Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte I/Capitolo VII: le sillabe.

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Parte I - Capitolo VII: le sillabe.

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CAPITOLO VII

Le sillabe.


§ 1. Si dice sillaba la comprensione di una o più lettere (delle quali una almeno sia vocale) in una sola emissione di fiato.

Una sillaba può contenere una sola vocale, ed anche fino a sei lettere tra vocali e consonanti. P. es. a--co, ó-ra; schiòp-po, schian--re.


§ 2. Le sillabe che risultano d’una sola vocale o d’una vocale unita con una sola consonante, si chiamano semplici. Quelle che risultano o di più vocali, o d’una vocale con più consonanti, o di più vocali e consonanti insieme, prendono il nome di complesse. P. es. è-de-ra, o--re, ón-ta; -mo, suò-le, piè-de; spí-a, stroz--re, stuò-lo.


§ 3. Vocali. I dittonghi (vedi cap. ii, § 23) formano una sillaba sola. P. es. distesi: au-ròra, rei-, e-ròi-co; raccolti: biá-simo, pio-vèndo, fiu-táre.

Talora col dittongo si fonde insieme un’altra vocale, donde risulta il trittongo o triplice suono, che forma anch’esso una sola sillaba. Ciò può avvenire o nei dittonghi distesi quando la loro vocale dura faccia insieme dittongo raccolto con una vocale molle che la preceda: p. es. arrab-biái; mièi; suói, o nel dittongo raccolto uo preceduto da i; p. es. bestiuòla, assiuòlo; ma non pi-uòlo. (Vedi qui sotto § 4). Se però la vocale molle è un’u preceduta da q o g, come quéi, [p. 44 modifica]guái; o un’i preceduta da gl o ,c, come spogliái, cacciái, allora il trittongo è solo apparente (cap. v, § 2).

Per la stessa ragione il trittongo è solo apparente in quiète, e sono apparenti i così detti quadrittonghi (sillabe di quattro vocali), che alcuni vogliono trovare in figliuòi, lacciuòi e simili.


§ 4. Una vocale dura con una molle non sempre formano dittongo, nè si pronunciano in una sillaba; ma spesso costituiscono due sillabe diverse. Ciò accade specialmente nei seguenti casi:

nelle parole derivate o composte, in cui i appartenga al prefisso, o alla prima parte, e l’altra vocale alla seconda parte della parola. P. es. ri-, ri-avére; ri-árdere, ri-árso; ri-èsco, ri-uscíre; chi-únque:
in altre parole, come di-áspro, li-úto, li-óne (poet. per leóne): pi-uòlo; e molte di quelle voci dove i è preceduta da r, e non seguita da e. P. es. tri-ónfo, settentri-óne, tri-ário, ori-uòlo, ecc.:
nelle parole derivate, quando la parola primitiva richiedeva l’accento sull’i. P. es. vía, vi-ále; Dío, indi-áto; spí-a, spi-áre.


Queste osservazioni valgono anche se l’accento della parola derivata non posa più su alcuna delle due vocali. P. es. vi-a--re, ri-ar--va.


§ 4. La vocale u appoggiata sopra a, e, i forma con esse due sillabe distinte, ove non sia preceduta da g o q, nel qual caso l’u si fonde in un unico suono colla consonante. (Vedi cap. v, § 2). Esempi: arcu-áto, consu-èto, acu-íre. Al contrario u-guá-le, quá-dro, guèr-ra, que-stióne, ac-quísto. Si eccettua argu-í-re ove gu resta diviso da i: [p. 45 modifica]

, non preceduto da g o q, non forma neanch’esso dittongo, fuorchè nel caso che stia invece di un semplice o, come nelle voci ròta, ruòta; vòto, vuòto; tonáre, tuòno; sorèlla, suòra, ecc. Al contrario untu-óso, flessu-óso, e simili, dove uo è primitivo.


§ 5. Molte volte accade che due vocali, senza formare propriamente dittongo, vengano pronunziate e, scrivendo, unite in una sola sillaba. Ecco i casi più comuni:

ia, ie, io, posti in una parola dopo la sillaba accentata. P. es. áb-bia, ábbia-no, ò-dia, grá-zia, glò-ria, prò-prio:
ua, ue, ui, uo preceduti da g e q e posti parimente in una parola dopo la sillaba accentata. P. es. lín-gua, lín-gue, cín-que. Si eccettuano ambígu-o, contígu-o, irrígu-o ed altre simili voci, che in latino hanno doppio u dopo g.

Tali accozzamenti di vocali vengono detti da alcuni dittonghi improprii.

Quanto al verso, vi sono alcune regole speciali. In mezzo di verso due vocali qualunque siano, la prima delle quali sia accentata (abbiavi o no il dittongo disteso) si pronunziano ordinariamente in un tempo solo e valgono per una sola sillaba. P. es.

I’ non vi discer-nea- veruna cosa.
Che suoli al -mio- dubbiare esser conforto.
Andiam che la -via- lunga ne sospinge.
Che fa-céa-no un’incognito indistinto.

Di rado si trova violata questa norma. P. es.

Ond’ella appresso d’un pi-o sospiro.

Al contrario in fine di verso. Quando la vocale accentata cada sulla sillaba penultima d’un verso piano o sull’antepenultima d’uno sdrucciolo si pronuncia sempre distinta dalla vocale seguente, siavi o no dittongo disteso. P. es.

Che la verace via abbandona-i
Confuso si tacea lo stuol giudá-ico.

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Anche due vocali senz’accento in fin di verso prendono spesso il valore di due sillabe. P. es.

Vergin di servo encomio


dove io si pronuncia distintamente, in modo che il vocabolo diventa sdrucciolo.

Si chiama sireresi la fusione di due sillabe in una, e dieresi la divisione di un dittongo in due sillabe. La sineresi non si suole indicare con alcun segno; ma la dieresi si segna con due puntolini (¨) posti sopra la prima delle due vocali. P. es. passïóne.


§ 6. Consonanti. Una sola consonante davanti a vocale in una parola, forma sempre sillaba con la vocale medesima. P. es. de-si-de--re.


§ 7. Due consonanti consecutive davanti a vocale in una parola, formano sillaba con essa vocale nei seguenti casi:

che una delle consonanti mute b, c, d, g, p, t, o le spiranti f e v precedano una r. P. es. brè-ve, de-créto, drá-go, sa-gre-stía, prè-te, in-trú-so, ri-trò-vo. Di rado è usato vr, come in ò-vra, le-vriè-re:
che una delle consonanti mute b, c, g, p, e la spirante f precedano una l. P. es. o-blí-quo, re-clú-so, glò-ria, de-plò-ro, ef-flú-vio:
che una s preceda un’altra consonante qualsisia, fuorchè sè stessa, o l’h o la z. P. es. -sbe, -sca, di-sdò-ro, sgo-láre, ecc.:
gn, ch e gh valgono per consonanti semplici.


§ 8. Tre consonanti consecutive davanti a vocale formano sillaba con essa nel solo caso:

che una s preceda uno dei gruppi di due consonanti qui accennati non comincianti per s. P. es. sbra-náre, di-scré-to, sfra-táto, e-sclú-dere, sdrá-jo.

I gruppi cn, cs, cm, ct, ps, pt, pn, tl, gm ed altri simili non si usano fuorchè per ritrarre la pronunzia [p. 47 modifica]di parole forestiere. P. es. -cnico, Csánto, Psicología, pneu-mático, a-tlèta, ení-gma.


§ 9. Due consonanti uguali a contatto (valgono per uguali c e q) come pure una liquida davanti ad una muta o spirante, si separano in due sillabe. Quindi, scomponendo una parola in sillabe, la prima di tali consonanti si stacca dalle seguenti per unirla colle lettere precedenti. Esempi: lèt-tera, báb-bo, léc-cio; còr-da, cál-do, ál-tro, dén-tro, al-záre, ác-qua.

Le sillabe si distinguono in aperte e chiuse; secondochè escono in vocale od in consonante. Sono aperte tutte le sillabe di de-si-de--re. Sono chiuse tutte le sillabe delle voci tronche or-pel-lár, con-for-tár.


§ 10. Non è lecito, scrivendo, rompere le sillabe, ponendo una parte di sillaba in fine di riga, e una parte in principio della seguente; ma sì nell’uno come nell’altro luogo deve conservarsi intera ciascuna sillaba, conforme alle regole date sopra. Esempi: fèr-ro, Eu--pa, sprán-ga, de’-libri, tút-t’uò-mo, O--a-no.


§ 11. È uso antico fare eccezione da questo precetto per alcune parole composte, nelle quali, invece di separare sillaba da sillaba, molti separano la prima parte dalla seconda. P. es. dis-istimáre, in-ábile, ad-ágio, mis-ántropo, tras-andáre, mal-agévole. Ma quest’uso non forma una regola, sì perchè si fonda sopra una ragione etimologica difficile in molti casi a conoscersi specialmente da chi non sappia il latino, sì perchè la divisione delle sillabe non è per sua natura guidata dalla formazione delle parole, ma dall’eufonia.