I Robinson Italiani/Capitolo XXIX

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XXIX - Il maltese

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Capitolo XXIX


Il maltese


Erano allora usciti dal macchione che copriva quella penisoletta, formante il limite estremo della costa meridionale.

Il terreno saliva dolcemente, formando una specie di collina ingombra di gruppi di arecche, di banani selvatici, di cespugli e di rotang, i quali si allungavano sul pendìo in forma di smisurati serpenti.

Un uomo saliva penosamente l’altura, appoggiandosi ad un bastone. Poteva avere trent’anni: era di statura alta, ma magro al punto che le sue vesti stracciate gli danzavano attorno alle membra ischeletrite.

I suoi capelli e la barba incolta e nerissima, gli davano un aspetto poco rassicurante, selvaggio.

— È lui, Marino! — ripetè il marinaio.

— In quello stato!... — esclamò Albani, con voce commossa. — Se tardavamo a rintracciarlo, non avremmo trovato che un cadavere.

— Ehi, Marino! — gridò il marinaio, che pareva avesse dimenticato completamente i suoi propositi di vendetta.

Il maltese, udendosi chiamare per nome, si arrestò di botto, girando intorno uno sguardo smarrito, poi facendo uno sforzo supremo cercò di affrettare il passo, come se volesse fuggire.

— Fermati, disgraziato, — gridò il veneziano. — Non ti vogliamo fare alcun male. —

Il naufrago pareva che non lo udisse. S’aggrappava ai cespugli, agli sterpi, ai sassi e continuava a fuggire verso la sommità del colle. Doveva però essere esausto di forze, poichè traballava ad ogni passo e sembrava che dovesse cadere per non più rialzarsi.

I due Robinson si misero a inseguirlo, scalando rapidamente le rupi e intimandogli di fermarsi, ma senza buon [p. 200 modifica]esito. Una paura invincibile doveva aver invaso il maltese, il quale ormai doveva aver riconosciuto i suoi inseguitori.

Ad un tratto però, dopo d’aver superata una rupe, le forze bruscamente lo abbandonarono ed cadde in mezzo ad un cespuglio, senz’essere più capace di risollevarsi.

Albani e il marinaio in pochi salti lo raggiunsero.

— Disgraziato, dove volevi fuggire? — gli chiese il primo.

Il maltese aprì due occhi semi-spenti e disse con voce rauca:

— I vendicatori!... Tanto meglio: sarà finita.

— No, i vendicatori, — disse Albani. — Non spetta a noi vendicare le vittime della Liguria da voi incendiata. —

Nell’udire quelle parole, un lampo illuminò gli sguardi del maltese.

— Incendiata!... — esclamò. — Da chi incendiata?...

Poi fissando uno sguardo bestiale sulle loro tasche che apparivano gonfie, mormorò con voce semi-spenta:

— Muoio di fame! —

Il marinaio si sentì toccare il cuore da quella domanda. Prese una manata di biscotti e glieli porse, dicendogli con una certa emozione, che invano cercava di nascondere:

— Prendi, camerata. —

Il maltese si gettò su quei biscotti coll’avidità d’un lupo a digiuno da tre settimane, stritolandoli voracemente.

— Giù un sorso, — continuò il marinaio, porgendogli una fiaschetta di bambù piena di succo fermentato dell’arenga saccarifera. — Ti farà bene, camerata. —

Il naufrago ingollò il contenuto; poi restituì la fiaschetta, dicendo:

— Grazie, Enrico: ecco come voi pagate le canaglie della mia specie!

— Lascia andare: noi abbiamo dimenticato tutto, è vero, signor Albani?...

— Sì, — rispose il veneziano.

Il maltese li guardò a lungo, mentre i suoi occhi incavati si riempivano a poco a poco di lagrime.

[p. 201 modifica]— Ma è vero che la Liguria è stata incendiata? — chiese egli, con un singhiozzo.

— Sì, — rispose Albani con voce grave. — Voi avete commesso un’infamia che ha costata la vita a quasi tutto l’equipaggio.

— Ma no, signore! — esclamò il maltese. — Harry mi aveva giurato d’aver dato fuoco a pochi stracci imbevuti di petrolio per spaventare l’equipaggio e impedirgli di darci la caccia.

— E invece aveva dato fuoco alla dispensa per scatenare un incendio tremendo e far saltare la nave.

— Allora quell’infame ha mentito!... Signor Albani, Enrico, vi giuro sulla memoria di mia madre che io non ho acceso quel fuoco e che Harry mi aveva ingannato. Ma... dunque... è saltata la Liguria?...

— Con tutto l’equipaggio.

— Allora impiccatemi: voi ne avete il diritto.

— No, la terra dei Robinson italiani non si macchierà d’un delitto: ti portiamo il perdono. —

Il maltese si era precipitato alle loro ginocchia, piangendo. Il marinaio e il veneziano lo rialzarono, dicendo:

— Non se ne parli più; tutto è dimenticato.

— Grazie signori: io sarò, d’ora innanzi, il vostro schiavo.

— No, schiavo, ma nostro amico. Seguici alla scialuppa.

— No per di là, — disse il maltese con terrore, vedendo il veneziano scendere in direzione della capanna. — Là vi è Harry.

— Lo abbiamo veduto. Dimmi: è morto da molto tempo?

— Da sette giorni, signore.

— Di che cosa è morto?

— Mangiando un pesce.

— Lo avevo sospettato.

— Io mi ero recato nella foresta per cercare delle frutta, non avendo ormai più nulla da porre sotto i denti, e Harry si era recato alla spiaggia per cercare delle ostriche. Quando ritornai, lo vidi rotolarsi per terra in preda a dolori atroci.

[p. 202 modifica]Credetti dapprima che fosse stato morsicato da un serpente velenoso, ma alla mia domanda m’indicò gli avanzi d’un pesce che aveva arrostito e poi mangiato.

Cercai di calmare i suoi dolori, facendo bollire in una scatola di latta delle erbe che credevo medicinali; ma tre ore dopo il disgraziato aveva cessato di vivere.

Allora mi prese una paura invincibile e fuggii su questa collina. Erano sette giorni che io erravo fra queste macchie come una belva feroce, sfinito dalla fame, senza aver più il coraggio di scendere alla capanna.

Abbiamo sofferto, sapete, signore: voi vedete in quale stato miserando io sono ridotto. Sono pelle e ossa. —

— Ma non vi eravate diretti verso le coste del Borneo?

— È vero, signore; ma non possedendo alcuna bussola e temendo di smarrirci sempre più, ritornammo al nord sperando di raggiungere l’arcipelago di Sulu, finchè una notte naufragammo su queste coste.

La scialuppa si era sfasciata contro le scogliere e a grande fatica potemmo toccare terra con un fucile, trenta cariche e alcune bottiglie di Marsala.

Finchè avemmo polvere e palle potemmo vivere alla meglio abbattendo degli uccelli, ma quando terminammo le munizioni ci trovammo ben presto alle prese colla fame. Le frutta della foresta non erano sufficienti a mantenerci in forze e soffrimmo dei digiuni tremendi che ci ridussero scheletri viventi.

— Una domanda.

— Parlate, signore.

— Sapevate che noi eravamo qui?...

— Sì, — rispose il maltese. — Avevamo intrapreso un viaggio nell’interno dell’isola sperando di trovare degli indigeni, ed un giorno vi scorgemmo mentre stavate coltivando un campicello.

— E perchè non siete venuti a chiedere ospitalità?

— Per paura di venire presi e appiccati, come ne avreste avuto il diritto. Ma.... avevamo anche veduto il Piccolo Tonno; è rimasto nella scialuppa forse?...

[p. 203 modifica]— No, alla capanna.

— Una capanna, un campicello, una scialuppa, un recinto con degli animali, delle scimmie!... Ah!... Quanto vi invidiavamo, signor Albani!... Voi in mezzo all’abbondanza e noi morenti di fame. Oh!... l’abbiamo espiato il nostro delitto, credetelo.

— Non avrai più nulla da invidiarci, Marino. D’ora innanzi farai parte della nostra famiglia e tutti lavoreremo pel benessere della nostra piccola colonia. Alla scialuppa, Enrico: più nulla abbiamo da fare qui. —

Scesero la collina e aprendosi un passaggio attraverso alla foresta, giunsero sulla spiaggia che percorsero fino alla piccola baia, presso la quale stava legata la scialuppa.

Volsero un ultimo sguardo alla catapecchia sotto la quale il maltese Harry dormiva l’eterno sonno, spiegarono la vela e presero frettolosamente il largo girando la penisola, perchè volevano visitare le coste orientali della loro possessione.

Quella penisola fu chiamata col nome di Harry, a ricordo del disgraziato maltese.

Il mare non era più tranquillo come prima, essendo cresciuta la brezza. Larghe ondate venivano dall’est e correvano a infrangersi, con grande fragore, sulle scogliere dell’isola, rimbalzando e spumeggiando.

Anche il cielo, che al mattino era limpidissimo, andava coprendosi di nuvole le quali salivano dal sud-sud-est, minacciando d’invadere tutta la vôlta celeste e di rovesciare sull’isola un furioso acquazzone.

I Robinson però, vedendo che la scialuppa, malgrado la sua pesante costruzione si manteneva benissimo, balzando agilmente sulle onde, continuavano a tenersi al largo, avendo fretta di giungere alla loro abitazione.

Il signor Albani tuttavia non si ristava dal rilevare le spiagge dell’isola, assegnando nomi alle piccole insenature, ai capi, alle penisolette e alle scogliere.

Verso le quattro del pomeriggio, lo stato del mare peggiorò tanto da far nascere delle inquietudini. Delle ondate [p. 204 modifica]altissime continuavano a salire dall’est, minacciando di subissare la scialuppa, e raffiche impetuose gonfiavano la vela il cui albero si curvava in modo da temere che dovesse spezzarsi.

— Sono ondate di fondo, — disse il veneziano. — Qualche violenta tempesta deve essere scoppiata verso l’est.

— Pure stamane il cielo era limpido e il mare tranquillo, — disse Enrico. — Noi non abbiamo udito alcun tuono.

— Le ondate di fondo, che sono prodotte dalla lunga continuazione d’una violentissima bufera, percorrono delle distanze incredibili, Enrico. Forse la tempesta che ha mosso questi cavalloni è scoppiata a parecchie centinaia di miglia dalla nostra isola, forse nei paraggi delle isole Sanghir, cioè nel mare delle Celebes o più oltre, alle Molucche od a Mindanao.

— E voi credete che queste onde possano percorrere tali distanze senza perdere la loro forza?...

— Sì, Enrico. Nell’Oceano Pacifico si sono osservate delle ondate di fondo che venivano da più di mille miglia.

— Ditemi, signor Albani, è vero che in certe tempeste si sono osservate delle onde alte qualche centinaio di metri?... Se devo dire il vero, io non ne ho mai vedute.

— Sono frottole spacciate dai marinai. È bensì vero che per coloro che sono a bordo delle navi, specialmente piccole, sembra che le montagne d’acqua abbiamo altezze inverosimili, ma si è constatato che in media quelle altezze si riducono a pochi metri.

— Oh! questo poi...

— È verissimo, Enrico. Osservazioni accuratissime fatte nell’Oceano Atlantico durante furiose tempeste hanno limitato quelle altezze a soli sei metri, però si sono vedute onde che toccavano i nove e anche i tredici.

— È una bella altezza.

— Presso il Capo Horn, invece, ne furono vedute di quelle che toccavano i quindici metri ed il navigatore Dumont [p. 205 modifica]d’Urville affermò di averne vedute talune che superavano i trentatrè metri.

— Quali urti poderosi devono produrre quelle masse!

— Tremendi senza dubbio, per le navi che devono sopportarle. Bada alla scotta: sta per giungere una raffica impetuosa, Enrico. —

Il vento cresceva di violenza rapidamente col calare delle tenebre, soffiando dall’ovest, ossia da terra e le onde raddoppiavano la rabbia scagliandosi con maggior furia contro la scialuppa.

I Robinson erano allora giunti in un luogo pericolosissimo, essendo irto di banchi e di scoglietti a fior d’acqua, difficilissimi ad evitarsi.

Non essendo prudente tenersi in mare coll’uragano che cresceva a vista d’occhio, e con quella scialuppa che era così pesante e sprovvista di chiglia, decisero di poggiare verso la costa.

Disgraziatamente i banchi e le scogliere crescevano di numero sulla loro sinistra, e per colmo di sventura il vento era contrario e tendeva a ricacciarli al largo.

— Mille terremoti! — esclamò il genovese, che cominciava a diventare inquieto. — Temo che sia una cosa assai difficile l’approdare, signor Albani. Bisogna virare al largo o noi perderemo la scialuppa.

— Non scorgi alcun passaggio fra le scogliere?

— È impossibile vederlo, con questa oscurità che ci piomba addosso e con questa spuma che rimbalza dovunque. Corriamo il pericolo di urtare.

— E al largo le onde ingrossano, — disse Marino.

— Tentiamo la sorte, amici.

— Vi dico che è impossibile, signore, — ripetè Enrico. — Qui non si passa.

— Allora viriamo al largo. —

Volsero la poppa all’isola e s’allontanarono verso l’est per girare quei banchi e quelle scogliere, ma pareva che si estendessero assai, poichè a due miglia di distanza si vedevano [p. 206 modifica]le onde a rimbalzare a prodigiosa altezza, come se trovassero degli ostacoli continui.

Il mare intanto non cessava dall’ingrossare spaventosamente e il vento ululava sinistramente fra l’attrezzatura della piccola scialuppa. La notte era calata con grande rapidità e quelle tenebre, che solo di tratto in tratto venivano rotte da qualche lampo, rendevano maggiormente critica la situazione dei Robinson, poichè non potevano quasi più scorgere i frangenti che si moltiplicavano dinanzi a loro.

Enrico, a prora, sbarrava gli occhi e segnalava al veneziano i luoghi dove le onde si rompevano, ma non sempre riusciva a scorgere le scogliere o presentire la vicinanza dei banchi subacquei. Già due volte la scialuppa aveva toccato uno di quei numerosi ostacoli, correndo il pericolo di rovesciarsi o di spaccarsi.

Marino, colla scotta in mano, si teneva pronto a stringere il vento od a lasciar andare la vela, mentre Albani manovrava il lungo remo che serviva di timone.

Si erano già allontanati dall’isola di cinque o sei miglia, ma quella fila di scogli continuava a pararsi dinanzi a loro senza permettere il passaggio. La scialuppa fortunatamente resisteva alla furia del vento e del mare, ma danzava disperatamente, precipitando negli avvallamenti dei marosi con delle scosse inquietanti, e di quando in quando imbarcava acqua.

A un tratto, al chiarore d’un lampo, Enrico scorse verso l’est una massa oscura che sembrava uno scoglio di grandi dimensioni o un isolotto.

— Fulmini e terremoti! — esclamò.

— Cos’hai? — chiese Albani.

— Temo, signore, che dovremo spingerci assai lontani se vorremo girare questa dannata catena di frangenti. Mi sembra che si spinga fino a quell’isolotto che ho scorto all’est.

— Lontano assai?...

— Parecchie miglia certo. —

Albani, non ostante il suo coraggio straordinario, provò una vera inquietudine.

[p. 207 modifica]— Se tentassimo di ritornare? — disse.

— Avremo le onde a prora, signore, — risposero Enrico e Marino.

— È vero, e la scialuppa correrebbe il pericolo di subissarsi di colpo; ma non oso spingermi tanto lontano dall’isola, amici.

— La scialuppa resiste, signore, — disse il genovese. — Se possiamo girare queste scogliere, troveremo al di là un mare più tranquillo, servendoci tutti questi ostacoli d’argine.

— Ma le onde aumentano e minacciano di spezzarmi il remo, ed il vento soffia sempre più impetuoso dall’ovest.

— Dannato uragano! — esclamò Enrico. — Orsù, bisogna andare innanzi, signore. Il pericolo è dinanzi come dietro a noi.

— Prendi un’altra mano di terzaruoli, Marino, — disse Albani. — Avanti, e che Dio ci protegga! —

La scialuppa, spinta da quel ventaccio furioso che aumentava sempre, filava come una freccia. Malgrado la sua pesantezza, saliva arditamente le onde librandosi sulle creste spumeggianti come un’alcione, poi precipitava negli avvallamenti, quindi risaliva ancora, ma imbarcava sempre acqua.

Enrico aveva dovuto abbandonare il suo posto d’osservazione a prora, e col suo cappellaccio di fibre di rotang, s’affannava a vuotarla per renderla più leggiera.

Le scogliere intanto continuavano sul tribordo. Al chiarore dei lampi si vedevano emergere le loro punte nere e aguzze, e attorno ad esse il mare si rompeva con mille muggiti paurosi, lanciando a grande altezza colonne di spuma.

Lo scoglio segnalato dal marinaio si scorgeva ormai distintamente alla luce livida dei lampi. Pareva l’estremità d’un monte sottomarino, coi fianchi dirupati, la base corrosa in mille modi dall’eterna azione delle onde. Attorno a quel picco solitario si vedevano le onde sfasciarsi con rabbia estrema e la spuma lo circondava da ogni parte come se presso di esso si estendessero altri scoglietti.

[p. 208 modifica]— Attenzione, signor Albani! — gridò d’improvviso Enrico, che aveva ripreso il suo posto a prora. — Dei frangenti a babordo!... —

Il veneziano, che si era alzato per essere più pronto ad agire, cacciò il remo all’orza, mentre Marino lasciava scorrere la scotta della vela.

La scialuppa era allora giunta di fronte allo scoglio e si preparava a girarlo.

— Vedi nulla dinanzi a noi? — chiese Albani.

— Mi pare che il mare sia sgombro dinanzi allo scoglio.

— Possiamo virare?

— Credo di sì, signore.

— Vira! — gridò Albani.

Aveva appena lanciato quel comando, che un’onda gigantesca, prendendo la scialuppa di traverso, la scagliò fuori di rotta, verso la fronte orientale dello scoglio.

Avvenne un cozzo violento, seguìto da tre grida di spavento.

La Roma, rovesciata dall’impeto delle onde, si capovolse, poi scomparve in mezzo alla spuma, mentre l’uragano raddoppiava di violenza.