I Marmi/Parte prima/Ragionamento quarto/Guglielmo sarto e Tofano di Razzolina

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Guglielmo sarto e Tofano di Razzolina

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Guglielmo sarto e Tofano di Razzolina
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Guglielmo sarto e Tofano di Razzolina.

Guglielmo. Però mi son io uscito di casa per non gli avere a romper la testa. Mai viddi femina piú caparbia: la vole, a dispetto di tutto il mondo, che le donne abbino a comandare altretanto a’ mariti.

Tofano. Che ragion ci ha ella cotesta mezza dottoressa?

Guglielmo. Oh assai! La non fa altro che lèggere tutto dí, la studia la notte proprio proprio come la fussi dottoressa, e si lieva su, quando gli vien qualche ghiribizzo nel capo, e scrive scrive e tanto scrive che un banchieri non ha tante faccende con i suoi libri quanto ha lei con i suoi scartabegli.

Tofano. Voi altri artigiani non avete male che non vi stia bene. Ché non vi stavi voi ne’ vostri panni? Bisogna tôr moglie pari, come disse quel filosofo, mostrando i fanciulli che giocavano alla trottola ed eran di pari, e non armeggiar con le grandezze: — Io torrei una cittadina or che son ricco, e voglio lo stato per questo mezzo, acciò che la mia moglie possa portar la gammurra di seta, e io il saione di velluto. — Oh voi siete stato il gran pazzo! Non v’accorgete voi che tutti ci conosciamo l’un l’altro e che voi siate veduto tutto il dí su la bottega a guadagnarvi il pane e che solamente il dí delle feste voi vi mettete la gabbanella de tiffe taffe? La qual cosa ha del plebeo a tutto pasto: i gentiluomini vanno sempre a un modo e non si stanno a menar la rilla il dí di lavoro con l’ago o con altro meccanico esercizio.

Guglielmo. Egli è vero, io aveva a tôrre una donna che sapesse rimendare, imbottire, filare e cucire, e non scrivere, lèggere, cantare e sonare; poi l’ha un rigoglio di avermi fatto cittadino, che non si può stare in casa, e, che è peggio, i parenti, che son poveri, si vaglion qualche centinaia di ducati l’anno di questa mia pazzia. [p. 47 modifica]

Tofano. Darebbeti egli il cuore di ridirmi qualche ragione che la dica che le donne son da quanto i mariti? Perché la mia Razzolina ha una certa albagia nel capo che la si chiama sempre sventurata per ritrovarsi sempre sotto l’uomo. Io la voglio consolare un poco: guarda se tu ti ricordi nulla; ti basta l’animo?

Guglielmo. Non a me; ma perché io possi ben bene imparar la cosa, la ne scrive un libro, il quale dá ora, come si dice, un colpo sul cerchio e l’altro su la botte, id est che tiene un pezzo da me e un pezzo da lei e alla fine la tira l’acqua al suo mulino. E per sorte io n’ho uno foglio di sua propria mano scritto nella tasca e presterottelo; ma fa che facci la donna novella, come tu l’hai letto in casa, e che gli abbi nome Torna.

Tofano. Sará pur bene che io lo legga. Vedi che bella lettera la fa!

Guglielmo. Messer Simon dalle Pozze gli insegnò. Guarda se tu vuoi che la scriva bene!

Tofano. La pare a stampa. Deh fammi un piacere: perché io non ho occhiali, leggila tu, acciò che tu abbi il mal anno e la mala pasqua.

Guglielmo. Certo e’ mi si viene. Or siedi e ascolta se la non pare un Tullio.

Tofano. O Dante piú tosto, se la non è per lettera, perché Tullio favellava in bus e in orum.

Guglielmo. Sí che la non sa dire in quibus anche ella! La fa stare il maestro di Cecco a segno che non ha ardir di aprir la bocca.

Tofano. Or di’, via, che la ne sa tanto quanto tu mi di’! Vo’ che tu la facci poetessa.

Guglielmo. «Infiniti sono stati coloro che hanno ricercati molti antichi scritti per saper l’opinioni di ciascuno autore, che dominio teneva il marito sopra la mogliere e che servitú teneva la moglie al marito, per poterne scrivere ad utilitá di ciascuna delle parti; né mai furon ritrovate cose che valessero, anzi tutte favole e novelle, perciò che molti scrittori si messero a scrivere secondo l’opinion loro e non secondo la ragion degli altri. Chi [p. 48 modifica] difese con gli scritti la parte della moglie disse che la teneva corpo, anima e ragione; Viveva, moriva ed era abile alla generazione come il marito; e per questo fondamento gli pareva che l’uomo non ci avesse tanta autoritá quanto s’era preso; tanto piú che naturalmente ciascuno nasce libero, e però è dovere che la moglie non sia schiava. Io ci aggiungerò che, per aumentare la generazione, fu fatta la donna; ed ella tiene piú pena, affanno, fatica e tempo spende a questa impresa che non fa il marito; egli concorre alla creazion sola e lei ad infinite cose inanzi che la creatura nasca».

Tofano. Io gli risponderei qui che, dapoi che le donne per questo debbono esser le maggiori, che quelle che non fanno figliuoli debbano esser trattate al contrario di quelle. La si fa ben discosto dal mercato! Gli uomini mantengano le donne, lievano le risse, sostentan le battaglie, si difendano dalle nimicizie, portan l’arme a conservazione degli stati, amazzano, eccetera.

Guglielmo. Questo fa per loro, ché le diranno: — io partorisco, tu uccidi; io non fo sangue, son pacifica; conservo, non distruggo; amo la pace, la quiete e il bene de’ miei figliuoli, e non insegno loro infinite cattive opere: onde per noi le republiche crescano e per voi si distruggono. — Or odi il resto: «Debbesi considerare ancóra che molti uomini maritati sono stolti e le donne loro savie; però non fia bene che le sieno sottoposte a tali scempi. Fu veramente ottima legge quella che s’usò giá in Acaia, che i mariti fossero alle lor moglie sottoposti: loro tenevano la cura di governar la casa, come fanno or le donne, e le donne tenevano i danari e andavan fuori trafficando, reggendo e governando».

Tofano. So che le cose dovevano andare bene a quei tempi! Oh, bisognerebbe bene che l’avesse fatto un brutto viso, a farmi paura! Ah! ah! che sciocchi uomini dovevano esser quegli a quei tempi! Io mi ricordo aver letto anch’io nella Sferza de‘ villani o nel Sonaglio delle donne, se ben ho memoria, che i Romani, quando volevan dir villania a uno che si lasciasse menar per il naso dalla sua donna, dicevano: — Colui starebbe bene in Acaia. — E Plinio, scrivendo a Fabato, gli [p. 49 modifica] disse: — Tu solo in Roma vivi secondo il costume d’Acaia. — Antonio Caracalla, secondo che scrive il Serafino ne’ suoi strambotti, s’inamorò di non so che femina d’un di quei templi, ed era la piú bella dama persiana che si trovasse; e perché gli tirava la gola d’averla, gli promesse, se la voleva copularsi con la sua signoria in legittimo adulterio, che per insino allora prometteva di viver con lei secondo il costume d’Acaia.

Guglielmo. Appunto viene a proposito quel che séguita: «Vedete che bell’intelletto fu quello di quella persiana, che, potendo esser padrona di Caracalla, non volle levarsi dalla servitú della dea Vesta; anzi disse, per mostrar quanto sia la continenza della donna, che piú tosto voleva esser serva degli dei che padrona degli uomini. Brutto effetto era quello dei Parti e de’ Traci (dico questo per farvi conoscer la poca considerazion de’ mariti) a tener per schiave le sue mogli; e quando avevano partorito tanti begli figliuoli maschi e che erano vecchie, le vendevano publicamente in piazza e ne compravano delle giovani. Oh che bel ristoro di tanti sudori d’una buona donna! Costume certo barbaresco antico, che le tenevano, essendo vecchie, per ischiave o le sotterravano vive. Almanco Ligurgo fu piú onesto e piú temprato nel far le sue leggi».

Tofano. Benedetti sieno i nostri tempi che la cosa va modestamente, e benedetti i comandamenti della santa madre chiesa, che si bene hanno agiustato questa bilancia! E per dirne il vero (senza le baie della tua femina che va saltando come i grilli), noi veggiamo per opra che le donne son di poca forza, di poco animo, son piú delicate, molli, pigre e adormentate che non sono gli uomini, poco pazienti, e poche megliorano d’intelletto cadendo nel tempo, e assai peggiorano. Non vo’ dire che non ci sieno de’ mariti minchioni che non son buoni a regger se medesimi, non che una casa e una famiglia, perché ce n’è qualche covata. Io non voglio portar piú a casa mia cotesti scartafacci né manco leggergli: va pure e studagli da te e impara questo che io dirò ora, per dirlo, come tu sei a casa, alla donna tua, acciò che la sappi di quanto poco credito furon le parole delle donne antiche; pensa quel che si debbe tener conto delle [p. 50 modifica] sí fatte moderne! Accadé, nella guerra che facevano i romani con il re Mitridate, di comandare a tutti i cavalieri che andassero con il consule Silla; e nel comandare i soldati, s’abbatterono i comandatori a non ne trovare uno in casa, e nel suo luogo rispose la moglie in questo modo: — Mio marito non debbe né può venire alla guerra, perché è passato il suo tempo d’andare alle fazioni; e se pur e’ fosse di fantasia di venire, io non voglio che egli venga, per essere mal condizionato e di tempo. — Per questa risposta si maravigliaron tanto i senatori e l’ebbero per caso tanto bestiale che bandiron lui di Roma e lei messero in prigione, acciò che da indi in poi nessuna donna fosse ardita di voler metter le mani inanzi al suo marito e nessun marito desse loro tanto ardimento che le cadessero in tanta insolenza.

Guglielmo. S’io gli do questa buona nuova, la sta tutto un mese ingrugnata. Or su, pazienza: il male da me medesimo l’ho cercato, come i medici. Oh, ecco tutta la brigata al fresco. Dove sono eglino stati insino a ora?

Tofano. Credo che si sia fatta una comedia nella Sala del papa.

Guglielmo. È vero: mi maravigliava bene che non c’era nessuno; ora ci si fará qualche cosa di bello o si dirá. Noi passeggeremo e loro che sono stati in piedi sederanno.