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I Neoplatonici/Capo 1

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Capo 1

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Avvertimento del traduttore Capo 2


Nella città di Atene, nel borgo di Colitto, era un ricco cittadino chiamato Eufranio, il quale da una donna di Andro sua moglie a nome Tecmessa, che era molto bella, ebbe un figliuolo cui pose nome Callicle, bambino assai leggiadro e simigliante a sua madre. Un suo vicino ed amico detto Femio ebbe anch’egli da una donna di Megara detta Doride un bambino che chiamò Doro, bello e di occhi soavi. I due bambini venivano su allevati insieme, e si amavano tra loro mirabilmente: se uno d’essi piangeva, la mamma non sapeva altrimenti acchetarlo che chiamando l’altro, e come queti veniva, quegli cessava le lagrime, e sorridendo gli andava incontro, e si trastullavano insieme molte ore del giorno. Se Callicle aveva dei frutti o delle ciambelle col mele voleva mangiarle con Doro, e se Doro aveva un vestitino nuovo pregava Tecmessa di fare a Callicle una tunica simigliante. Ogni mattina i due fanciulli lavati, puliti lucenti andavano insieme a scuola accompagnati dai loro servi, e presto impararono a leggere e scrivere, e mostravano molta intelligenza: e dopo la scuola entravano nella palestra giovanile, dove nudi si esercitavano a la corsa, a la lotta, al disco: cosicché erano belli, ingegnosi, robusti. Erano sempre insieme, e non mai l’uno si dipartiva dall’altro, e per le vie si tenevano per mano: e la gente che s’incontrava a vederli, se ne compiaceva assai, e li chiamava i Dioscuri, e li credeva fratelli, e diceva: Beata la madre che li ha partoriti.

Ora avvenne che Tecmessa ammalò, e brevemente morì, ed Eufranio che l’amava assai ne ebbe tanto dolore che indi a poco tempo moriva anch’egli, lasciando unico suo figliuolo raccomandato a Femio, acciocché lo alevasse come suo e insieme al suo Doro. Il povero Callicle pianse amaramente la perdita della mamma sua e del padre, e passò ad abitare nella casa di Femio, dove il suo Doro gli era sempre attorno per consolarlo, e spesso piangeva con lui. Femio e Doride allevarono Callicle amorosamente, e lo tenevano come loro figliuolo, e con gran fede gli serbarono ed accrebbero la roba. I due fanciulli avevano la stessa età, ed erano intorno ai dodici anni: andavano a la scuola e alla palestra: e appresero i poemi di Omero e di Esiodo e di Teognide, e lessero le Muse di Erodoto: Callicle poi era il più veloce al corso tra i suoi coetanei, e Doro il più robusto lottatore. E così vissero insieme altri anni, acquistando utili cognizioni, ed afforzando la persona bella e svelta. Nella stessa casa abitavano, a la stessa mensa cenavano, nella stessa camera dormivano e nello stesso letto: e spesso l’uno con l’altro confondendo i piedi e le gambe, come i serpenti intorno a la verga di Mercurio, si facevano carezze, si abbracciavano, e soavemente si addormivano. Messero insieme le prime calugini, e l’uno si compiaceva dell’altro: insieme andavano per la città, insieme per i campi, insieme io li vidi in Megara in un podere che apparteneva a Doride. Nelle feste degli Dei essi apparivano i più vistosi nel coro dei giovinetti, e a loro due si volgevano gli occhi di tutte le fanciulle che formavano l’altro coro: e tutti dicevano che i figliuoli di Femio erano i più belli garzoni della città. Un giorno dopo una processione Callicle disse: Hai veduto, o Doro, con che occhi d’amore guardavano te e me quelle vergini che andavano innanzi a le altre, e più vicine alla statua della Dea? - Sì, sono belle quelle vergini, rispose Doro, ed hanno begli occhi e belle chiome d’oro. E Callicle: Ma sono più belli gli occhi tuoi: e glieli baciò. E Doro baciando lui: E questi tuoi capelli che ti scendono come appio, sono più belli delle loro trecce! quanto sei bello, o Callicle, amico mio! - Quanto sei bello tu, o Doro, o Doro mio. - E così dicendo si abbracciarono, si strinsero, e congiungendo le loro bocche si diedero un lungo bacio, e sospirarono.

Erano già efebi, e già sentivano quell’interno rimescolamento, quell’angoscia che è il primo segno, la prima voce di amore. E Doro disse: Io sento, o Callicle, che t’amo con un nuovo ardore, e maggiore di quello che ho sentito sinora. E credo sia quell’amore che secondo il divino Platone, gli Dei mettono nel petto soltanto dei savi, quell’amore che nutrisce la sapienza e la purifica, che unisce e rende prodi i giovani guerrieri. Sì, o Doro, disse Callicle: io non amo che te, e più forte di prima, e credo che sia nato in noi questo amore platonico. Godiamone ora che ne è tempo.

Quando i due giovinetti giacevano insieme abbracciati parevano due medinni di fior di farina. Erano i loro corpi bianchissimi e sparsi di color di rosa, e lucenti, e mandavano fresco odore di giovinezza, ed erano sempre tersi per lavacro. Si guardavano l’un l’altro, si carezzavano, si palpavano in tutte le parti della persona, si baciavano negli occhi, e nella faccia, e nel petto, e nel ventre, e nelle cosce, e nei piedi che parevano d’argento: poi si stringevano forte e si avviticchiavano, e uno metteva la lingua nella bocca dell’altro, e così suggevano il nettare degli Dei, e stavano lungo tempo a suggere quel nettare: ed ogni tanto smettevano un po’ e sorridevano, e si chiamavano a nome, e poi nuovamente a stringere il petto al petto e suggere quella dolcezza. E non contenti di stringersi così petto a petto, l’uno abbracciava l’altro a le spalle, e tentava di entrare fra le belle mele, ma l’altro aveva dolore, e quei si ritraeva per non dare dolore al suo diletto. Più volte ora l’uno, ora l’altro tentarono questo giuoco, ma nessuno dei due riuscì; in fine Doro si levò e disse: Un Dio mi suggerisce un espediente. E preso un vasello di purissimo olio biondo come ambra, soggiunse: Ungiamo con quest’olio la chiave e la toppa, e tentiamo, ché forse riusciremo ad aprire. Unsero bene e la chiave e la toppa, e così Doro senza molta fatica sua e senza molta noia di Callicle entrò vittorioso: a lo stesso modo entrò Callicle ed ebbe una simile vittoria; e così furono contenti tutti e due e goderono il primo frutto del loro amore. Nello stesso giorno salirono su la rocca, entrarono nel tempio della vergine Pallade a cui è sacro l’ulivo, e ringraziarono la Dea dell’espediente che loro aveva suggerito, a usare dell’olio di cui usano gli studiosi e gli amanti. Da quel giorno l’amore dei due giovani non ebbe più smanie né angosce, e divenne tranquillo. Attendevano agli studi, alle faccende della casa e della villa, conversavano sennatamente con le persone; e dopo le occupazioni della giornata entravano nella fedele cameretta e si pigliavano a sorso a sorso tutte le dolcezze: si miravano lungamente l’uno il corpo dell’altro, e con le mani si palpavano e carezzavano, e si davano dolcissimi baci nella bocca, e in fine col divino vasello si ungevano ed entravano nell’ultimo godimento. Dopo il quale venuta la stanchezza e il sonno si addormentavano, e spesso il mattino risvegliandosi si trovavano ancora abbracciati.

E così vivevano pigliandosi diletto con temperanza, e tanto ne pigliava l’uno quanto l’altro, una volta per uno in ogni cosa e sempre, come vuole giustizia ed amore. E di questo i due giovinetti fecero giuramento e lo serbarono per tutta la vita. E io credo che se gli Dei immortali riguardano a le cose che fanno gli uomini, hanno dovuto compiacersi a mirare questa bellissima, e forse sentire invidia di due fiorenti giovanetti che tanto si amano tra loro, e godono secondo giustizia ed amore.