Guerino detto il Meschino/Capitolo XXXVII

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Capitolo XXXVII

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Capitolo XXXVI Capitolo XXXVIII
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CAPITOLO XXXVII.


Come Milone riebbe il principato di Taranto, e cacciò i Turchi da Grecia.


P
oichè il franco Guerino ebbe trovato suo padre e la sua madre, e fatto il padre governatore, alcuni dell’oste diceano che il re Guiscardo non renderebbe il principato a Milone, di che molti si attristavano per la volontà di seguitare Milone e il figliuolo. Ma Guiscardo, sentita per la lettera quella novella, ebbe grande allegrezza, subito si partì da Napoli, e andò a Brandisio, e con una galera passò a Durazzo, dove si fece gran festa per la sua venuta, ed egli riconobbe il fratello, ed accettò per suo nipote il Meschino. Poco stette, che venne ambasceria da parte d’Alessandro al Meschino; imperocchè era morto l’imperatore padre di Alessandro, e il re Astiladoro avea cominciato a muover guerra ad Alessandro dopo la morte del padre. Fece grande allegrezza il Meschino con gli ambasciatori, e, mentre che si faceva festa a Durazzo, venne un cardinale da Roma a battezzar tutto il popolo di Durazzo, e fu resa la signoria di [p. 284 modifica]Taranto e molte altre città, e fecero Milone duca di Durazzo, e il re Guiscardo tornò in Puglia, e Milone ritornò a Taranto con la sua donna Fenisia.

Girardo e il Meschino seguirono la guerra contra i Turchi, e questi mandò a dire ad Alessandro che venisse a Durazzo a vederlo; e gli ambasciatori ritornati indietro al lor signore Alessandro, fecero la loro ambasceria, ed egli mostrò grande allegrezza del Meschino, maravigliandosi della gran fatica ch’egli aveva sostenuto per il mondo, e come potesse esser vivo, e ch’ei fosse gentiluomo de’ Reali di Francia, e per la sua persona prese grand’animo contro i Turchi, sperando che il Meschino non lo lascerebbe perire. Girardo e il Meschino fecero giuramento di cacciar i Turchi da tutta la Grecia, e insieme dichiararono di non posare sino a tanto che non li avevano cacciati. Lasciarono in Durazzo il cardinale mandato dal Papa in guardia e governo; poi Girardo e il Meschino andarono a Dulcigno; e il terzo giorno si partirono con l’oste e andarono in Schiavonia, e posero il campo ad Antina, città sopra il mare, e l’ebbero a patti il terzo giorno. Di questa novella fu grande allegrezza in Ragusi, e Napoli, ed a Spalatro e per tutta Schiavonia, perchè i Turchi non avevano più terre sul mare Adriatico. Il Meschino stette ad Antina cinque giorni, poi dirizzò l’oste verso Macedonia; presso al monte Ascano sentirono che i Turchi aveano fatto uno sforzo, ed erano accampati a pie’ di detto monte con trentamila uomini e tre franchi capitani: Calabi da Pabinia, Falachi di Salutia, ed Artibano di una provincia de’ Turchi chiamata Liconia. Questo Artibano di Liconia era tenuto il più valente e il più gagliardo di tutta Liconia. Quando il Meschino sentì questo ebbe gran temenza della sua gente, e dopo stato tre giorni a riposare chiamò Girardo e molti de’ maggiori, in tutti cento, ed in questa forma li confortò dicendo: «O carissimi fratelli, innanzi ch’io vi conoscessi era vostro capitano, e fedelmente con voi combattendo vincemmo Dulcigno e la battaglia contro Napoli, Madar ed i figliuoli; quanto maggiormente dobbiamo essere ferventissimi contro questi Turchi! La prima ragione è, che con più cura ed amore dobbiamo combattere con ogni ingegno e forza per il fraternale amore. La seconda è, che vinti costoro porremo [p. 285 modifica]fine alle dubbiose battaglie, però che non solamente costoro vincerete, ma tutta la potenza de’ Turchi che sono in Romania ed in Grecia temeranno le nostre armi. La terza è, che quei cristiani che sono nella città di Grecia si leveranno contro i Turchi e tutti saranno in nostro aiuto. La quarta ragione è, che per forza ci converrebbe difendere le nostre persone, perchè noi non abbiamo città o castelli che ci diano ricetto, se la spada non ce lo dà. Però siate obbedienti a’ vostri capitani, e non trapassate l’ordine, che io e Giraldo vi daremo, e facendo voi questo, Dio ci darà vittoria.»

Finito il Meschino la sua orazione, ognuno tornò alla sua compagnia, e spargendosi pel campo le parole del capitano, tutta la gente a piedi ed a cavallo prese ardire e speranza nella vittoria. La notte mandò il Meschino alla valle, ch’era al lato dove correva un piccolo fiumicello il quale usciva tra due finimenti di poggi, che erano un pozzo d’acqua fatto da esso fiume e pieno di pietre grandi. Il Meschino vi mandò mila pedoni, e fece levar alla notte quelle pietre e romper quel borgo e spianare quel passo, e mandò Girardo in quella valle con quattro mila cavalieri, dicendo loro, che non entrassero nella battaglia insino che non vedessero il segno; appresso fece dell’altra gente due schiere. La prima furono due mila cavalieri e quattro mila pedoni, e comandò che la mattina assalissero i Turchi con grand’animo, e sollecitassero la battaglia, e quando li avessero rimossi, si riducessero al poggio. L’altra schiera che furono sei mila pedoni e due mila cavalieri, la tenne il Meschino per sè. La mattina, quando fu giorno si rinfrescarono tutti quei del campo, non essendosi accorti i Turchi, nè avveduti di niente, ed essendo giorno chiaro, cominciarono la battaglia. La moltitudine de’ Turchi era grande, il Meschino fece ritirare indietro la sua gente insino alla salita del poggio, e i Turchi trovando i loro compagni morti, corsero pieni di furore e con terribili grida contro i Cristiani, nel qual corso furono molto danneggiati i Turchi. Il Meschino comandò alla sua gente, che piuttosto mostrassero segno di paura che no, e così fecero, ritirandosi all’alto. Allora i Turchi presero ardire, e arrivati fino a mezza costa furono alle mani con i Cristiani. Il Meschino comandò a quattro mila cavalli e mille pedoni, che [p. 286 modifica]rimanessero con le bandiere lì sul poggio, ed ei con tutto il resto dell’oste discese giù dal monte con i Turchi, i quali, essendovi sotto, con grande impeto erano spenti e traboccati per valloni e per fossi, cadendo dai loro cavalli. I Turchi, perdendo il campo loro e fino le loro bandiere, fuggirono. In questo punto Calabi vide il Meschino che molto danneggiava la sua gente, prese la scimitarra a due mani, e percosse il Meschino che tutto lo stordì; ma questi riavuto che fu, con un colpo gli giunse sopra la testa che infino al mento lo divise, e il cavallo lo trascinò fuggendo, attaccato per un piede ad una staffa, fino alle loro bandiere, dov’era il ferocissimo Artibano di Liconia. Quando Artibano vide morto Calabi, cui molto amava, diede segno che tutti andassero alla battaglia. Quando il Meschino sentì il segno dato alle bandiere, fece suonar raccolta, e ritornando verso il monte, i Turchi provavano di torgli la via, ma non poterono, il Meschino facendoli ritirare in su. In questo giunse l’adirato Artibano, e cominciò a cacciarli sopra un monte in furia, e molti cristiani fece morire; il Meschino finse mezza fuga in su tanto che i Turchi erano circa mezzo miglio su per il poggio. Allora il Meschino diede il segno a Girardo, e dato il segno, fece suonare gli strumenti alla battaglia, ed i cristiani da cavallo e da piedi come leoni assalirono i Turchi. Erano i pedoni per i luoghi migliori, che i cavalieri de’ Turchi cadevano e traboccavano per i valloni, tornando in rotta verso il campo. Ancora non erano in tutto cacciati dalla montagna, che Girardo giunse nella pianura con quattro mila cavalieri franchi, e nell’avviluppata gente de’ Turchi percuotevano, e non fu a’ Turchi più sicura difesa che la fuga. Il Meschino smontò il poggio, e per la campagna li seguiva, le loro bandiere gettando per terra. Allora Artibano vedendo il Meschino che uccise quello che aveva la sua bandiera, corse da lui e cominciò asprissima battaglia: in questo Falach di Salutia fu alle mani con Girardo, e i cavalieri cristiani gli fecero cerchio, e quivi Girardo gli tagliò la testa. Il Meschino fece gran battaglia con Artibano, e i cavalieri cristiani l’avrebbero ucciso, ma il Meschino fece stare ognuno indietro, e pregava Artibano che si rendesse, e si facesse cristiano. Alla fine Artibano [p. 287 modifica]dimandò chi fosse, ed ei gli disse come era quel Meschino che vinse la battaglia contro il re Astiladoro. Quando Artibano seppe ch’era il Meschino, prese la spada per la punta e fecesi suo prigione, e di questo fu molto allegro il Meschino.

Girardo in questo mezzo della trionfale villoria tornava indietro per la sera che si aspettava, e con gran festa si rallegrarono sul poggio, e Guerino mandò a Dulcigno, Durazzo e per quei luoghi, e non passarono quattro giorni che vennero molte carrette e carriaggi con vettovaglie. Quindi mandò tutti i feriti a Durazzo, e ancora cento armati per guardia di Artibano, il quale egli mandò a suo padre Milone, pregandolo che gli facesse onore, e che lo facesse battezzare, poi che gli desse la libertà perchè era un franco cavaliere, e mandata questa gente deliberò di levare il campo, e seguitar i Turchi, e cacciarli da tutta la Grecia.

Si partirono il franco capitano Meschino e Girardo dal monte Alcarone, ed entrarono per la Macedonia, e trovarono molte città e castelli disfatti, e molte parti dove abitavano i Turchi, e tutte le facevano soggette, e passando molti fiumi giunsero ad un fiume chiamato Albariche, e passato questo grandissimo fiume entrarono in Tessaglia la quale in poco tempo presero. E vennero verso la città di Antinopoli, dove era al campo il re Astiladoro con cento mila Turchi e quattro figliuoli, cioè Brunoro, Anfitras, Armon e Tirante; e questa città di Antinopoli era di Alessandro di Costantinopoli. Il Meschino sentendo la gran gente che aveva il re Astiladoro, non si volle mettere a pericolo; ma venne al monte Rondo, e in su quel poggio s’accampò e mandò per tutta la Grecia a radunar gente, e mandò a Costantinopoli per Alessandro. Il re Astiladoro quando sentì che Guerino era venuto al monte Rondo, ristrinse il suo campo e fece quattro schiere, e venne a combattere con lui, e tre volte assalì i cristiani, ma essi si tenevano al monte, e per questo il re Astiladoro pose campo incontro loro, dal monte e dal mare, che non poteano aver vettovaglia, e stettero otto giorni così assediati. Vedendo Guerino il pericolo mandò due ad Antinopoli a dire ch’ei voleva andare nella città, ed essi risposero ch’essi erano contenti, e una notte levò il campo, e passò verso Tracia, che non se ne [p. 288 modifica]avvidero i Turchi, ed entrarono dentro ad Antinopoli, e nel seguente giorno vi giunse l’oste de’ Turchi, che pose campo intorno alla città.

La mattina, quando il Meschino vide la città assediata, chiamati a sè tutti i maggiori della città e baroni, e li menò sopra le mura. Vedendo come i Turchi li avevano assediati, quelli della terra aveano gran paura; ma il Meschino e Girardo se ne risero, e stettero a questo modo assediati ben venti giorni. Aspettando altri venti giorni, la notte vegnente videro il segno dal castello, e per questo si misero tutti in punto. In questo mezzo non volle il capitano che combattessero; per cagione che quelli del campo non li sforzassero per modo che paresse che la gente non potesse uscire dalla città alla battaglia. E avendo veduto il segno di Alessandro, che veniva con gran gente, la notte fece mettere in punto tutta la sua gente da piedi e da cavallo, e la mattina avendo fatto tre schiere uscì dalla città.

Essendo cominciata la battaglia tanto terribile, che Girardo venne ferito a morte, il Meschino abbandonando ogn’altra battaglia, gettò via lo scudo e verso quella parte si drizzò con gran furia, ed entrò nella battaglia, perchè vedea i cristiani ad un mal punto. Vedendo Tirante, che li cacciava innanzi, il Meschino gli corse addosso, avendo a due mani la spada, e diedegli un sì gran colpo, che gli divise l’elmo e la testa sino al busto. Per questo colpo entrò tanta paura nei Turchi, che dinanzi al Meschino si dilungavano, dicendo per il campo il gran colpo che avevano veduto fare al Meschino sopra il franco capitano Tirante, e che un cavaliero aveva ucciso Anfitras, e per questo cominciarono tutti i Turchi a fuggire. Il Meschino fece portare il corpo di Girardo credendo che fosse morto, e i cristiani appena gli cavarono l’elmo tornò in sè. Il Meschino non era presente quando Girardo si risentì, ma era come uomo disperato entrato tra i nemici, cacciandoli per il campo con grande uccisione, e gittando in terra bandiere e padiglioni. E il franco Girardo, ritornato in sè, si fece tutto il capo lavare, e ristagnato il sangue, e preso un poco di conforto, si fece rilacciare l’elmo e tornò alla battaglia.

Mentre queste cose si facevano, Alessandro assalì i Turchi in [p. T36 modifica]Girardo ritorna a sè. [p. 289 modifica]due schiere, e fecero una gran battaglia; giunse pure Guerino, e la sua schiera fu in pericolo d’esser rotta per la gran moltitudine di Turchi spinta verso Antinopoli; ma Girardo giunse nella battaglia, e per questo i Turchi non poterono dare alle spalle della gente del Meschino, ma inanimati per la venuta di Girardo, videro poi le bandiere d’Alessandro, ed allora si levò un grandissimo grido tra i cristiani, e confortati per Alessandro, con grand’animo con i Turchi si misero. Il Meschino vide Girardo per il campo, e prese conforto per modo che i Turchi si cominciarono a rompere e fuggire dinanzi. Il re Astiladoro vedendo il Meschino, conobbe questo esser quello che lo metteva in rotta; e ancora gli fu detto, ch’era il Meschino, e prese una grossa lancia e andò come disperato contro il Meschino, e gli ruppe la lancia addosso, e altro male non gli fece, nè il Meschino a lui, e niente lo potè danneggiare, ma rivolse il suo cavallo dietro di lui. Il re Astiladoro credette fuggire dalla battaglia, e pigliava la volta a traverso la campagna, ma il Meschino gli fu addosso chiamandolo miscredente, e dicendogli: — Non fuggire; ma volgiti alla battaglia d’un solo cavaliero,» e il re Astiladoro si rivolse, e dimandogli chi era; quando intese essere il Meschino disse: — Tu dunque sei il Meschino che nella battaglia di Costantinopoli uccidesti tanti de’ miei figliuoli?» e allora prese la spada e corsegli addosso, e una feroce battaglia cominciossi; alla fine si abbracciarono, il Meschino gli trasse l’elmo, e levogli la testa dalle spalle, portandola in mano pel campo. In questo mezzo Alessandro e Girardo misero i Turchi in rotta, e le bandiere del re Astiladoro gittate furono a terra, e scontrati Girardo ed Alessandro, l’uno dimandò all’altro chi era, e quando si conobbero, con gran festa si abbracciarono. Dopo Alessandro e Girardo uccisero il re di Polismagna di Polonia. E fatto questo, Alessandro dimandò dov’era il suo fratello Meschino. E videro venire il franco Meschino a cui andarono incontro, e come gli fu appresso, Alessandro smontò da cavallo, e il Meschino fece il simile, e l’uno e l’altro si alzò la visiera dell’elmo, e il Meschino disse ad alta voce: — O Alessandro, questa è la testa del re Astiladoro ch’io ti porto,» ed egli abbracciandolo disse: — O carissimo mio fratello, ben mi hai atteso quanto [p. 290 modifica]mi promisi, non tanto di soccorrermi, ma anco la testa del mio nemico mi hai data. Non sarà mai possibile, ch’io possa rimeritarti di un beneficio, che tutto il mio reame ed imperio di Costantinopoli non sarebbe abbastanza.» Gli rispose il Meschino: — Solamente l’onore e la ragione che per questa ritornata mi hai fatto, sarà a sufficenza, ma acciocchè i nostri nemici non rinfaccino, rimontiamo a cavallo, e seguitiamo la vittoria,» e così fecero. Or chi potrebbe dire quanto fu grande la rotta de’ Turchi! In questo tempo ne furono morti circa settanta mila. Alessandro, il Meschino e Girardo ritornarono con la vittoria alla città d’Antinopoli, dove si fecero molte feste per l’antica fratellanza, come per la vittoria ed anco per il ritrovato parentado del Meschino, e dopo che la preda fu giustamente divisa tra la gente d’arme, così carichi di ricchezze se n’andarono a Costantinopoli, avendo rimandati i baroni morti nel loro paese, cioè Costantino d’Acipalago ed Archilao, che erano venuti a combattere pel Meschino, de’ quali si fece gran pianto, e della vittoria allegrezza. Camparono dalla gente de’ Turchi questi re, cioè il re Sardanapo di Dacia e il re Alfeo di Rossia.