I suicidi di Parigi/Episodio primo/XIV

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Episodio primo - XIV. Complicazioni che tutto semplificano

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XIV.

Complicazioni che tutto semplificano.

Sergio si diede, per parecchi giorni, al lavoro il più ostinato. Egli voleva avanzar la bisogna dei suoi Sixièmes ètages de Paris, cui aveva in cantiere, e la spinse di fatto ben oltre. Imperciocchè era di già giunto allo scioglimento, quando cadde ammalato.

Mandò il suo manoscritto al giornale senza dare avviso della sua indisposizione.

Sergio non aveva solo lavorato, aveva altresì passate quasi tutte le sere nei saloni di Parigi, togliendo al sonno le ore cui destinava ai piaceri. Non lo si era mai visto più gaio, più galante, più felice con maggior vena, raccontar con più spirito e con più amplitudine. Lo si diceva innamorato di una principessa russa, la quale faceva mattezze per lui.

Egli aveva ricevuto un secondo viglietto anonimo, più circostanziato del primo col quale lo si invitava di nuovo al ballo dell’Opéra.

Non v’era andato.

Solamente, questa volta, invece di bruciare il viglietto, se lo aveva cacciato in tasca e si era recato da suo fratello, Giustino di Linsac, per mostrarglielo.

Giustino era fratello minore di Sergio, e medico. Luigi Filippo l’avvea fatto deportare, dopo l’affare Fieschi. Poi, egli era ritornato. Ma lo avevano gettato di nuovo in prigione, dopo l’attentato di Alibau. La sua clientela erasi dispersa malgrado l’immenso suo merito. Le sue opinioni rigide, rude, puritane, spiccate, mettevan paura nei timorosi — in quelli stessi del suo partito. Imperciocchè, il coraggio morale in Francia non è così comune come il coraggio fisico. Si brava la morte. S’impallidisce innanzi a un epigramma.

I due fratelli ebbero un colloquio di più ore, chiusi nel [p. 83 modifica]gabinetto del medico. E quando si separarono, si abbracciarono teneramente.

La politica li aveva un po’ straniati. Giustino, repubblicano della tempera di Saint-Just, non approvava certe transazioni cui Sergio aveva creduto convenevole ammettere, cedendo alla forza delle cose.

L’indomani di questa riconciliazione, Sergio era caduto ammalato.

Suo fratello lo accudiva.

Infrattanto, il manoscritto mandato al giornale smaltivasi e volgeva alla fine. Il direttore dell’appendice gli chiedeva nuova copia di tutta fretta, perocchè non ne restava più che per tre feuilletons.

Preso così alla gola, dal suo impegno e dai suoi lettori, Sergio si era alzato ed aveva cominciato a scrivere. Ma si sentiva troppo debole.

Il campanello della cancellata del suo chálet risuonò. Andò alla finestra e scorse il suo amico Marco di Beauvois.

— Bravo! — sclamò Sergio. Arriva a proposito. Va ad aiutarmi.

Si assise innanzi al caminetto ed aspettò.

Marco non venne da lui. Era entrato nel piccolo atelier di Regina. Sergio andò in busca di lui. Ma, giunto alla porta dell’atelier, alcune frasi, cui infraintese, colpironlo.

Ecco ciò che Marco raccontava:


— .......... Un’avventura, madama, che sarebbe stata davvero comica, se il vostro nome non vi si fosse mischiato, e se un uomo non fosse stato mortalmente ferito.

Sergio fermossi ed ascoltò.

— Il mio nome, voi dite? — gridò Regina — il mio nome al foyer de l’Opéra?

— Sventuratamente, sì, madama.

— Impossibile, signore.

— Io vi era, madama, ed ecco come le cose sono avvenute. Non debbo nulla dissimularvi.

— Parlate, al contrario.

— Eravamo riuniti, lì, verso l’una del mattino, un gruppo di giornalisti e di letterati e cicalavamo con delle maschere che ci facevano corona, di ogni specie di monellerie, [p. 84 modifica]quando, non so da chi nè perchè, il nome di Sergio fu pronunziato.

— «Non lo si vede più, disse taluno.

— «Lo si vede anzi da pertutto, adesso — sclamò un altro.

— «Egli è nel paradiso dei mariti — osservò un dominò al faveur rosa.

— «Egli è in Russia — sbadigliò Prospero Dalleux.

— «Proprio! egli coltiva le steppe di una principessa russa — ripostò Gaston di Beauval.

— «L’è giustizia — fece riflettere un Selvaggio. Egli si vendica. Un principe russo amministra sua moglie.

— «Che? — gridammo noi tutti.

— «Ebbene, sì, signori — continuò il Selvaggio. Madama di Linsac è un’abituata del Parc-aux-Cerfs del principe di Lavandall.

— Il miserabile! — gridò Regina saltando in piedi.

— Sì, madama, il miserabile — continuò Marco — ma quel miserabile — non aveva ancora finita la sua frase, che il signor Alberto Dehal gli aveva applicato una ceffata che rintronò in tutta la sala — gittandogli la sua carta al viso e gridando:

— Tu menti, facchino!

Il Selvaggio voleva slanciarsi sopra Alberto; ma io lo afferrai con violenza del braccio e gli dimandai la sua carta col suo nome. Egli si chiama il colonnello Stefano Stetzeneki, un polacco, e dimora al Faubourg Montmartre in un mobigliato mica mal mobigliato — imperciocchè à seco una deliziosa fanciulla di un vent’anni.

— Io credo sognare! — sclamò Regina quasi parlasse a sè stessa.

— Ieri — soggiunse Marco — Prospero Delleux ed io ci presentammo dal Polacco per sollecitare a mandare i suoi padrini. Egli li aspettava giusto allora. Nel pomeriggio, infatti, vennero da me due sotto-ufficiali dei chasseurs, e convenimmo che si sarebbero battuti stamane, alla spada, nel Bois di Meudon.

— Oh! Dio mio, Dio mio! — sclamò Regina.

— Alle otto, infatti, eravamo sul terreno.

— Ma il signor Dehal sapeva egli battersi alla spada?

— Lui! — sclamò Marco — egli è lo più forte allievo [p. 85 modifica]di Robert, signora. Sventuratamente, le cose non dovevano sciogliersi regolarmente. Il colonnello è uomo di un’età indefinibile. Perocchè à le guance bellettate, una parrucca rossiccia e dei baffi biondi lunghissimi. Quel sembiante colpì Alberto Dehal.

— «Io ò visto questo mariuolo altrove, — mi diss’egli.

Nondimeno, e’ non vi fece più attenzione e si apparecchiò alla cosa con la calma che messa avrebbe ad una toilette da ballo.

— Chi avrebbe sospettato mai codesto in quel garzone! — mormorò Regina.

— L’è vero — riprese Marco. Tanto più, che il duello non doveva mica esser uno di quegl’incontri di convenienza, dopo i quali si dice: «l’onore è soddisfatto!» Alberto aveva freddamente sete del sangue del calunniatore. Questi, dal canto suo, doveva esser evidentemente assoldato da qualche odio o da qualche gelosia furibonda.

— Ma io non ò nemici! — fece Regina.

— Credete voi, signora? rispose Marco — Voi siete tanto bella, così elegante, così spiritosa... tutti coloro che non sono per voi... Infine, si misero in guardia. Ma non appena Alberto ebbe visto il suo rivale di profilo ch’egli sclamò:

— «Poffardio! ò il capo del bandolo adesso. Un istante!

— Ch’era dunque?

— Udite. Fecimo bassar le spade. Alberto si avvicinò al colonnello, e volgendosi a noi:

— «Signori, diss’egli, io non posso battermi con questo galuppo.

— Perchè dunque?

— Perchè dunque? dimandarono infatti il colonnello ed i suoi testimoni di una voce.

— «Perchè, signori, — soggiunse Alberto, costui è un lacchè.

E ciò dicendo, di un colpo di mano strappava la parrucca ed i baffi del Polacco, e di un gesto imperioso ordinavagli:

— «Zio Timoteo, va a prendere il mio pastrano e vestimi. Su presto, mariuolo.

— Mio Dio, mio Dio! — disse Regina. Ma chi era dunque codesto domestico? [p. 86 modifica]

— L’intendente di una certa dama Thibault, cui voi conoscete, signora.

— Possibile!

— Sì, signora, ed Alberto nol conosce che troppo. Ora, gli è impossibile di farsi un’idea dello scompiglio che si stampò sul viso di quell’uomo smascherato così. Divenne di un tratto furioso.

— «Ah! — gridò egli — voi non volete battervi meco? Ebbene io vi forzerò.

— «Gli uomini come te, miserabile, risponde Alberto con calma, li si trascinano al banco della polizia correzionale.

— «Io non domando mica meglio — rimbeccò il Polacco. Prendete questo infrattanto.

E ciò dicendo, allungò la spada, e ferì Alberto profondamente al collo, e dettesi a gambe.

— Oh! l’assassino! — gridò Regina, lasciandosi cascare sur una seggiola.

— Il Polacco aveva preso i due sotto-uffiziali dai chasseurs nella caserma della via di Courcelles — continuò Marco — allegando che andava a battersi, ch’era straniero, e che non conosceva anima viva. Questi, appreso oramai che roba fosse il loro primo, volevano corrergli dietro, perchè il brigante fuggiva come un lepre. Alberto li ritenne, supplicandoli di lasciarlo andar via tranquillo.

— "Vuolsi far scandalo per assassinar l’onor di una dama, — diss’egli con voce soffocata. Non l’avete udito? desidera un processo in polizia correzionale?

— Il signor Dehal è dunque gravemente ferito? chiese Regina con inesprimibile ansietà.

— Sì, signora. Ed io trovomi qui per codesto.

— Parlate, signore, che volete da me?

— Innanzi tutto, signora, il silenzio il più assoluto su tutto questo avvenimento. Sergio deve ignorarlo...

Il signor di Linsac aprì la porta dell’atelier, si fe’ avanti ed obiettò:

— E perchè dunque debbo io ignorarlo, Marco?

Marco di Beauvois si avvicinò al suo amico e gli tese la mano senza aggiunger verbo.

— Marco, riprese Sergio, mia moglie come la moglie di Cesare, è al disopra della calunnia.

E dicendo ciò, prese Regina fra le sue braccia, e senza [p. 87 modifica]avvertir forse ch’egli aveva un resto di sigaretto acceso nella bocca, la baciò.

Ella gettò un piccolo grido.

Sergio le aveva bruciato il labbro.

— Voi venivate qui per qualcosa, Marco — soggiunse Sergio, dopo aver dimandato scusa a sua moglie di averla scottata.

— Sì — rispose il giovane — Alberto Dehal è sul punto di morire. Egli vorrebbe vedere per l’ultima volta colei che gli fu fidanzata, e cui, duolmi ripeterlo, egli ama ancora....

— Io non andrò! gridò Regina con impeto.

— Tu andrai, cara, rispose Sergio. Se io non fossi ammalato, ti accompagnerei io stesso in casa Dehal. Ma mio fratello va a venire ed e’ mi rimpiazzerà. Andrete insieme. Noi non siam mica dei bourgeois, perdio!

Regina gli si avvinse al collo, e disse:

— Voi siete un nobile e generoso cuore, Sergio.

Sergio uscì.

Questa scena l’aveva commosso. Ricoricossi. Suo fratello trovò che aveva la febbre.

I due fratelli s’intrattennero per qualche minuto. Regina si assentò per andare ad indossare uno sciallo e mettere un cappellino per uscire con Giustino.

— Allora, a domani, fratello, eh?

— A domani, sì. Vorrei però che i giornali facessero innanzi tratto un po’ di scandalo sulla scena dell’Opera e del bosco di Meudon.

— Non stare inquieto per codesto, Giustino — rispose Sergio. Coloro che àn manipolata la commedia, avran cura di darne partecipazione al pubblico. Vedo adesso donde il colpo è partito e cui vuolsi ferire. V’è lì sotto il dottore di Nubo, poichè vi è dell’Augusta Thibault.

Sergio non s’ingannava.

Il conte di Nubo raccontò l’avventura al club, senza nominare alcuno, della maniera la più comica, in presenza di un redattore del Corsaire. Questi andò per ragguagli alla caserma dei Chasseurs, ed il dì seguente, nella rubrica degli échos de Paris, si potè leggere l’aneddoto completo con indicazioni ed iniziali. Dicevasi:

«Una delle più belle giovani donne di Parigi, la lionne [p. 88 modifica]dei nostri saloni aristocratici, R* di L... moglie di uno dei nostri romanzieri più a la moda ed il più grazioso dei tempi nostri, il signor S* di L... — il signor principe di L... rappresentante in partibus di una delle grandi potenze del nord di Europa... — un poetico banchiere scandinavo, il signor A... D... — l’intendente di una bella vedova, conosciuta per l’eleganza del suo gusto ed i misteri della sua vita, madama A... T...»

Insomma, davansi tali segnalamenti, ch’e’ sarebbe stato impossibile di confondere le persone, e raccontavasi la verità con l’esattezza di un processo verbale.

— Tu avevi ragione — disse Giustino l’indomani, presentando il giornale a suo fratello. Il colpo è dato.

— Ci servono appuntino. Dammi la fiala.

Giustino cavò lentamente di tasca un involtino, e sedè senza parlare, la testa inclinata sul petto, riflettendo. Sergio stese la mano per ricevere il boccettino. Lo prese, lo nascose sotto l’origliere.

Che sogni incantati n’aveva egli fatto, che ore celesti n’aveva egli vissuto su quell’istesso guanciale, faccia a faccia, bocca a bocca con Regina!

I due fratelli restarono in silenzio per qualche minuto.

— La ferita del signor Dehal è dessa mortale? — chiese Sergio.

— No — rispose Giustino — Non è che perigliosa.

Seguì un nuovo silenzio. Infine, Giustino si levò bruscamente e partì, senza soggiungere una sola parola, senza gittar neppure uno sguardo al fratello.

— Egli soffre più di me, in questo atroce giudizio — sclamò Sergio. Ma, non importa, giustizia sarà fatta.

E gittò il Corsaire sulla brace.