I due Gentiluomini di Verona/Atto quinto

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Atto quinto

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William Shakespeare - I due Gentiluomini di Verona (1590-1596)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
Atto quinto
Atto quarto
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ATTO QUINTO


SCENA I.

La stessa. - L'Abbazia.

Entra Eglamour.

Egl. Il sole comincia ad indorare l’occidente, ed è omai l’ora in cui Sìlvia deve raggiungermi alla cella di Patrizio. Ella non mancherà; perocchè gli amanti sono esatti ai loro ritrovi, o se fallano le ore è per venir più presto. (entra Silvia) Eccola; buona sera, signora!

Sil. Amen, amen! affrettiamoci, buon Eglamour; usciamo per la porta segreta dell’abbazia; temo di esser seguita da qualche delatore.

Egl. Non temete: la foresta non è che a tre leghe di distanza, e se là giungiamo, saremo sicuri. escono)

SCENA II.

La stessa. — Un appartamento nel palazzo del duca.

Entrano Turio, Proteo e Giulia.

Tur. Ebbene, messer Proteo, che risponde Silvia alle mie istanze?

Prot. Oh signore! la trovai più mite dell’usato; e nondimeno ha anche qualche cosa a ridire sulla vostra persona.

Tur. Che! Dice forse che le mie gambe son troppo lunghe?

Prot. No; anzi troppo corte.

Tur. Porterò gli stivali per renderle un po’ più rotonde.

Prot. Ma l’amore non può essere stimolato da ciò che gli spiace.

Tur. Che dice del mio volto?

Prot. Dice che è bianco.

Tur. Mente la bugiarda; perchè anzi è nero.

Prot. Ma le perle son bianche, e un antico adagio dichiara che gli uomini neri son perle agli occhi delle donne belle.

Giul. (a parte) Una perla che offende la vista: vorrei piuttosto esser cieco, che riguardarla. [p. 192 modifica]

Tur. Come le piace il mio discorso?

Prot. Poco quando parlate di guerra.

Tur. Ma quando parlo di amore e di pace?

Giul. (a parte) Desidererebbe che restaste in pace.

Tur. Che dice del mio valore?

Prot. Ella non ne dubita.

Giul. (a parte) Troppo conosce la sua codardia.

Tur. Quali le sembrano i miei natali?

Prot. Vi reputa di buon casato.

Giul. (a parte) Sì certo, poichè venite in linea retta da un gentiluomo a un imbecille.

Tur. Ha presenti i miei possedimenti?

Prot. Sì, e li commisera.

Tur.. Perchè?

Giul. (a parte) Per essere toccati a un tal ciuco.

Prot. Perchè poco li curate.

Giul. Viene il duca. (entra il Duca)

Duc. Ebbene, messer Proteo? Ebbene, messer Turio? Chi di voi vide, non ha molto, ser Eglamour?

Tur. Io no.

Prot. Nè io.

Duc. Vedeste mia figlia?

Prot. Neppure.

Duc. Dunque è fuggita in traccia di quel suo indegno Valentino, ed Eglamour le ha tenuto compagnia. Deve essere così; perchè frate Lorenzo gli ha incontrati tutti due, mentre faceva penitenza nella foresta. Egli ha riconosciuto Eglamour, ed ha sospettato di lei; ma poichè era mascherata non ha potuto accertarsene. Oltre a ciò ella mi disse, che questa sera andava a confessarsi dal reverendo Patrizio, nè vi è andata; circostanza che conferma la sua fuga. Vi scongiuro quindi, cavalieri, non sperdete altro tempo: montate a cavallo tosto e venite a raggiungermi sulla via di Mantova, percorsa dai fuggitivi. Spicciatevi, buoni amici, e seguitemi. (esce)

Tur. È una fanciulla balzana: ella fugge la fortuna che le va dietro. Vuo’ seguirli, più per vendicarmi di Eglamour che per amore dell’ingrata Silvia. (esce)

Prot. Ed io vuo’ seguirli, più per amore di Silvia che per odio d’Eglamour. (esce)

Giul. Io, più per mettere ostacolo a un tal amore che per odio contro Silvia, a cui l’amore ha fatto prender la fuga. (esce) [p. 193 modifica]

SCENA III.

Le frontiere di Mantova. — Un bosco.

Entra Silvia coi banditi.

Band. Venite, venite, calmatevi, convien che vi conduciamo dal nostro capitano.

Sil. Mille sventure maggiori mi hanno insegnato a sopportar questa pazientemente.

Band. Venite; conducetela.

Band. Dov’è il gentiluomo che l’accompagnava?

Band. Agile come un lepre ci è scappato, ma Mosè e Valerio lo seguono. Va con lei a oriente della foresta dov’è il nostro duce; noi pure inseguiremo il fuggitivo. Il bosco è circondato: ei non potrà mettersi in salro.

Band. Venite, vi condurrò alla caverna del nostro capitano: non temete; è un uomo retto e non permetterà che venga insultata una donna.

Sil. Oh Valentino! io soffro tutto questo per tua cagione!

(escono)


SCENA IV.

Un’altra parte del bosco.

Entra Valentino.

Val. Quanto impero ha l’abitudine sopra l’uomo! Queste ombrose foreste, questi boschi solitarii, io li amo più delle città popolate e fiorenti. Qui posso assidermi solo senz’esser veduto da alcuno, per unire la mia voce gemente ai canti flebili dell’usignuolo, raccontando le mie sventure agli echi che mi circondano. Oh tu, la di cui imagine abita nel mio cuore, non lasciare questa dimora sì lungo tempo senza padrone, per tema che fatta ruinosa non crolli, nè rimanga alcun vestigio di quello che fui. Soccorri alla mia vita colla tua presenza, Silvia, amabile ninfa, e allieta il tuo pastore, che omai dispera! — Quali grida, e qual tumulto si ode oggi in queste foreste? Saranno i miei compagni che faran legge del loro voleri. Essi inseguiranno forse qualche sciagurato passeggiere, perocchè sebben mi amino molto, debbo far assai per impedire che commettano azioni crudeli. Ritirati, Valentino; chi è che si avanza? (entrano Proteo, Silvia, e Giulia) [p. 194 modifica]

Prot. Signora, il servizio che vi ho reso (sebbene voi non vi degniate di veder nulla di quello che fa il vostro servo per voi) avventurando la mia vita per strapparvi all’assassino che avrebbe fatta violenza al vostro onore e alla vostra onestà, merita bene che, secondando la mia preghiera, mi ricompensiate almeno con un tenero sguardo. Io non posso chiedere favore più piccolo; sono certo che accordar non ne potete un minore.

Val. (a parte) È sogno quello ch’io vedo ed odo? Oh amore! dammi pazienza per contenermi.

Sil. Misera! misera ch’io sono!

Prot. Misera eravate prima che io giungessi; ma dopo il mio arrivo vi ho resa felice.

Sil. Col tuo avvicinarti mi rendi più sventurata.

Giul. (a parte) E me pure quand’egli a voi s’avvicina.

Sil. Se fossi stata presa da un leone famelico, più mi sarebbe piaciuto servir di pascolo alla feroce belva che vedermi salvata dal traditor Proteo. Cielo, sii testimonio ch’io amo solo Valentino, e che la mia anima non mi è più cara della sua vita; e ch’io l’amo tanto (ed è molto dire) quanto detesto il vile e spergiuro suo amico. Fuggi dalla mia presenza e non infestami più oltre.

Prot. Qual pericolo anche di morte non avrei io affirontato per ottenerselo un vostro dolce sguardo I Ohi è una maledizione dell’amore, che una donna non possa amare quegli da cui è adorata.

Sil Ciò procede perchè Proteo non ama chi dovrebbe amare. Il cuore hai di Giulia, a cui promettesti la tua fede con mille e mille giuramenti, de’ quali hai fatto altrettanti spergiuri per sedurmi. Più fede non hai, se pure Proteo non ne abbia due; ciò che è anche peggio che non ne avere alcuna: meglio è non ne avere che averne molte. Quando la fede è doppia, ve n’è sempre una di più. Non tradisti tu forse il tuo migliore amico?

Prot. In amore chi rispetta gli amici?

Sil. Tutti, tranne Proteo.

Prot. Ebbene se le dolcezze dell’amore non possono intenerirti in favor mio, ti amerò da soldato, e per la legge del più fòrte impiegherò ciò che ripugna di più all’amore, la violenza.

Sil. Oh Cielo!

Prot. Ti costringerò a cedere ai miei desiderii.

Val. (avanzandosi) Scellerato, allontana da lei la tua odiosa e brutal mano, indegno e falso amico!

Prot. Valentino! [p. 195 modifica]

Val. Vile amico della ventura, senza fede e senza amore, perfido, in tradisti le mie speranze. Forza era ch’io lo vedessi co’ miei occhi per crederlo. Ora non oserei più dire, che esistono amici al mondo: tu mi proveresti il contrario. Di chi fidarsi omai, se la destra mano è infedele al cuore? Quanto mi è doloroso questo disinganno. Tu sei cagione che tutto il mondo mi diverrà straniero: questa ferita è la più profonda e sensibile che io mai soffrissi: sciagurato momento in cui ho trovato che il più crudele di tutti i miei nemici era l’amico mio!

Prot. Il mio delitto e la mia vergogna mi confondono. — Perdonami; e se il pentimento del cuore basta ad espiar l’offesa, io te l’offro: il dolore del mio rimorso eguaglia il delitto che ho commesso.

Val. Basta, son pago; e ti reputo ancora onesto: quegli che non rimane soddisfatto dal pentimento non è degno del Cielo nè della terra. Entrambi questi regni si lasciano intenerire, e il dolore del rimorso placa la collera dell’Eterno. Per darti una prova della mia schiettezza, ti cedo tutti i diritti che potevo avere sopra di Silvia.

Giul. Oh me infelice! (sviene)

Prot. Che ha quel giovinetto?

Val. Fanciullo, che hai? Che hai? favella.

Giul. Oh buon signore! il mio padrone mi commise di dare un anello a Silvia, che per negligenza non diedi.

Prot. Dov’è quell’anello, fanciullo?

Giul. Eccolo: è questo. (dandoglielo)

Prot. Come! lasciami vedere: quest’è l’anello ch’io diedi a Giulia.

Giul. Vi chieggo perdono, signore, errai. Ecco quello che mandaste a Silvia. (gliene mostra un altro)

Prot. Ma come hai tu quest’anello? Alla mia partenza io lo diedi a Giulia.

Giul. E Giulia lo diede a me; ed è Giulia che l’ha qui portato.

Prot. Come! Giulia!

Giul Riconosci quella a cui hai data la tua fede coi giuramenti più sacri, e che gli ha profondamente conservati nel suo cuore. Oh quante volte coi tuoi spergiuri tu hai voluto strapparglieli! Arrossisci, Proteo, veggendomi qui sotto questi panni; arrossisci per aver io dovuto esporre il mio sesso con questi abiti inverecondi, sa però un travestimento ispirato dall’amore può essere vergognoso. Ah! di minor disonore è bene per una donna il mutar abiti, che nol sia per un uomo il cambiar sentimenti. [p. 196 modifica]

Prot. Cambiar sentimenti? È vero: oh Cielo! se l’uomo fosse costante, ei sarebbe perfetto. Questa colpa sola lo travolge in tutte le altre, e lo spinge a tutti i delitti; ma la mia volubilità finisce prima ancora di essere cominciata. Che vi ha dnnqae di più amabile nei lineamenti di Silvia che un occhio non alterato trovar non possa in quelli di Giulia?

Val. Su via, datemi entrambi la vostra mano, onde gusti la gioia di formare questa felice unione. Sarebbe crudele che due cuori, che si amano tanto, fossero più a lungo nemici.

Val. Attesto il Cielo, che nulla di meglio desidero.

Giul. E neppur io. (entrano i banditi col Duca e Turio)

Band. Cattura, cattura, cattura!

Val. Fermatevi,fermatevi; è il nostro venerabile duca. Vostra Grazia abbia ogni migliore accoglienza da un infelice, dal bandito Valentino.

Duc. Messer Valentino!

Tur. Veggo laggiù Silvia; e Silvia è mia.

Val. Indietro, Turio, o sei morto. Non venire entro al raggio della mia collera. Non dire che Silvia è tua; se osi ripeterlo, Milano non ti rivedrà più. Eccola; toccala solo; proferisci solo una parola contro il mio amore!

Tur. Signor Valentino, io non mi curo di lei: riguarderei come pazzo un uomo che volesse rischiar la sua vita per una fanciulla che non l’ama. Non ho alcuna pretensione sopr’essa ed è perciò vostra.

Duc. Sempre più vile e più basso ti mostri abbandonandola dopo tante istanze. — Per l’onore de’ miei avi, ammiro il tuo coraggio, Valentino, e degno ti credo dell’amore di un’imperatrice. Sappi dunque che fin da questo momento dimentico il passato, ne cancello ogni memoria, e ti richiamo alla mia Corte; chiedi tutti gli onori dovuti al tuo merito, ed io te li accorderò con queste parole: tu sei un prode; discendi da un’illustre schiatta; ricevi la mano di Silvia chè l’hai meritata.

Val. Ringrazio Vostra Altezza: questo dono forma la mia felicità: e vi scongiuro ora per l’amore di vostra figlia di concedermi un’altra grazia.

Duc. Qual ch’ella sia, raccordo a tua intercessione.

Val. Questi banditi, fra i quali vissi, son tutti uomini di egregie doti; perdonate loro i falli che han commessi e richiamateli dal loro esigilo. Mio principe, essi son ben mutati, e divenuti son dolci, cortesi e pieni di ardore per il bene, onde possono rendere allo Stato i più grandi servigi. [p. 197 modifica]

Duc. Tutto ti concedo: ad essi perdono come a te: dà a ciascuno un ufficio idoneo, e partiamo per Milano. Tutte le nostre contese mutino a canti di trionfo e di allegrezza pubblica e solenne.

Val. Lungo la strada ardirò farvi sorridere. Che pensate, mio principe, di questo paggio?

Duc. Sembrami aggraziato assai: egli arrossisce.

Val. Vi assicuro, signore, che ha molta più grazia di un giovine.

Duc. Che volete dire?

Val. Se il concedete, vi narrerò per strada avventure che vi empiran di stupore. — Vieni, Proteo, la tua sola punizione sia l’udire il racconto de’ tuoi amori: dopo di che non avremo entrambi che un medesimo giorno di nozze, che una sola festa, una sola casa, ed una mutua e comune felicità.

(escono)




FINE DEL DRAMMA.