Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte I/Capitolo VI. Incontro di più consonanti in una parola: alterazioni che ne conseguono.

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Parte I - Capitolo VI. Incontro di più consonanti in una parola: alterazioni che ne conseguono.

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Parte I - Capitolo VI. Incontro di più consonanti in una parola: alterazioni che ne conseguono.
Parte I - Capitolo V. Incontro di più vocali in una parola: iato, ed alterazioni da esso prodotte. Parte I - Capitolo VII: le sillabe.

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CAPITOLO VI

Incontro di più consonanti in una parola: alterazioni che ne conseguono.


§ 1. In una stessa parola si possono trovare a contatto due e talora tre consonanti. La nostra lingua che ama la dolcezza e la fluidità della pronunzia, non consente che un numero assai limitato di tali accozzamenti, come vedremo. Il cattivo suono prodotto da accozzamenti di consonanti, disformi dall’indole della lingua, si chiama con greca voce cacofonia.


§ 2. Tutte le consonanti (eccetto h ed j) possono trovarsi doppie in mezzo di parola, purchè siano precedute da vocale. P. es. due mute in bábbo, tréccie, tútto; due liquide in erróre, bèllo, sónno, drámma; due spiranti in efflúvio, spésso ecc. Q si raddoppia con c: p. es. quiète, acquietáre; ácqua, ecc. Questo raddoppiamento della medesima consonante si dice, con termine proprio, geminazione, ed ha origine diversa; poichè talora è primitivo e scende dal latino, talora dipende dall’accento, talora da un iato seguente, talora da assimilazione.


§ 3. Più mute diverse non possono accoppiarsi. Non si trovano in voci italiane nè bd, nè bc, nè db, nè pt, nè tp, nè dt, nè altri simili accozzamenti, i quali, se talvolta nascerebbero dalla derivazione delle voci, si appianano per assimilazione, uniformandosi la prima consonante alla seconda: e di qui ha origine, molte volte, la geminazione delle mute che si trova nelle parole, p. es. in fátto, átto, détto, ecc.


§ 4. Diverse liquide e spiranti o fra loro o con mute si possono incontrare, ma dentro i limiti che ora indicheremo: [p. 40 modifica]

r può precedere tutte le consonanti eccetto h e j e può seguire tutte le consonanti, fuorchè queste medesime, ed inoltre q, l, m, n, z. Gli accozzi lr, nr produssero assimilazione. P. es. da dolére venne dolrò e poi dorrò; da volére, volrò e poi vorrò: da onorévole, onrévole e poi orrévole; da in e regoláre, irregoláre; da con e rómpere, corrómpere. Tra m ed r si inserì talvolta una b, come si vede nella voce sembráre (simulare, sem-lare, sem-rare); e in rimembráre, paragonato a rimemoráre (sinc. rimem-rare).


§ 5. r si aggiunse talora dopo una muta. Quindi le doppie forme tonáre, rin-tronáre; celèste, cilèstro; valènte, valèntre antiq.; bulicáre, brulicáre; e molti guastamenti plebei, come èrpetre per èrpete; mántrice per mántice:

fra g ed r si inserì talvolta, per agevolezza di suono, una vocale: p. es. da ágro, mágro si fece, in istil popolare, ághero e mághero. Altre volte, la muta si perdette. P. es. négro, néro; intégro, intéro:
vr non si trova mai in principio di parola. Talvolta anche in mezzo la r si perdette. P. es. avrò, arò, ecc. antiq.


§ 6. l può precedere tutte le consonanti, eccettuate h, j, r; e può seguire tutte le consonanti, eccetto le dentali d, t le nasali m, n, la z, la q, la v. Quanto ad lr, vedi qui sopra il § 4. Nl si assimila; p. es. da in-lécito, illécito; da con lo, cóllo. Fra m ed l si trova per buon suono, una b. P. es. assem-b-lèa; sembiánte per sem-b-lante (vedi qui sotto il § 7). Atlánte e atlèta e qualche altra voce conservano la forma greca.

Popolarmente rl si assimilò in ll: p. es. da vedérlo, vedéllo; da guardárlo, guardállo. Si usa comunemente la prep. artic. pel accorciamento di péllo da per lo.


§ 7. I gruppi pl, bl, cl, gl (con g gutturale), fl in principio di parola spesso si ammollirono in pi, bi, chi, ghi, fi passando per plj, blj, ecc. Quindi le doppie forme in senso diverso; plébe, piève; oblíquo, bièco con aferesi; cláustro, chiòstro; glánde, ghiánda; fláto, fiáto. In mezzo di parola talora si tenne lo stesso procedimento, talora invece davanti ad l ammollita sparve la gutturale, restando il nesso grafico gl. Quindi le doppie forme spècchio, spèglio (da spèclo), vècchio, vèglio (da vèclo); orécchia, oréglia (da orécla); veglia, vegghia, ecc. delle quali forme la seconda è plebea e poetica.

Fra g-l si inserì talvolta una vocale, come nel modo popolare Inghilése per Inglése. [p. 41 modifica]


§ 8. m non può precedere altra consonante che le labiali p e b con cui serba stretta affinità. Non può seguire ad altre consonanti che ad l, r, s:

sm in mezzo di parola si trova quasi soltanto in voci greche. Spesso vi si interpose i. Donde le doppie forme fantásma e fantásima; battésmo poet. battésimo; cristianésmo poet. cristianésimo e simili; crísma e crèsima:
gm produsse, per lo più, l’assimilazione: da dògma, dòmma; da enígma, enímma. Nella forma antiquata auguménto dal lat. augmentum fu inserita un’u. La forma moderna è auménto, con perdita di g:
m fu premessa, per rinforzo, a b in imbriaco da ebriáco, ubriáco; in vámpa, da confrontarsi con vapóre.


§ 9. n può precedere tutte le consonanti, eccettuate le labiali p e b e le liquide l, r. Può seguire solo le consonanti r ed s; e di rado l:

n fu premessa, per rinforzo, a d come si vede in amendúe da ambedúe; in rèndita accanto a rèddito neologismo preso dal latino.
davanti a p e b si assimila, cambiandosi nella loro affine m. P. es. da in e possíbile, impossíbile e non inpossíbile; da in e bócca, imboccáre:
davanti ad l ed r si assimila. Vedi sopra § 4 e 6:
il gruppo gn che potrebbe scriversi ñ forma sempre un unico suono, come dicemmo nel cap. v, § 12.
il gruppo ng davanti ad i ed e talvolta si ammollisce in nj che si scrive e si pronunzia gn. Quindi le doppie forme spèngere, spègnere; piángere, piágnere, ecc.; Ángelo ed Ágnolo (invece di ágnelo); e molte altre.


§ 10. s può precedere tutte le consonanti, eccettuate h, j, z. Non può seguire alcuna consonante, eccettuate l, n, r:

s talvolta si prepose, per rinforzo, a parola cominciante da consonante: p. es. maníglia, smaníglia; biéco, sbiéco; piággia, spiággia; manía, smánia in altro senso:
parole incomincianti per s seguita da altra consonante (s impura) premisero per buon suono un’i. Quindi stáre, istáre; stimáre, istimáre; spésso, ispésso; stólto, istólto; stánza, istánza; speránza, isperánza, ecc. le quali forme allungate si trovano spesso negli antichi scrittori. Oggi quest’aggiunta dell’i resta come forma mobile quando la parola precedente finisca per consonante. P. es.

Non isperate mai veder lo cielo.

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§ 11. n davanti ad s riesce dura all’orecchio del popolo: quindi molte volte si perdette. P. es. da offénso poet. offéso; dall’originario tonsáre, da confrontare con tonsúra e intónso, si fece tosáre. Le voci finite in ènse presero forma in ése, come i nomi di cittadinanza Lucchése, Pistoiése, Sanése, ecc. ecc. Alcune serbano tutte e due le forme.


§ 12. f può precedere soltanto r e di rado l (vedi qui sopra, § 7): può tener dietro soltanto a l, n, r, s:

v può precedere soltanto r (in mezzo di parola): può seguire soltanto l, n, r, s:
z (lettera doppia) non può precedere nissuna consonante: può seguire soltanto l, n, r.

Quanto ad h ed j, vedi quello che abbiamo detto delle altre lettere.


§ 13. Tre consonanti di seguito in una parola non si possono trovare che nei casi seguenti:

che le prime due siano mute geminate, o un’f geminata, e la terza un’r e di rado l: p. es. attrárre, acclúso, efflúvio:
che la prima sia una liquida o nasale (l, r, n, m) o un’s, e le due seguenti una muta o una f seguite da r, od l. P. es. óltre, sorpréndere, entráre, ómbra, sbracáto, stráno, splendóre, sfracelláre.