Il Baretti - Anno II, n. 3/I volti del nemico

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Giuseppe Prezzolini

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Epiloghi

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I volti del nemico.

Ho visto anche stamane il mio nemico. Egli non sa che sono io, quello che tutte le mattine incontra quando esce di casa. Siamo venuti ad abitare la stessa casa; ma le nostre ore sono opposte. Quando lui esce, io rientro.

Appena saprà che sono io, mi guarderà con uno sguardo fiero, il suo busto si drizzerà, il suo passo si farà più franco e spedito e la sua mano stringerà più fortemente la borsa di pelle, che lo fa somigliare ad un avvocato.

Ma ancora non mi conosce e mi guarda come ogni altro uomo. Il suo sguardo erra cercando un altro sguardo compassionevole. Gli anni lo hanno curvato. Una pancetta sporge in fuori. I piedi camminano per loro conto, spalancati, come se volessero fuggire in opposte direzioni. Sul suo volto ogni passione e ogni delusione ha lasciato le sue tracce, e c’è una ruga per ogni vizio e una borsa per ogni dolore.

Quando saprà che sono io, si ricorderà che deve odiarmi, che io sono il suo avversario, che ognuno di noi ha scritto all’altro delle parole atroci, cercando le più pungenti e velenose nel proprio vocabolario. Allora la sua pelle si stenderà, il suo occhio parlerà fierezza, la sua pancetta si smagrirà e i piedi cercheranno la posizione del passo militare, ricordandosi di sostenere fieramente una persona.

•••

Ho visto raccogliersi nel vallone i prigionieri che abbiamo fatto. Fino a ieri non avevo veduto i nostri nemici. Oggi il primo manipolo è qui, fra le nostre mani.

Siamo stati dei mesi a indovinarci e a guardarci un po’ da lontano. Se uno di loro si dimenticava di stare nascosto, poteva accettare che non si tirasse; ma come per tacita intesa uno di noi poteva sollevarsi un pochino dalla trincea, senza esser colpito. Noi vedevamo al crepuscolo scendere un asino con due soldati, che portavano la mensa ufficiali; e lo stesso avveniva da parte nostra. Nessuno tirava alla mensa ufficiali. Ma se i muli erano due, ma se i soldati erano tre, allora il fuoco partiva dalle trincee, ed essi scomparivano nelle pieghe del terreno.

I nostri nemici, dicevamo, hanno scarpe buone; mica come le nostre! Essi non vivono nel fango, come noi. Hanno comode trincee, e quando fa freddo le riscaldano. Se no come farebbero a starci? Come tollererebbero quello che noi tolleriamo?

Oggi finalmente li ho davanti, vicini, eccoli qui, sfilano di qui. Il cadetto che li guida è ferito alla coscia, e tiene il fazzoletto insanguinato sopra la ferita, proprio come il nostro aiutante maggiore, che han portato via or ora. Le loro scarpe sono rotte, come le nostre, i loro vestiti coperti di fango, come i nostri, e sui loro volti c’è la stessa specie di letizia rassegnata di quel nostro ferito, che mi è passato accanto a balzelloni, come uomo che aveva ricevuto tanto da «chiamarsi fuori» per un pezzo. Il freddo, le insonnie e le ansie che tesero disperatamente quei volti, oggi li hanno abbandonati per un pezzo, ed essi sembrano tutti gravemente preoccupati di riposare.

•••

Ho riveduto dalla serratura della porta che dà nella vicina camera d’albergo l’uomo che mi ha portato via mia moglie. Scriveva una lettera e piangeva. Su quel volto di bel ragazzo, abituato ad essere felice ed a non trovare difficoltà nella vita, le lagrime facevano uno strano effetto, come una corona di perle sulla testa di un povero. Finalmente si animava e pareva umano quel volto, che avevo visto sempre vuoto d’ogni sentimento profondo e d’ogni tensione superiore.

Quante volte ho invidiato la sua felice rapidità di risposta, le sue spiritosaggini ora impertinenti ora leziose, la sua eleganza di ballerino, il modo sicuro e trionfale di entrare in un salotto, la sua memoria di tutti i nomi di tutti i titoli e di tutti gli onomastici che lo rendevono l’idolo delle signore di ogni età.

Ora piangeva più di quello che io piangessi, il giorno che mia moglie mi aveva lasciato, perchè io non potevo stare molto solo a piangere, per via dei ragazzi. E che cosa curiosa! Ora che egli piangeva scrivendo quella lettera e lo vedevo cosi di tre quarti, scosso ogni tanto da una crisi di singhiozzi, mi pareva che mi somigliasse un pochino, scorgevo nei suoi lineamenti qualche cosa che mi pareva di trovare in un mio vecchio ritratto di quando ero più giovane e ancora non avevo sofferto abbastanza per prendere il volto di uomo.

Giuseppe Prezzolini.