I giuochi della vita/Padre Topes

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Padre Topes

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I giuochi della vita Il vecchio servo
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PADRE TOPES.

[p. 221 modifica] Qualche anno fa abitavano ancora, in un convento posto sulla vetta d'una montagna sarda, alcuni frati, credo francescani. Ogni tre o quattro mesi, uno di loro scendeva la montagna, prendeva un cavallino nel villaggio sottostante — e per lo più questo cavallino veniva concesso gratuitamente da qualche ricco contadino del luogo — e visitava cinque o sei paesi, in cerca di elemosine.

Il più giovine dei frati, soprannominato padre Topes, per la sua figurina timida di topo, dal lungo musetto pallido ed i piccoli occhi lucenti, aveva appena ventidue o ventitrè anni, sebbene ne mostrasse di più: pregava e taceva sempre; era in odore di santità, e si diceva fosse vergine. Egli era figlio d'un bandito morto assassinato molti anni prima: da fanciullo aveva fatto il mandriano, e sua [p. 222 modifica] madre, una fiera e miserissima vedova, avrebbe preferito ch'egli seguisse la via del padre, piuttosto che vederlo farsi frate.

Padre Topes, dunque, il cui vero nome era padre Zuànne, pregava, taceva, e lavorava continuamente. La mattina per tempo egli mungeva le poche capre possedute dai frati, poi zappava nell'orto, cucinava, lavava le stoviglie, andava ad attingere acqua dal pozzo e dalle fontane. Nel pomeriggio stava lunghe ore alla finestra, gittando briciole di pane agli uccelli che volteggiavano intorno al suo corroso davanzale di pietra.

Una infinita solitudine avvolgeva il piccolo convento nerastro che cominciava a cadere in rovina: boschi millenarii di elci, roccie dai profili strani, che nei crepuscoli glauchi parevano enormi teste di sfingi; cespugli di agrifoglio e di felci di un verde giallognolo circondavano il convento e coprivano i fianchi della montagna piramidale. Dalla finestruola di padre Topes si godeva un immenso orizzonte, si vedevano montagne violacee sul cielo che cangiava colore ogni momento, e all'alba pareva soffuso di latte azzurrognolo, e al tramonto ardeva come lamina d'oro arrossata dal riflesso d'un fuoco potente. Sentiva padre [p. 223 modifica] Topes la grandiosa bellezza, la solitudine divina del luogo? Sentiva le acute fragranze del musco e delle piante aromatiche, che salivano dai boschi al cader della sera, quando la luna nuova, rossa come una ferita sul cielo violetto sfumante in rosa, in lilla, in glauco, calava sulle montagne della natìa Barbagia; quando le roccie, al crepuscolo, biancheggiavano quasi di una luce propria, e tutto il bosco aveva fremiti, riflessi, mormorii arcani; e tutta la montagna pareva assorta in un sogno d'amore?

Chissà? Fatto sta che egli rimaneva ore ed ore alla finestra, anche dopo che gli uccelli s'erano ritirati nel bosco e nei nidi sulle roccie; e guardava “rapito in estasi„ il magnifico orizzonte; e anche d'inverno, quando le nuvole e la nebbia stringevano la montagna, il piccolo frate usava affacciarsi alla finestra, col musetto livido e screpolato dal freddo, e guardava in lontananza, gettando briciole ai corvi che venivano dalle nuvole e tornavano fra le nuvole.

— Grazie, grazie, grazie, — pareva dicessero i corvi col loro grido rauco, salutando lo strano fraticello.

— Egli diventerà santo; santo come san Francesco, — diceva fra Chircu, il guardiano, [p. 224 modifica] il quale di notte piangeva e si martoriava perchè di giorno non poteva far a meno di ubbriacarsi.

Una volta, però, padre Topes cadde in peccato mortale. Ed ecco come.

Un giorno, ai primi d’aprile, mentre il piccolo frate stava alla finestra contemplando il cielo azzurro tempestato di piccole nubi che parevano foglie di rose, fra Chircu lo chiamò e gli ordinò di partire l’indomani per la cerca.

Di solito, in quel tempo dell’anno, i sardi sono molto poveri, ma ai frati dànno sempre qualche cosa.

Frate Topes partì la mattina per tempo: il cielo era tutto argenteo, il bosco umido, le foglie secche e brune che coprivano il suolo brillavano di rugiada.

Un soave odore di violette e di narcisi avvolgeva il frate, che sorrideva beato. Ah come si sentiva felice di viaggiare! Avrebbe visitato tante belle chiese, avrebbe visto il vescovo di Nuoro solenne e bello come un santo apostolo.

Basta, arrivato in fondo alla montagna, davanti al villaggio nero e silenzioso come una cava di schisto, il frate si riposò sotto i bassi rami di un elce, vicino al quale gorgogliava [p. 225 modifica] una fontana. Poco distante c’era la prima casa del paese; ed una fanciulla alta e formosa, bruna ma con occhi turchini, uscì da questa casa, venne ad attingere acqua alla fontana, e salutò il fraticello sorridendogli graziosamente.

Egli la guardò e non si turbò affatto per la presenza di lei e per il suo bel sorriso; anzi le chiese a chi poteva rivolgersi per il cavallo. Ella nominò un ricco paesano. Egli trovò il cavallo, partì, girò per i villaggi, e visitò tante belle chiese, ed arrivò a Nuoro e vide il vescovo, alto, solenne e candido come un santo apostolo vivente.

Il tempo era stupendo; tiepido e molle: il sole già caldo ma velato da vapori lattei, inondava di voluttuosi tepori le verdi campagne, freschissime, fiorite di margherite e di ranuncoli, di puleggio e di genziane.

Il fraticello viaggiava con piacere, salutando con gioia infantile tutte le persone che incontrava: qualche volta si tuffava fra le alte erbe tiepide, mentre il cavallo pascolava, e sentiva una dolcezza struggente, simile alle estasi che provava nel convento quando pregava sognando il paradiso.

Basta, una notte arrivò tardi in un villaggio. [p. 226 modifica] La notte era chiara, tiepida, dolce e fragrante come una notte di giugno. Frate Topes avrebbe voluto dormire all’aperto, ma aveva le bisaccie già colme e temeva lo derubassero. I tempi erano tristi; nel mondo c’era molta gente buona, ma anche molta gente cattiva. Eppoi egli si sentiva stanco, assonnato, bisognoso di riposo e di sicurezza.

Battè alla prima porticina che vide. Gli fu subito aperto da una donna alta e bella, bruna con gli occhi azzurri, che rassomigliava alla fanciulla incontrata vicino alla fontana.

— Che volete? — chiese ella bruscamente, guardandolo meravigliata.

— Così e così, — egli disse ciò che desiderava.

La giovine donna esitò un momento, corrugando le foltissime sopracciglie nere; poi introdusse il frate ed il suo cavallo carico in un cortiletto attiguo alla casa.

— Io sono una donna sola, — disse, aiutando a scaricare le bisaccie, e ridendo un po’ beffarda, — ma spero che la gente non mormorerà, se vi faccio dormire qui.

— No, di certo! — rispose frate Topes sorridendo. — Ad ogni modo me ne andrò prima dell’alba. Dormirò magari qui nel cortile. [p. 227 modifica]

— Dio ce ne scampi; no! Per il servo di Dio è sempre riserbato il miglior posto della casa. Ma come pesano queste bisaccie! Avete fatto buona cerca?

— Sì; in tutti gli ovili mi han dato il cacio nuovo, che il Signore benedica le greggie. Ed anche l’olio mi hanno dato, le buone massaie, che sia benedetto il loro cuore!

— Amen! — disse la donna ridendo.

Aveva un contegno strano; e il suo sguardo lucente e il suo riso beffardo mettevano quasi paura. Sulle prime padre Topes la credette un po’ matta. Ella fece entrare il frate in una bella camera azzurra e gli offrì dei dolci, vino e liquori.

— No, no.

Egli respingeva tutto; ma ella insistè con tanta grazia, carezzevole e insinuante, che egli mangiò un dolce e poi bevette un bicchiere di vino, soave e forte come il profumo delle macchie aromatiche che circondavano il convento; poi ne bevette un altro, poi un calice di un liquore rosso e ardente come il cielo al tramonto veduto dalla finestra della sua cella; poi un altro ancora.

— E ditemi, dunque, di qual convento siete? Dove siete stato? — chiedeva la donna, ritta accanto a lui. [p. 228 modifica]

Ella era vestita con ricercatezza; aveva un corsetto che al riflesso del lume brillava di perline e di pagliette d’oro; aveva i neri capelli divisi sulla fronte e attortigliati intorno alle orecchie, lucenti d’olio odoroso; ed infine esalava un profumo di violetta che stordiva il frate.

Egli sentiva una dolcezza mai provata, una felicità infinita. Abbandonato sulla sedia, accanto al letto, gli pareva che tutti i suoi nervi si fossero spezzati, e il suo corpo non potesse muoversi più; e provava un piacere indicibile per quella snervatezza, per quello sfacelo di tutte le sue facoltà fisiche. Intanto raccontava i suoi casi alla donna attenta.

— Ah, — disse ella stupita. — Voi siete il figlio di quel bandito? E perchè vi siete fatto frate?

— Per espiare i peccati di mio padre! — egli rispose.

E subito sentì un grande dolore per questa confessione che non aveva mai fatto a nessuno; ma la donna lo stordì tosto con una sua risata beffarda.

— Perchè ridi? — egli balbettò.

— Perchè sei uno stupido! — ella disse, chinandosi sopra di lui, e accarezzandolo. — [p. 229 modifica] Sei un bambino innocente, tu; sei innocente o no?

— Sì, — egli disse, pallido e tremante, respingendola debolmente.

In quel momento s'udì battere alla porta, ma la donna finse di non sentire; e tornò a curvarsi, prese le braccia del frate, se le cinse al collo e baciò sulle labbra la povera creatura smarrita.

Egli chiuse gli occhi e due lagrime gli rigarono le guancie tremanti.

— Baciami, — diss'ella, con una specie di delirio. — Suvvia, non piangere, non aver paura. Il peccato non esiste. Cosa è il peccato? Baciami. Egli la baciò.

E rimase due notti e due giorni nella casa fatale. Spesso udiva battere alla porta, e tremava tutto, ma la donna rideva e lo rassicurava.

— Quando non apro, vedono bene che c'è gente e vanno via! — gli diceva sfacciatamente.

La terza notte lo mandò via.

— Va, — gli disse, — ritornerai un'altra volta. Ora va.

Egli le lasciò tutto ciò che aveva nelle bisaccie. [p. 230 modifica]

A dire il vero ella sulle prime rifiutò; ma poi si lasciò facilmente convincere ed accettò ogni cosa.

*

Frate Topes arrivò al convento la sera dopo.

Quando fra Chirchu lo vide si fece il segno della croce.

— In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, che è avvenuto, padre Zuanne? Voi sembrate un vecchio di cento anni; pare siate entrato ed uscito dall' inferno.

— Ebbene, — disse il meschino, con voce spenta. — Mi hanno assalito i ladri; mi hanno derubato e bastonato!

Padre Chircu, mezzo ubbriaco, cadde in ginocchio e cominciò ad urlare contro la malvagità del mondo; poi si sollevò aggrappandosi al muro e chiese:

— E il cavallo? Anche quello?

— No, quello l' ho riportato sano e salvo al padrone.

— Ebbene, uomo di poca fede, voi dovevate rifare il giro. E lo rifarete: quando udranno che i ladroni hanno assalito in voi lo stesso Gesù Cristo in persona, raddoppieranno le offerte. [p. 231 modifica]

Padre Topes, già pallido come un cadavere, diventò livido e cominciò a tremare.

— Padre, — supplicò a mani giunte, — non mi mandate: no, non mi mandate. Mi assaliranno di nuovo. Ho paura. Abbiate pietà di me; mandate un altro.

— Un altro non lo crederebbero: direbbero che facciamo una speculazione. Andate, padre Zuanne; quando vedranno il vostro viso invecchiato ed i vostri occhi pieni di terrore, raddoppieranno le offerte.

Invano il piccolo frate pregò e supplicò. Padre Chircu sapeva bene il fatto suo, per non desistere dalla felice idea balenatagli in mente; però concesse a frate Topes una settimana di riposo.

Fu una settimana di martirio.

La primavera splendida della montagna avvolgeva di luce e di fragranze il vecchio convento verde d’umido e di musco. Le gazze fischiavano di gioia nel bosco odoroso di viole; ogni filo d’erba tremava e brillava alla brezza tiepida. Padre Topes delirava, col sangue arso da una invincibile ossessione di rimorso, di ricordo e di desiderio. E volevano ch’egli ripartisse! No, piuttosto morire; perchè partire significava incamminarsi ineluttabilmente [p. 232 modifica] verso il peccato. Ed egli non voleva più peccare: egli ora voleva vivere cento anni e poi altri cento anni nel convento, in una grotta, in cima ad una rupe, come san Simone sulla colonna, per espiare i peccati suoi e quelli di suo padre. Dopo una settimana però, si sentì più calmo e partì. Un filo di speranza lo guidava: Dio misericordioso l’avrebbe aiutato.

Anche questa volta il cielo incurvavasi come una volta argentea al disopra dei rami contorti del bosco, ed un soave odore di violette e di mughetti profumava l’aria fresca dell’alba rugiadosa.

Ma Padre Topes cominciò a turbarsi nel re spirare la fragranza del bosco: ricordava il profumo di quella donna; e sentiva il suo cuore stringersi, stringersi, farsi piccino come una bacca d’agrifoglio. Una tristezza mortale lo avvolse.

Arrivato in fondo alla montagna, si fermò come l’altra volta, sotto il grande elce dai bassi rami, vicino alla fontana.

Il paesello taceva, lievemente colorato dal riflesso dell’aurora.

Come l’altra volta, la fanciulla alta e formosa, dagli occhi turchini e le labbra rosse, venne ad attingere acqua alla fontana. [p. 233 modifica] Vedendo il fraticello gli sorrise graziosamente e gli disse con voce carezzevole, come parlando ad un bimbo:

— Vi hanno dunque assalito, i ladroni? Ah, i cattivi ladroni! Essi andranno all'inferno….

Il piccolo frate non rispose: ma la guardò come un pazzo. Ah, sì, Dio santo e terribile, ella rassomigliava a quell'altra, e nel guardarla, Padre Topes provava una vertigine di desiderio che gli ottenebrava gli occhi. Egli era perduto; perduto per tutta l'eternità. Sentì che non avrebbe fatto un passo se non per avviarsi a quel luogo, e non si mosse. Appena la fanciulla se ne fu andata, alta e bella e con l'anfora sul capo come la Samaritana, Padre Topes la seguì con lo sguardo ardente, poi si levò la corda grigia che gli cingeva i fianchi e la gittò ad un ramo. Salito sulla pietra che serviva da sedile, egli fece un nodo scorsoio alla corda, se lo passò al collo e si lanciò nel vuoto.