Il Baretti - Anno I, n. 1/Jack London

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Giuseppe Prezzolini

Jack London ../La scuola della "Voce" ../Spiaggia del sud: danzatori IncludiIntestazione 7 luglio 2018 100% Da definire

La scuola della "Voce" Spiaggia del sud: danzatori
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Il pubblico italiano ha cominciato a fare conoscenza con le opere di Jack London nel migliore modo: cioè per via di traduzioni fatte direttamente dall’originale americano, senza riproduzioni dal francese, senza lavori e presentazioni critiche. Nè credo ce ne fosse bisogno. L’arte di Jack London, dov’è arte, è semplice ed elementare; per il resto è mestiere giornalistico e letterario di un uomo che sa fabbricare con abilità le trecento pagine di un romanzo e le tre colonne di una short-story, secondo le indicazioni dell’impresario del foglio o del magazine anglosassone. Tutto alla levatura di tutti. Gli autori tipici americani conosciuti da noi sono pochi: Bret-Harte, Hawtorne, Cowper, Mark Twain; e la maggior parte son catalogati, con una specie di disdegno, fra gli autori per ragazzi. Anche l’amara beffa di Murk Twain è stata abbandonata alle collezioni amene per la gioventù.

Pochi ne conosciamo, pochi ve ne sono da aggiungere.

Edgar Poe resta europeo, inglese. Tuttavia...Ma non dobbiamo parlare di lui.

Perché sono essi finiti nella letteratura per ragazzi, compresa buona parte, la più letta, di Poe?

Perchè sono autori più aderenti ad una vita primitiva. In fondo a tutta la vita americana, politica, religiosa od artistica, c’è il mito del Pioniere, come in Italia c’è il mito del Romano. Se noi apriamo una modesta strada comunale, il Sindaco del paese, basta che abbia fatto il ginnasio, parlerà certo di Roma nel discorso inaugurale e gli parrà d’essere un legionario selciatore di vie imperiali. In America qualunque ragazzo vada a metter le tende con i suoi compagni sulle rive del non più selvaggio Missipipì, si sente uno di quei puritani che lo attraversarono con il fucile in mano e la Bibbia dentro il carro coperto.

C’è tuttavia una differenza di vivacità: che qualche ragazzo americano ha sentito parlare del bisnonno che aveva sulla canna del fucile tante tacche quanti uomini aveva ammazzato. I nostri ricordi romani sono alquanto più languidi.

Jack London rappresenta molto bene questo ideale di vita americana. Tutti conoscono, almeno all’incirca, la sua vita avventurosa e povera, condotta fino a più di venti anni. Egli è stato marinaio, cacciatore, cercatore di oro, lavandaio, pirata... di ostriche. Ha cominciato a studiare tardi, dopo avere vinto un premio letterario nel concorso di un giornale. Ha dovuto imparare nello stesso tempo il contegno di un gentleman a tavola e il retto uso di shall e di will, secondo le buone tradizioni inglesi, in una università della California, mentre per vivere tirava i panni in una stanza infuocata.

Gli americani trovano che è un’ottima educazione pagare il biglietto d'entrata nella vita.

I romanzi di Jack London rispecchiano un po’ tutti vite dal biglietto pagato. Quando non valgono molto come creazioni d’arte, interessano come documenti. I romanzi di London sono pieni di brani autobiografici.

Nelle avventure vere e inventate, fantasticamente e corposamente concepite, o oleograficamente tinte del London c’è sempre un sentimento, una nota più o meno sentita, che forma la sua caratteristica profonda e originale. E’ il rinascere del selvaggio nel civile, del primitivo nel cittadino, della natura nell'artificio. Quando tocca questo punto London è quasi sempre un artista, è quasi sempre uno scrittore. Il suo capolavoro è il più breve dei suoi libri: The call of the wild, titolo intraducibile. «L’appello della foresta», come è stato tradotto in italiano e in francese, non mi pare che ne renda bene la lettera nè lo spirito. Discussi un giorno mezz’ora con André Gide e non riuscimmo a trovare un equivalente. E’ la vita selvaggia, il nocciolo primitivo che torna ed affiora alla superficie polita di un essere incivilito. Questo essere incivilito è un grosso cane lupo. Buck vive tranquillo in una grande villa, amato e accarezzato. Non sa che cosa farsi dei suoi denti. Contro chi li adoprerebbe? Ma un ladro domestico lo vende, un treno lo porta lontano, un donatore gli fa fare conoscenza con la legge del bastone, attaccato a una slitta impura a conoscere le lotte per la supremazia sui compagni, e finalmente, quando il suo ultimo padrone muore colpito dagli indiani in mezzo a una regione dove regnano neve e lupi, egli ritorna lupo, vero lupo, più forte ed astuto degli altri del branco sui quali domina incontrastato e leggendario. Il libro ha un crescendo intonatissimo. Si comincia dalle scene idilliche del primo capitolo (villa, bambini, aria profumata del mezzodì) e si finisce con l'ululato alla luna del branco dei lupi in mezzo al deserto di neve. Si comincia con particolari realistici, con quadri che tutti abbiamo veduto e si sale sempre di più verso il meraviglioso. Alla fine del libro, Buck non è più un cane ma un essere mitico.

Che cosa vi è di autobiografico qui dentro? A prima vista nulla. Che cosa vi è qui di documentario? A prima vista soltanto il puro materiale: figure di cercatori di oro, di postini attici, di addestratori di cani, di donne d'avventura di tutta quella gente rude, spesso equivoca, inerte d'origine, che s’era precipitata verso la promessa dell'oro nelle regioni dove le notti o i giorni sono più lunghi che da noi, e il gioco era l'unica distrazione degna di gente che arrischiava la vita ogni dì. Eppure nulla è più autobiografico di questa storia di cane, nemmeno quel noioso Martin Eden dove London racconta la sua vera storia di marinaio diventato celebre scrittore e fidanzato a una signorina di buona famiglia. The call of the wild è autobiografia poetica. Il cane, quel cane è proprio London, come doveva sentirsi certi giorni in mezzo ai signori vestiti di nero e alle dame scollate, alle quali, un po’ per fare colpo e un po’ naturalmente per reazione, amava presentarsi col colletto basso o in maglione. Dicono: è la psicologia del cane, il mondo veduto da quel cane che appare meravigliosamente. Ma no: è la psicologia di London descritta con cura ed efficacia straordinaria. Le bestie di Kipling, che sono state ricordate, son altra cosa: esse non divengono selvagge, ma sono e restano tali. Ora, dopo tanti anni e mesi che ho letto i suoi scritti, le figure di London mi si confondono un po’ tutte nella luce unica che danno gli occhi di Buck. C’è sempre lo stesso problema. Nel Lupo di mare un gentleman, fine letterato, viene buttato in mare per il cozzo di due navi, e raccolto da un veliero un po’ misterioso che traversa il Pacifico per scopi non chiari. Altro che tornare alla pace della casa e del quieto salotto, a scorrere riviste e scrivere versi delicati! Non c’è verso di scendere, non c’è somma che faccia sbarcare. Il padrone della nave è un essere brutale ed ironico, che costringe il gentleman a conquistarsi il proprio posto sulla nave, cominciando dal fare da sguattero al cuoco. La lotta è dura. Il gentleman, che crede nella buona educazione non meno che nella Bibbia e nei suoi comandamenti, si trova un giorno ad affilare un coltello e non con l’intento di tagliare le patate ma, se occorre, la gola di un uomo. E’ il momento buono per il padrone della nave, pirata nietzscheano, per interrogarlo sulle menzogne cristiane. Il gentleman deve conquistarsi un posto, salvarsi la vita, difendere persino la propria donna con le armi di un selvaggio, con i mezzi primitivi di un naufrago. Quando ritornerà alla sua casa e alle sue rendite sarà certo un altro uomo. Anche in Aurora radiosa l’eroe che si è fatto una fortuna americana cercando l’oro e comperando case, terreni, segherie, fattorie con abilità, un bel giorno, quando ha voluto giocare la partita in piena New York sarebbe spogliato di ogni cosa se non facesse appello alle abilità dei tempi passati e, attirati i suoi avversari di Borsa in un tranello, con un buon revolver alla mano non li costringesse a restituire il mal acquistato peculio.

Su questo London salvatico la coltura improvvisata e tarda giocò un de’ suoi tiri. Crebbe una storta torre di positivismo e di socialismo, ora ingenuo, ora frasaiolo, ora mitico, ora sentimentale. La più alta filosofia erano per London i Primi Principii di Spencer! Bisognava negare la religiosità bancaria delle classi benestanti americane e non restò in mano al London un migliore strumento. Non è il caso di insistere. Non vediamo anche ai dì nostri migliori artisti di London impegolarsi nel frasario alla moda?

C’è da notare piuttosto che la visione del socialismo di London ha talora degli accenti che echeggiano e fan risentire quella nota tutta sua di cui ho parlato. Nel Tallone di ferro c’è una visione dell’età futura socialistica. Ma egli non si è attardato a descrivere Bengodi. Ha invece descritto le lotte, durate per secoli, selvaggie di freddo accanimento, fra il «Tallone di Ferro» una sorta di Fascismo internazionale agli stipendi del capitalismo di tutto il mondo, e le organizzazioni proletarie, nascoste in catacombe o svolgono a colpi mortali, con regolari sistemi di spionaggio e di controspionaggio, con esecuzioni capitali immediate o con repressioni spaventose o con attentati crudeli. Egli sentiva che il Bengodi non sarebbe venuto se non fosse stato pagato con un caro biglietto di ingresso. Anche nel Tallone di ferro c’è un po’ di «Storia di Buck». I racconti delle Isole del Sud appartengono agli ultimi anni di London, quando egli era diventato uno scrittore ricco e poteva pagarsi il lusso di fare delle crociere nel Pacifico. Esse appartengono ad una letteratura che non è americana o inglese, ma che direi dei Mari del Sud. E’ la letteratura di Tahiti, inaugurata dal povero marinaio Melville, e divenuta celebre per Stevenson e per Gauguin. Chi non ha provato il fascino di quei mari, di quei colori, di quelle nature di antichi cannibali, dalla complicata etichetta di corte e dalle agghindature di semplici fiori sul corpo nudo? Eppure anche qui mi sarebbe possibile trovare nelle novelle di London, qualche volta, una traccia di Buck.

Questo è Jack London, del quale, dopo il pubblico americano, dopo il pubblico inglese, dopo il pubblico tedesco, dopo il pubblico francese, anche il pubblico italiano viene a fare la conoscenza. Jack London è un artista, quando è artista, americano, ma non è tutta l’America. Egli è uno scrittore americano in quanto adopra la lingua «americana» e non l’inglese universitario (il dialetto di Oxford). Non è l’America di oggi. E’ l’America di cinquant’anni fa. L’America di ferro e di fumo si vedrà soltanto in Sandburg, l’America protestante con Lee Mastas. London è in parte un autore per giovinetti. Corue Cooper, come Bret Harte, Come Mark Twain. Noi sentiamo che è una letteratura giovine e la teniamo per i nostri ragazzi. Noi non riusciamo a credere al mito del Pioniere: ma lasciamo che ci credano i nostri figliuoli.

Ho sentito dei contrasti su questa mia opinione intorno a Jack London. Dicono il Dàuli e la Formiggini che il London descrive la vita troppo dolorosa per esser dato in mano ai ragazzi. Lungi da loro l’idea del male!

Questi contrasti non mi persuadono. I ragazzi leggono Sàlgari. Sàlgari è grossolano e volgare. I suo eroi sono fantocci. Il fine dei suoi eroi è sempre la conquista dell’oro. I suoi paesi sono approssimativi e meritano soltanto la spiritosa caricatura che ne ha fatto Yambo.

London può essere messo nelle mani di qualunque ragazzo. Non imparerà nulla di male. Non vi è una parola oscena, nè un pensiero equivoco. Se le vite descritte da Jack sono dure, se i suoi eroi conquistano il mondo facendosi i calli ai gomiti, non credo che i ragazzi si scandalizzeranno. Anche nelle loro famiglie i ragazzi sentiranno che il mondo non ha strade coperte di velluto, ma di selci, durissime.

Il London risponde al bisogno di avventure che è nel fondo spirito infantile. C’è nei suoi romanzi un soffio più potente di quello dei soliti libri per ragazzi; è un soffio che viene dal mare grande, dalle cime dei monti, dalle foreste libere, dalle pianure sterminate di neve, dalle fattorie sperdute nei deserti di grano. Le scene di London possono, talora, cadere nel sentimentale. Ma nulla di orrido, nulla di sgradito, nulla di fumoso le guasta. C’è dell’eroico: che sarà talora mitico, talora oleografico, ma che non fa mai male a nessuno, e tanto meno ai ragazzi.

Giuseppe Prezzolini


Traduzioni di London in italiano: Il Lupo di mare, tr. da G. Prezzolini, Morreale, Milano. — L’Appello della foresta, trad. da G. Dauli, Modernissima, Milano. — Ambedue direttamente dal testo. — Un’altra traduzione di questo libro, a cura dello scrittore A. Calitri, escirà presso Morreale, Milano. — Una troppo diffusa biografia di J. I., è quella della moglie pubblicata in 2 vol. presso Mills A. Bown, Londra, 1921.