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I divoratori/Libro primo/XIII

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XIII

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XIII.

Quando l’inglese tornò per portarle il numero della «Fortnightly» contenente il suo articolo, «Una poetessa italiana», trovò che Nancy non aveva lavorato affatto. Era lì, sorridente e soave; e oziosa come prima; e la sala era piena di gente.

Egli venne presentato alla madre, che trovò mite [p. 97 modifica]e gentile; e alla vigorosa zia Carlotta, dalla squillante voce milanese.

— Temo, mamma mia, — disse Nancy, poggiando la chioma ondeggiante al braccio di Valeria e alzando al nuovo amico gli occhi d’aurora, — temo che il signor Kingsley pensi che sono una persona senza carattere.

— Alla tua età — intervenne la zia Carlotta — non si deve aver carattere. Basta avere una bella carnagione e un buon appetito.

E Valeria rise e disse:

— È vero! Una ragazza italiana non deve avere una individualità propria fin che non si marita; allora il marito può formarle il carattere a seconda del suo gusto.

Il signor Kingsley sorrise. Poi chiese a Nancy:

— Perchè devo credere che ella è senza carattere?

Nancy sospirò.

— Perchè mi ha detto di lavorare, e io l’ho promesso. E non l’ho fatto.

— Come? Non ha fatto proprio niente da che venni l’ultima volta?

Nancy crollò il capo.

— E non ha pensieri, imagini, concetti che la incalzano, che le chiedono espressione e vita?

— Oh! sì! — disse Nancy, col piccolo gesto rapido della mano sulla fronte, che da bimba le era così familiare. — Pensieri e imagini sbocciano e ondeggiano nella mia mente come fiori in un giardino; ma tutte queste visite... — e Nancy si guardò attorno nella sala piena del mormorìo e del riso di gente estranea, — ahimè! ora di sera il mio giardino è spoglio, perchè ho colto tutti i miei fiori e li ho regalati via!

L’inglese dimenticò di essere inglese, e disse quello che pensava.

— Vorrei portarvi via, e rinchiudervi per un anno [p. 98 modifica]in una stanza con dei libri, una tavola, un calamaio e niente altro, — disse.

— Oh, come lo vorrei anch’io! — esclamò Nancy. — Neanche un’anima mi dovrebbe parlare! E quando avessi fame mi fareste passare del «plum-cake» per la finestra.

L’inglese rise, del riso breve e subitaneo di chi ride poco.

— E io starei di fuori con un fucile — disse — a camminare su e giù.

Nancy lo guardò, e un pensiero timido e rapido — come un uccelletto che entri a volo in una finestra aperta — si affacciò un istante alla sua mente. Forse sarebbe dolce di avere, fra lei ed il mondo, questa severa ed energica sentinella; dolce, forse, di sentire la fermezza del suo tocco sulla sua spalla, obbligarla al lavoro, a quel lavoro che essa amava tanto e che pure era pronta a trascurare per rispondere all’appello di ogni voce passante. Quel grave viso affronterebbe la vita per lei, quelle forti spalle porterebbero i suoi fardelli, quegli occhi semplici e onesti le guarderebbero nell’anima e la serberebbero pura e serena... Poi il pensiero alato volò fuori dalla finestra della sua mente. La porta si aprì e il Destino entrò nella sua vita.

Era Aldo Della Rocca, più che mai visualmente dilettevole. Con lui venivano Nino e sua sorella Clarissa.

Nino pareva triste e depresso. La Villari lo tempestava di lettere, la sua coscienza lo tenagliava di rimorsi. E Aldo Della Rocca, colla sua presuntuosa bellezza, gli urtava i nervi.

— Come? Nino! di nuovo qui? — disse Nancy ridendo. — Mi hai detto iersera che d’ora innanzi non saresti più venuto che due volte alla settimana.

— Precisamente, — rispose Nino. — Ieri era l’ultima [p. 99 modifica]visita della settimana scorsa e questa è la prima visita di questa settimana. D’altronde Della Rocca m’ha detto che veniva qui, per cui ho sentito che potevo venir anch’io. Naturalmente, ho fatto il possibile per liberarmi poi da lui e venir solo, ma egli è appiccicaticcio e persistente come una zanzara, e per ciò non sono venuto solo.

— Che spiegazione complicata! — disse Nancy, volgendosi con un sorriso a salutare Della Rocca.

Anche questi sorrise. E il suo sorriso era improvviso e risplendente, come se d’un tratto mille lumi si fossero accesi in fondo ai suoi occhi. Si chinò sulla mano che Nancy gli porgeva.

— Schiavo suo, signora, — disse col fare aggraziato e cerimonioso dei meridionali.

La voce stridente di Clarissa s’interpose:

— Nancy! Aldo non fa che leggere i tuoi versi giorno e notte. Li ha anche messi in musica! Deliziosi! potrebbero essere di Tosti o di Richard Strauss o di Hugo Wolff! Faglieli cantare.

Poi Clarissa veleggiò intorno alla sala, salutando i poeti, molti dei quali conosceva, e facendosi presentare l’inglese, Mr Kingsley. Subito Clarissa gli fece molte domande su Londra e poi, senza curarsi di sentire le sue risposte, se n’andò, con grande fruscìo e cinguettìo, a una conferenza francese su «Napoléon et les femmes». Adele e la zia Carlotta la accompagnarono.

I poeti, appena ebbero bevuto il thè, se ne andarono anch’essi. Allora Della Rocca si mise al pianoforte, e preludiando pianamente, passò da armonia in armonia, alle romanze da lui composte per Nancy.

Suonava con la testa china, e i morbidi capelli gli cadevano cupi sulla metà del viso, facendolo somigliare a un fratello minore del «Cristo» di Velasquez. Egli aveva il talento musicale d’un monello di Napoli, e la [p. 100 modifica]voce di un arcangelo che avesse studiato il canto in Germania. Nancy sentì salirle agli occhi delle lagrime felici, e il nitido profilo curvilineo di Della Rocca oscillò davanti a lei. Il signor Kingsley, nel suo angolo presso alla finestra, taceva. Valeria sedeva muta nell’ombra con un lavoro in mano; e Nino, infastidito e imbronciato, fumava sigaretta su sigaretta e sbadigliava.

Nancy, sporta in avanti con le mani giunte, ascoltava le parole create da lei e che ora, nella loro veste d’armonia, le parevano più soavi, come una schiera di bimbi che appaiono più belli se adorni di rilucenti vesti e coronati di rose. Ella aveva mandato fuori nel mondo le sue poesie nude e selvaggie, nella loro innocente e appassionata immaturità. Ed ecco: egli gliele riconduceva ammantate di melodie argentee, pieganti sotto il chiarore di accordi di settime diminuite, velate d’armonia, e portate trionfalmente su palanchini di suoni ritmici — soavi e altere come le giovani sorelle d’una regina.

Mr Kingsley, stringendo le labbra sottili, osservava la testa nero-splendente di Della Rocca che dondolava e oscillava seguendo la frase del canto; egli si sentiva contrarre in gola la propria buona voce di baritono inglese, e, urtato dalla larga morbidezza del fraseggiare italiano, si domandava come mai «questi idioti latini» sapessero cantare così.

Poi guardò Nancy, che aveva chiuso gli occhi; e guardò Nino, che nella seggiola a dondolo sbadigliava fissando il soffitto.

E, a un tratto, sentì di doversene andare. Si alzò con atto impulsivo, e Nancy, con gli occhi ancora perduti dietro la musica, gli stese la mano per dirgli addio. Lo sguardo di lui pesò con grave tenerezza sul delicato volto.

— Non colga tutti i suoi fiori, — disse.

Nancy sorrise. [p. 101 modifica]

— No, no, — disse. — No! Lo prometto.

— Pensi che il suo capolavoro non è ancora scritto. Questi piccoli versi sono il passato. Ora, su alla nuova opera! Chiuda la porta a tutti e cominci un nuovo lavoro domani.

Nancy disse:

— Sì, sì, lo farò. — Ma mentre diceva così, volgeva già verso Della Rocca i chiari occhi distratti. — Ah, che cosa cantate? «Der Musikant»?

E Della Rocca, che cantava una romanza tedesca pronunciandola come se fosse genovese, fece cenno di sì.

— La poesia non è di Eichendorff?

— «Aus dem Leben eines Taugenichts», — disse Della Rocca.

— Ah! sapete il tedesco? io adoro la gente che parla tedesco, — esclamò Nancy, su cui la malìa dei poeti tedeschi posava ancora.

— L’ho imparato a Göttingen, — disse Della Rocca, col suo sorriso luminoso.

— «Ach! die Stadt die am schönsten ist, wenn man sie mit dem Rücken ansieht»! — fece ridendo Nancy.

Anche Della Rocca rise, sebbene non avesse capito. Poi si volse di nuovo al pianoforte.

Nancy si sentiva felice e incline alla bontà.

— Non se ne vada, — disse a Kingsley, — segga e mi parli.

Ma Kingsley rifiutò. Della Rocca tornava a cantare piano, e già alle prime note della morbida voce tenorile, l’inglese vedeva riapparire negli occhi di Nancy quella luce distratta, mentre un brivido le impallidiva lievemente le guancie.

— Tornerò un giorno o l’altro, se permette, — le disse. — Ma spero quasi di trovare la sua porta chiusa.

Anche una volta il rapido pensiero alato traversò [p. 102 modifica]con timido volo la fantasia di Nancy, mentre la forte mano del giovane inglese si chiudeva, calda e ferma, intorno alla sua. Poi la porta si chiuse dietro a Paul Kingsley, e il pensiero prese il volo e non tornò più.

— Chi è quell’imbecille d’inglese? — disse Nino, che era di malumore e si compiaceva di farlo sentire.

Nancy divenne rossa.

— Ti prego di non parlare così degli inglesi. Mio padre era inglese. E del resto, non era affatto un imbecille.

— Non ho mai detto che lo fosse, — replicò Nino.

— Oh, — esclamò Nancy, — sì che l’hai detto!

— Non ho detto nulla di simile. Tuo padre era un’ottima e cara persona.

— Ma sai bene che non parlavo di mio padre, — disse Nancy.

— Neppur io ne parlavo, — disse Nino.

Nancy si volse ad Aldo Della Rocca, che, preludiando piano, ascoltava con tutti i sorrisi accesi.

— Nino cavilla e confonde tanto, — disse Nancy, — che non si sa più quel che si dice.

Della Rocca annuì. E soggiunse:

— Questo mi diceva appunto di lui la sua celebre amica, Nunziata Villari, quando la vidi a Napoli l’altro giorno. A proposito, Nino, — e Aldo fece scorrere sul pianoforte l’agile destra in una rapida scala di quarte, lasciandole ricadere in limpidi arpeggi minori, come cascatelle d’acqua, — sai che la Villari ha tentato di suicidarsi il mese scorso? Mi pare appunto che tu eri partito da poco... Dicono che s’è chiusa in camera con un braciere di carbone, proprio come una sartina innamorata! L’hai saputo?

— No, — disse Nino, — non l’ho saputo.

E inchiodò gli occhi in faccia a Della Rocca, lungamente, fissamente, finchè questi si alzò, turbato, e disse che doveva partire. [p. 103 modifica]

Quando fu uscito, Nancy disse a Nino:

— Chi è la Villari? E perchè ha voluto suicidarsi? Villari... Villari! Mi pareva il nome d’una attrice morta cento anni fa.

Nino le prese la mano.

— Tu non sai niente, Nancy, — disse. — Non sai neppure di essere una piccola belva, una tigre ircana!...

Nancy rise.

— Sì, va bene. Ma chi è la Villari?

— Qualcuno che tu hai divorato, — disse Nino.

E, pensando al braciere di carbone, partì per Napoli col primo treno. Perchè Nino, pur avendo il naso di pasta frolla, aveva il cuore d’oro.