Il Canzoniere (Bandello)/Alcuni Fragmenti delle Rime/LXXXIX - Anima afflitta, che cosí sovente

Da Wikisource.
LXXXIX - Anima afflitta, che cosí sovente

../LXXXVIII - Non era assai, Regina, quant'hai fatto ../XC - Perché non trovo, ahimè, quella Cumea IncludiIntestazione 16 febbraio 2024 100% Poesie

LXXXIX - Anima afflitta, che cosí sovente
Alcuni Fragmenti delle Rime - LXXXVIII - Non era assai, Regina, quant'hai fatto Alcuni Fragmenti delle Rime - XC - Perché non trovo, ahimè, quella Cumea

[p. 141 modifica]

LXXXIX.

Parla alla propria Anima errante, che suole andarsene a stare con la sua Donna.
        Canzone.
        Dopo il congedo segue, nell’ediz. Costa, forse per errore, un breve componimento — una ballata — che può stare da solo, e che indichiamo con numero d’ordine in parentesi quadre. Essa riprende e svolge di bel nuovo il motivo fondamentale della Canzone.


Anima afflitta, che così sovente,
     Come ti sforza il forte mio desire
     Ov’è Madonna gire
     Hai per usanza e seco star in gioia;
     5Se senza te mi trovo in un repente,
     E resto morto, come posso dire
     Ch’io soffra allor martire,
     E che vivendo ognor, ahi lasso! i’ moia?
     Qual dunque, oh strano caso! duol m’annoia,
     10Se teco i sensi miei ne porti ancora?
     Allor dove dimora
     Con tant’affanni il fido mio pensiero,
     Che così morto fa ch’io vivo e spero?
Che dico! o dove sono! allor, o l’alma,
     15Che queste membra lasci, e al vago viso
     Vai, che da me diviso
     M’ha con que’ vivi di begli occhi rai,
     Un certo non so che nel cor s’inalma
     Sì che mi fa veder il dolce viso,
     20Che mostra il paradiso
     Di quanto bel si vide in terra mai;
     Chè fra rubini e perle allor ten stai,
     Ove chi mira mai non langue o more,

[p. 142 modifica]

     Ed in sì caro errore
     M’abbagli in mille dolci, e amare tempre.
     Oh me beato, se durasser sempre!
Lasso! che poi nè dir so come i’ veggio,
     Che vaneggiando vo la notte e ’l giorno,
     Ond’a me stesso torno
     Qual che sognando nel più bel si desta.
     E come di sì dolce error m’avveggio,
     In così fatta guisa al cor ritorno,
     Ch’aver mi par attorno
     Folgori e tuoni e lampi con tempesta.
     E tu stordita, dolorosa e mesta
     Lasci Madonna, e qui tornando trovi
     Che nulla più mi giovi,
     Perchè stando lontano da Colei,
     Meglio è morir che viver senza lei.
Anima errante s’a Madonna torni,
     Con lei ti ferma, e non tornar più meco.
     Che mentre tu se’ seco
     S’ogni dolcezza vaneggiando avemo,
     Resta là sempre, o venga il giorno estremo.

Note

V. 2. Sforza il forte, allitterazione.

V. 9. M’annoia, mi tedia. È il lat. noxia, la noia in senso classico nel quale usarono questo vocabolo i nostri maggiori da Dante (Inf., I, v. 76), al Petrarca (Canz., XXXVI, v. 4), all’Ariosto, (Orl. Fur., I, v. 66), e intorno a cui già Gherardo da Patecchio nel duecento, aveva composto un suo poema col titolo di Noie.

V. 14. Il Costa dà questo verso testualmente così. Il senso non corre. Parrebbe doversi intendere: allorchè tu, o anima mia, lasci il mio corpo e vai al vago viso, ecc.


[p. 143 modifica]

[LXXXIXbis].


Dunque i’ son vivo ancora
     Lontan dal vago viso,
     Che m’ha lasciand’anciso?
I’ non son vivo, Amore,
     5Da che qui sol restai;
     Ch’allor l’afflitto core
     S’ascose in que’ duo rai
     Del sol più vaghi assai,
     Ove da me diviso
     10Là gode il paradiso.

Note

V. 10. Si confronti questa ballata particolarmente con il passo della Canzone soprastante compreso tra i versi 13-25. Vi ricorrono non pur gli stessi pensieri, le identiche rime.