolicamente come die fare ogni fedel cristiano e poi morì bene. Un altra volta venendo una12 mortalità a tempo d’estate, era in [p. 145 modifica]convento solamente una botte d’un buon vino, e non aveva el convento più uno che quella botte la quale teneva dodici some, e fu l’anno molto caro el vino. Sicchè cominciaro e’ contadini di tutte le ville d’intorno a mandare co’ fiaschi per questo vino per li loro infermi. E quel benedetto priore, come quel ch’ardeva di perfetta carità, a tutti lietamente ne dava, dicendo sempre che venissero per quantunque ne lo’ bisognasse, et ogni dì se ne traeva molti fiaschi per loro. Et anco per cittadini che venivano per lor fatti al Senatore, che fuggi ine per la mortalità, e stettevi parecchie semane, e per molti altri forestieri che venivano se ne traeva continuamente, e per lo convento non si beveva altro vino, ch’erano in convento da dodici bocche e così durò tutta la state. E secondamente che mi disse el procuratore ch’era allora del convento, che se la botte avesse tenuto sessanta some, non doveva tanto bastare. E quando venne el tempo de la vendemmia credendo che la botte fosse votia, anco vi fu trovato cinque barili di vino. E drittamente osservava la parola dell’appostolo che dice, a ogni gente fate bene, massimamente a’ servi di Dio; che benchè facesse molta cortesia e carità a chiunque gli capitava a ca[p. 146 modifica]sa, nondimeno a’ povari faceva molto più singularmente.

Et una volta essendo andato in alcun luogo e tornando, vidde un povaro molto infermo e piagato a’ piei un melo, e per la fame si mangiava cotali meluzze che trovava per terra. E subbitamente el benedetto priore andò a lui, e presolo per la mano e menonnelo dentro nel luogo, e feceli un letto di sua mano e colcollo e lavò le sue piaghe col vino caldo, e medicollo e confortollo coll’uova e co’ la carne e con tutte le cose che gli bisognavano. E parecchie semane di saldo el medicò e servillo di tutte le cose che li fece per bisogno. E considerando che quel povaro rappresentava la persona del Salvatore di tutta l’umana generazione, al cui nome è edificato quel luogo, avevane grande odore e consolazione di servirlo, e non estante che tanto era la puzza che gittavano le sue piaghe, che nullo era che potesse patire de intrare in quella camera per la puzza che v’era dentro. E cosi el servì con molto diletto e carità tanto, che gli ritornaro alquanto le sue forze. E fatto questo gli dette un suo mantello e un tonichino, e del pane e del vino et altre coselline da confortare et alquanti denari, e mandollo al bagno e statovi alquanti di guarì perfettamente, [p. 147 modifica]e ritornò a Selva di lago a rendare laude e grazie al Salvatore, et a quello benedetto priore che gli aveva fatta tanta carità. Et anco da capo el priore el tenne alquanti dì per confortarlo e poi nel mandò sano e lieto co’ la pace di Dio. — Ebbe moltitudine di fadighe e d’affanni, massimamente per le molte compagne che nel tempo suo venivano a danneggiare nel contado di Siena, che una volta o due e quando tre volte l’anno non si convenisse ch’egli sgombrasse ciò ch’era nel luogo, e fuggisselo a le fortezze per paura de le compagne. E che impaccio e fadiga et affanno è solamente a sgombrare una casella una volta l’anno, chi l’ha provato ne sa rendare ragione, non tanto un luogo di religiosi parecchie miglia di longa. E per tutte queste cose la sua mente era impassibile, però che nulla alterazione nè turbazione gli veniva mai di veruna cosa se non dell’offesa di Dio, e di questo quando la vedeva n’aveva grande amaritudine. La faccia sua lieta pareva quella di Moisè tanto ardeva el suo cuore d’amore e di carità, e con tanta allegrezza riceveva e’ forestieri, massimamente e’ servi di Dio. — Viddi una volta questo di lui che giognendovi io una mattina con un compagno in sull’ora del mangiare, ne’ dì che s’aspettava una compagna e già era sgom[p. 148 modifica]brato tutto el luogo, e trovandovi solo el priore che gli altri frati erano fuggiti co’ la robba del luogo, e quel benedetto priore come ci vidde ci ricevette con tanto amore e carità, e con tanta allegrezza che fu mirabile cosa. Et in tutto el luogo non v’era rimaso cosa da mangiare, se non solamante due panettoli ch’egli aveva serbati per se assai piccoli, e del vino e de’ porri. E con una santa carità ci costrense che noi mangiassimo co’ lui, e pose que’ due panettoli in su ’n un desco senza tovaglia, e del vino e de’ porri. E sallo Idio non dico bugia, che io non mi ritrovai mai nè a feste nè a nozze nè a convito nessuno, dove ini paresse sì ben mangiare e tanto facondiosamente, e tanto mi giovasse del mangiare; e simigliantemente intervenne al mi’ compagno però che la dolcezza de le parole di Dio che erano ne la sua bocca, erano vivanda sopra tutte le vivande del mondo.

Questo benedetto servo di Dio fu povarissimo, che de le cose che gli venivano a le mani non riserbava per se se non la sua strema necessità, et ogn’altra cosa dispensava per amor di Dio. Ebbe questo frate Niccolò Tini due gravissime e penose infermità, le quali portò tutto ’l tempo de la vita sua con mirabile pazienzia. L’una fu ch’egli era rotto di[p. 149 modifica]sotto e davagli ismisurata pena e tormento, e massimamente quando ebbe passati cinquanta anni: che spesse volte el dì si gittava a giacere su murelli del chiostro e mettevasi le mani sotto e ripegnevasi le interiorla nel corpo che gli scendevano, e quando v’era alcuno che gli sapeva aitare si ’l chiamava, e quando nol poteva avere si faceva egli stesso come poteva. El più volte el viddi che stregneva e’ labbri e denti e mostrava d’aver tanta pena che chiunque ’l vedeva faceva stupidire. L’altra infermità fu ch’egli era strettissimo del corpo et anco questa gli dava ismisurata pena intanto che poi alfine se ne morì. E per tutte queste infermità non perdonò mai a nessuna fadiga. Et i digiuni de la Santa Chiesa e dell’Ordine suo mai non preterivano, e le vigilie de la nostra donna et i venardì di marzo sempre digiunava in pane et acqua, e la mezzedima mai non mangiava carne. — Poi venendo el tempo che ’l Salvatore e Redentore di tutta l’umana generazione voleva ponar fine a le sue fadighe, nel cui luogo e priorato l’aveva servito cinquanta e quattro anni, sì gli crebbe la sua antica infermità et istette nel torno di dodici dì che non potè andare del corpo nessuna cosa. Sicchè vedendosi dover morire, mandò al Generale ch’era allotta a [p. 150 modifica]Siena, che mandasse un Vicario che avesse cura del Convento, col qual’ Vicario fui mandato io in sua compagnia. E confessato ch’egli fu et avuto poi tutte le sacramente, chiamò el Vicario e pregollo che egli el racomandasse a’ frati che pregassero Idio per lui, e che egli facesse sotterrare el suo corpo appiei la fune de la campana. E poi venendo a lo stremo mi chiamò per nome e disse: farai l’officio a la mia sepoltura; e detta questa parola passò di questa vita con molta pace. Io credendo ch’egli avesse detto per farnetico ovvero per l’affanno de la morte, non vi pensai più. Poi essendo pregato dal Vicario che io facesse l’officio a la sua sepoltura, scusavomi di non farlo, non perchè io non volesse ubbidire, ma perchè non mi pareva essere degno di far l’officio a sì venerabile religioso. Poi facendo l’officio mi ricordai de la parola che m’aveva detta che io facesse l’officio a la sua sepoltura e viddi ch’egli era stato profeta nel fine suo. Passò di questa vita questo benedetto servo di Dio frate Niccolò Tini negli anni del Signore MCCCLXXXVIII a’ dì nove di ferraio. Io che scrissi le sopra dette cose fui suo novizio e conventuale per alcun tempo, et ebbi sua notizia nel torno di trenta e quattro anni e parte de le sopradette cose viddi e par[p. 151 modifica]te n’udii da altri frati degni di fede e’ quali viddero le sopradette cose, in fra quali ce n’ebbe uno grandissimo servo di Dio, che più volte l’udi a confessione generalmente di ciò ch’egli aveva mai fatto. Et udendo leggiare le sopra dette cose m’affermò e’ ogni cosa era vero come è scritto.


Note

  1. È nelle storie de’ Santi Leccetani chiamato de’ Marescotti. Ma dalle Cronache Bisdomini e dalla autorità in efragrabile di Fr. Filippo è dato ai Tini.
  2. Cioè: che avevano a fare il Priore.
  3. Così l’orig. Ma forse il ciò vuol significare ciò che fu, come rettamente dovrebbe scriversi.
  4. Cadde il Magistrato de’ Nove l’anno 1355, e fu in gran parte per fraudolenti instigazioni di Carlo IV imperatore. Durante gli sconvolgimenti che ebbe a sopportar la città nelle lotte di quell’anno fra i nobili e il popolo, molti signori di contado si ribellarono colle castella loro, fra’ quali Massa e Casole; ribellione che fù ferocemente repressa.
  5. Intendi che ciò dicevasi in Siena.
  6. La Selva che giaceva intorno ad un lago presso a 4 miglia da Siena era del Comune, e se ne parla sempre nelle antiche carte come d’una misteriosa Ardenna. II Convento degli Eremitani era ivi accosto, e l’altro loro Oratorio di S. Leonardo stava del tutto attiguo alla Selva. Ora seccato il lago non più ha il nome di Selva, ma di Piano del Lago, con bellissimi e ubertosi campi, ma senza quei contadini scherani d’allora, e quei frati straricchi e discordi.
  7. Il corpo de’ guastatori.
  8. Frate non professo, oblato.
  9. Provisioniere, maestro di casa.
  10. Piccolo ridotto all’ingresso del convento, stanzetta del portinaro. Nello spedale di Siena chiamavasi così un simile ridotto, ove un frate stava di guardia, onde ricevere per una finestrella i gittatelli, che si esponevano di notte tempo.
  11. Benchè non dica con che lo confortasse, intenderemo, che fosse con somministrare a lui, brodi e spiriti come il caso chiedeva.
  12. Questa peste e carestia vennero di seguito fra il 1389 e 90. Il Senatore che sotto si nomina, era allora prima carica militare e civile nella Repubblica.