I Mille/Capitolo LIV

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Capitolo LIV. Subiaco

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CAPITOLO LIV.

SUBIACO.

.   .   .   .   .   .   .   .   .   Firenze!
     Te beata, gridai; per le felici
     Aure pregne di vita e pei lavacri
     Che da’ suoi gioghi a te versa Apennino.
      (Foscolo).


È Subiaco, come Firenze, chiave dell’Apennino, ha le convalli popolate di case e di oliveti, e collocata nella gola d’una di quelle profonde vallate che mettono alle alte cime della Sibilla, quasi eternamente coperte di neve, riceve anch’essa i benefici e limpidi lavacri dell’Apennino.

Solo la pianta prete appesta quelle magnifiche contrade ed inaridisce quanto di bello vi prodigò natura. Là, come dovunque ove alligna il veleno, l’uomo vi è ignorante ed abbrutito e curvo, malgrado l’essere di robusta costituzione.

Uno degli oltraggi più dolorosi — a cui si va esposti nell’apostolato umanitario — è quello certamente che viene dal popolo, per cui l’uomo onesto è sempre disposto ad affrontare ogni specie di disagi e sovente la morte. [p. 313 modifica]

Nel 1835, quando infieriva il cholera a Marsiglia, un giovine italiano, che generosamente si era arrolato in un’ambulanza per la cura dei cholerosi e che ogni notte doveva con un compagno — dividendosi per metà il servizio — assistere gl’infelici colpiti dal morbo, quel giovine, passando a caso per una via di Saint-Jean, fu preso per un avvelenatore dalla plebe, che vedeva avvelenatori dovunque. Un berretto rosso, ch’egli portava senza distintivi e senza significato, era stato forse causa dell’equivoco. Era l’italiano svelto e robusto: ciò gli valse da principio, ma cosa avrebbe potuto fare alla fine contro un torrente d’uomini, di donne e fanciulli che si precipitavan su di lui? La situazione diventava disperata, e già gli piombavan colpi da tutte le parti, contro cui schermivasi come poteva, ma che avrebbero finito per sterminarlo. Poco dopo si sarebbe vociferato per Marsiglia che il bravo popolo di Saint-Jean aveva salvata la città da un avvelenatore.

Una donna scapigliata, e per fortuna robustissima, presentossi sulla scena. Essa aveva osservato tutto dalla finestra. Avventossi come una furia nel più folto della moltitudine, e con una voce stentorea esclamava: «Quello è mio figlio!... mio figlio! mio figlio!» ed alle parole accompagnando le busse, giunse fino al giovine, che strinse nelle sue braccia e coprì col nerboruto suo corpo.

Essa era stata veramente la balia del giovine [p. 314 modifica] — lo amava come figlio — ed ebbe la fortuna di salvarlo.

Che dolore sarà stato quello di Pisacane, uno degli eroici difensori di Roma nel 49 — quando sbarcato dopo un’impresa gloriosa sulla terra che gli diè la vita, tra i proprii concittadini, ch’egli scendeva a redimere dal servaggio con un pugno di prodi! Che dolore, dico, di vederseli aizzati contro per sbranarlo! per distruggerlo!

La stessa sorte successe a Blennio nel 1867 a Subiaco. — Blennio! uno dei più valorosi nostri ufficiali, la di cui missione era di coadiuvare da quella parte alla liberazione di Roma.

Blennio fu fatto a pezzi dalla popolazione suscitata dai preti!... E voi ridete, coccodrilli! chercuti! ammirando l’opera vostra di distruzione. E ben lo sapete, in Italia voi non contate che per la corruzione, l’ignoranza, la distruzione e la discordia da voi fatta perenne tra i figli di questa famiglia infelice!

E perciò noi dobbiamo cessare nell’apostolato umanitario? No, non cesseremo! — e se fia vero il miglioramento umano — come lo promettono i progressi della scienza e della ragione — noi daremo l’ultimo crollo e precipiteremo nella polve il putrido catafalco della menzogna!