I divoratori/Libro secondo/XII

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XII

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XII.

«Giugno. Staten Island.

«Buon giorno, mio tenebroso Sconosciuto.

«Sono in campagna, seduta su un muricciuolo di sassi, e non vedo che lontane colline e sonnecchianti campi. Nel sole v’è un ronzìo di insetti che mi fa impallidire e rabbrividire. Odio con grande odio pauroso gli insetti che ronzano.

«Perchè non siete qui? Ho in testa un grande cappello bianco con nastri ceruli, e una sciarpa cerula mi cinge la tenue vita. Sembro l’eroina di una novelletta vecchio stile. E nessuno mi vede. E i prati sono pieni di fiori; ed io li colgo e non so a chi darli. In tutte le soavi e semplici leggende, quando l’eroina è seduta su un muricciuolo, con un cappello bianco e una sciarpa cerula, ecco — inaspettatamente — il Prince Charmant passa, la vede, s’arresta....

«Ahimè! nella vita non è così. La vita è un pesante romanzo moderno in cui appare e scompare tanta gente superflua e soporifica; e in cui l’eroina ha degli amanti noiosi, che si assomigliano tutti come una fila d’ometti tagliati nella carta. E invano vi si aspetta l’inaspettato.

«Io sono qui sul muricciuolo con la mia sciarpa cerula, mentre voi siete a tremila miglia lontano da me....

* * * * * *

«Buon giorno, ancora. Sono sempre qui su quest’isola, a vivere di cose ingenue: d’erbaggi, e di tramonti, [p. 273 modifica]e di ricordi di cose che non furono. Voi siete una cosa che non fu. Forse per ciò vi ho sempre nella mente.

«Alla gente che vedo sempre, non penso mai. A voi che non vedo mai, penso sempre.

«Mi chiedete conto dei miei amanti. Mi domandate perchè ne ho. Semplicemente perchè trovo che mi abbelliscono! Un amante è una specie di cosmetico: la bellezza di una donna dipende interamente da quanto essa è amata.

«I miei amanti hanno dunque la loro utilità; ma non posso dire che siano divertenti. Vestono una grigia uniforme di mestizia; e s’intragraffiano e s’intramangiano, come animali tristi. E i loro discorsi sono lunghi e lugubri intorno a cose lugubri e lunghe — come sarebbe la morte e la durata eterna dell’amore.

«Io sogno un amore vivido e trionfale e risplendente; un amore fatto di sangue e di sole e di rose — di tutte le cose calde e scarlatte che sono nel mondo!... Un portentoso e magnifico amore che non duri, che sfolgori e abbruci.

«Che non duri! E che perciò? È forse meno amore per il fatto che deve morire? Sarebbe come dire che le vere rose sono quelle di carta, perchè non appassiscono.

«Ecco, io colgo una rosa viva, fragile, moritura, e ve la getto traverso l’Oceano.... traverso le tremila miglia d’acqua che ci separano —

«Se vi cade sul cuore, m’amerete.

«Eva


Egli le rispose: «Vi amo».


Nancy era felice. Viveva d’una vita irreale; d’una vita febbrile. Non era più Nancy. Era «Quella delle let[p. 274 modifica]tere»! E Quella delle Lettere era una creatura selvatica, libera, ardente e lieta.

E nulla era più dolce al suo cuore che questo sottile e delicato «amor di lontano», questa passione traverso la distanza per un non veduto, non conosciuto amante.

Ah, come era moderno e piccante tutto ciò! Eppoi anche così tredicesimo-secolo! Non c’era stato Jaufré Rudel, il principe poeta, che amò per tanti anni la non veduta contessa Melisenda?... E finalmente venne a morirle ai piedi?

Amore di terra lontana
Per voi tutto il core mi duol.

Anche loro s’amerebbero così, d’un amore assurdo e meraviglioso. Amarsi così, senza l’intervento di alcuno dei loro sensi, doveva pur essere il più alto, il perfetto, il divino modo d’amare.

Così Nancy visse nel suo sogno e lanciò da un emisfero all’altro le leggiere lettere d’amore.

«Cher Inconnu,

«Vi scrivo perchè piove, e il cielo è di flanella grigia. Direte che ieri vi ho scritto perchè faceva bel tempo e il cielo era di raso celeste.

«È vero. Ma sono buone ragioni entrambe per me, che sono quasi innamorata di voi — quasi follemente, quasi disperatamente, quasi divinamente innamorata!

«Io ho paura d’amarvi. Ho paura dell’amore come un bimbo ha paura d’una stanza buia nella quale non è entrato mai. Che cosa si nasconde in quegli angoli neri? Degli spettri, degli orchi, delle belve?... Certo, il Dolore, appena entro, mi si avventerà al collo (al piccolo collo che non conosce che la stretta d’una collana di perle), [p. 275 modifica]e mi strozzerà. Certo la Passione, come una pantera dagli occhi di fuoco, mi salterà al petto e mi mangierà il cuore. Certo la Gelosia come un gatto arrabbiato mi graffierà, mi morderà, mi dilanierà....

«Oh caro Ignoto, non mi fate entrare in quella stanza buia! Già mi pare di averne socchiusa la porta, e di sentire tutti quegli esseri spaventosi rugghiare e ululare contro di me....

«Addio! addio!

«Mi chiamo Nancy».


A questa lettera egli rispose con un telegramma:

«Nancy! Vieni qui».


Ella riscrisse:


«— Vieni qui. — Le arroganti parole mi danno un tuffo di piacere nel sangue.

«Mi piace che mi diate del tu. E poi sono inavvezza all’imperativo. Nessuno mai mi dice: Fa così. Va via. Vieni qui. Va lì. E mi piace sentirmi mite e spaventata e forzata a obbedire.

«Vieni qui! Subito mi pare di dover volgere timidi occhi in cerca del mio cappello e dei miei guanti, e mi domando come debbo vestirmi per il viaggio! Sono molto simpatica in viaggio. Sono sempre di umore uguale, e porto dei vestiti color sorcio che mi fanno delle piccole spalle fragili e patetiche e la vita sottile. Tutto ciò è molto importante viaggiando; perchè fa perdonare le mille e mille valigie e valigiette che porto nello scompartimento, e le cappelliere che perdo, e gli ombrelli che dimentico. Anche la gente che, per principio, brontola sempre, diventa indulgente e amabile quando vede che ho un vitino piccolo, e l’aria trasognata, e un cappello [p. 276 modifica]che mi sta bene. E facchini e guardiafreni e conduttori, tutti mi adorano! Corrono in su e in giù a cercarmi gli oggetti che ho perso, a portarmi delle cose da mangiare, ad aprirmi le finestre e a chiudermi a chiave nello scompartimento.... anche quando non è necessario.

«Poi, in viaggio non ho mai sonno. Metto giù la testa non importa dove, e dormo come un gatto cinque minuti. Poi mi sveglio allegra e ragionevole e di buon umore. Sì, sì; credo che veramente vi piacerebbe di avermi in viaggio con voi.

«Nell’ultima vostra — breve come tutte le vostre lettere — (sono contenta che siate breve), mi dite che andate in Isvizzera. Conosco e adoro ogni roccia ed ogni ciottolino della Svizzera; conosco ogni pino in ogni foresta; ed ogni scoiattolo su ogni pino. Ho percorso ogni serpeggiante via maestra, che s’attorciglia come uno svolazzo di nastro bianco intorno ai fianchi austeri delle Alpi. Sono fuggita da ogni blanda mucca elvetica, ruminante su ogni blanda prateria.

«Salutatemi la Svizzera. L’adoro.

«Nancy


* * * * * *

«New York.

«Amor mio di lontano,

«Eccomi tornata nella città, la terribile città, torrida e rumorosa sotto il violento sole di luglio. E voi mi scrivete dall’Hôtel Bellevue ad Andermatt!

«Andermatt! Che frescura e chiarità e scintillìo mi mette nella mente quella parola. Nell’afa opprimente di questa città, mi cade sul cuore come un fiocco di neve. E nella lettera vostra soltanto tre parole: «Vieni qui. Subito». [p. 277 modifica]

«Di nuovo l’imperiosa, irresistibile chiamata mi scuote deliziosamente i nervi. Se me lo dite una terza volta — per i biondi Dei del Walhalla! — verrò!

«Sarete contento? Mi bacerete con gratitudine le bianche mani abbandonate? Saremo semplici, e assurdi, e felici? bisognerà fare della scherma intellettuale, e gareggiare d’arguzia, motteggiatori e ostili?

«Che importa? che importa? I miei occhi vi vedranno e l’anima mia non chiederà di più.»

* * * * * *

Un telegramma da New York ad Andermatt, risposta pagata. (Denari presi in prestito da Fräulein Müller):

«Vistovi stanotte in sogno. Avevate lunga barba nera. Ditemi che non è così.»

«Nancy


Risposta da Andermatt:

«Non è così. Vieni subito».


Nancy non andò subito. Già non aveva nessuna intenzione d’andare.... e poi non aveva i denari del viaggio.

Egli scrisse: «Vieni a Lucerna!»

Ed ella rispose: «Impossibile».

Lui: «Ti aspetterò a Interlaken».

Lei: «Impossibile».

Lui: «Incontriamoci a Parigi».

Lei: «Impossibile».

Lui: «Allora, in ottobre, parto pel Transvaal».


Allora, in settembre, ella gli riscrisse:


«Amo di figurarmi il nostro primo incontro.

«Avrà certo luogo nella cornice convenzionale d’un [p. 278 modifica]salottino in un Grand Hôtel. Sarà nel pomeriggio, un po’ tardi, perchè siano già accesi per tutta la stanza i lumi rosso-velati, come fiorellini lucenti in un racconto di fate.

«Udrò bussare alla porta. E voi entrerete nella mia vita.

«E allora? e allora, caro Sconosciuto?

«Quando le mie mani, come farfalle imprigionate, saranno chiuse nelle vostre mani, quando i vostri occhi si affonderanno nei miei, che ne sarà della balda mia sfrontatezza, della mia gaiezza frivola e disinvolta? Io so che sarò muta e spaventata.

«Già al solo pensarci mi sento pulsar via la vita per l’estasi, e l’ansia, e la felicità!

«E allora?

«Allora saremo rigidi e compassati e corretti!... L’Usanza, come una vecchia signora per bene, ci riprenderà per mano e ci ricondurrà a passeggiare per i giardini della Consuetudine, tra le ben tenute aiuole e i frequentati viali della Convenzionalità.

«O credete voi forse, ignoto amico mio, che oseremo sfuggirle? Che in groppa al fantastico destriero della nostra Sorte ci lancieremo al di là delle barriere e dei divieti, nei fiammanti abissi della passione?

«Addio, mio signore. Ben inteso, non verrò».