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Il Conte di Carmagnola/Atto primo/Scena V

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Atto primo - Scena quinta

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Atto primo - Scena IV Atto secondo

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SCENA V.

MARCO, e il CONTE.

il conte.


O dolce amico; ebben qual nova arrechi?

marco.


La guerra è risoluta, e tu sei duce.

il conte.


Marco, ad impresa io non m’accinsi mai
Con maggior cor che a questa: una gran fede
Poneste in me: ne sarò degno, il giuro.
Il giorno è questo che del viver mio
Ferma il destin: poi che quest’alma terra
M’ha nel suo glorioso antico grembo
Accolto, e dato di suo figlio il nome,

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Esserlo io vo’ per sempre; e questo brando
Io consacro per sempre alla difesa
E alla grandezza sua.

marco.


                                        Dolce disegno!
Non soffra il ciel che la fortuna il rompa....
O tu medesmo.

il conte.


                              Io? come?

marco.


                                                  Al par di tutti
I generosi, che giovando altrui
Nocquer sempre a sè stessi, e superate
Tutte le vie delle più dure imprese,
Caddero a un passo poi, che facilmente
L’ultimo de’ mortali avria varcato.
Credi ad un uom che t’ama: i più de’ nostri
Ti sono amici; ma non tutti il sono.
Di più non dico, nè mi lice; e forse
Troppo già dissi. Ma la mia parola
Nel fido orecchio dell’amico stia,
Come nel tempio del mio cor, rinchiusa.

il conte.


Forse io l’ignoro? E forse ad uno ad uno
Non so quai sono i miei nemici?

marco.


                                                            E sai
Chi te gli ha fatti? In pria l’esser tu tanto
Maggior di loro, indi lo sprezzo aperto
Che tu ne festi in ogni incontro. Alcuno
Non ti nocque finor; ma chi non puote
Nocer col tempo? Tu non pensi ad essi,
Se non allor che in tuo cammin li trovi;
Ma pensan essi a te, più che non credi.
Spregia il grande, ed obblia; ma il vil si gode
Nell’odio. Or tu non irritarlo: cerca
Di spegnerlo; tu il puoi forse. Consiglio
Di vili arti ch’io stesso a sdegno avrei,
Io non ti do, nè tal da me l’aspetti.
Ma tra la noncuranza e la servile
Cautela avvi una via; v’ha una prudenza
Anche pei cor più nobili e più schivi;
V’ha un’arte d’acquistar l’alme volgari,
Senza discender fino ad esse: e questa
Nel senno tuo, quando tu vuoi, la trovi.

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il conte.


Troppo è il tuo dir verace: il tuo consiglio
Le mille volte a me medesmo io il diedi;
E sempre all’uopo ei mi fuggì di mente;
E sempre appresi a danno mio che dove
Semina l’ira, il pentimento miete.
Dura scola ed inutile! Alfin stanco
Di far leggi a me stesso, e trasgredirle,
Tra me fermai che, s’egli è mio destino
Ch’io sia sempre in tai nodi avviluppato
Che mestier faccia a distrigarli appunto
Quella virtù che più mi manca, s’ella
È pur virtù; se è mio destin che un giorno
Io sia colto in tai nodi, e vi perisca;
Meglio è senza riguardi andargli incontro.
Io ne appello e te stesso: i buoni mai
Non fur senza nemici, e tu ne hai dunque.
E giurerei che un sol non è tra loro
Cui tu degni, non dico accarezzarlo,
Ma non dargli a veder che lo dispregi.
Rispondi.

marco.


                  È ver: se v’ha mortal di cui
La sorte invidii, è sol colui che nacque
In luoghi e in tempi ov’uom potesse aperto
Mostrar l’animo in fronte, e a quelle prove
Solo trovarsi ove più forza è d’uopo
Che accorgimento: quindi, ove convenga
Simular, non ti faccia maraviglia
Che poco esperto io sia. Pensa per altro
Quanto più m’è concesso impunemente
Fallire in ciò che a te; che poche vie
Al pugnal d’un nemico offre il mio petto;
Che me contra i privati odii assecura
La pubblica ragion; ch’io vesto il saio
Stesso di quei che han la mia sorte in mano.
Ma tu stranier, tu condottiero al soldo
Di togati signor, tu cui lo Stato
Dà tante spade per salvarlo, e niuna
Per salvar te.... fa che gli amici tuoi
Odan sol le tue lodi; e non dar loro
La trista cura di scolparti. Pensa
Che felici non son se tu nol sei.
Che dirò più? Vuoi che una corda io tocchi,
Che ancor più addentro nel tuo cor risoni?
Pensa alla moglie tua, pensa alla figlia
A cui tu se’ sola speranza: il cielo
Diè loro un’alma per sentir la gioia,

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Un’alma che sospira i dì sereni,
Ma che nulla può far per conquistarli.
Tu il puoi per esse; e lo vorrai. Non dire
Che il tuo destin ti porta; allor che il forte
Ha detto: io voglio, ei sente esser più assai
Signor di sè che non pensava in prima.

il conte.


Tu hai ragione. Il ciel si prende al certo
Qualche cura di me, poichè m’ha dato
Un tale amico. Ascolta; il buon successo
Potrà, spero, placar chi mi disama:
Tutto in letizia finirà. Tu intanto
Se cosa odi di me che ti dispiaccia,
L’indole mia ne incolpa, un improvviso
Impeto primo, non mai l’obblio
Di tue parole.

marco.


                         Or la mia gioia è intera.
Va, vinci, e torna. Oh come atteso e caro
Terrà quel messo che la gloria tua
Con la salute della patria annunzi!