Il Fiore delle Perle/35. Romero e Teresita

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35. Romero e Teresita

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Capitolo XXXV

Romero e Teresita

Mezz’ora dopo, Hong, Than-Kiù e Bunga giungevano nella foresta vergine, entro la quale si erano rifugiate le donne, i vecchi ed i fanciulli e dove erano stati nascosti Romero, Teresita ed i due marinai della Concha. [p. 277 modifica]

In una piccola radura soffocata da gigantesche piante, si trovava un vecchio villaggio, abitato un tempo dai sudditi di Bunga.

Si componeva d’una cinquantina di capanne, per lo più mezze diroccate. Qualcuna però, costruita più solidamente, aveva resistito alle ingiurie del tempo.

Bunga chiese subito notizie di Romero e gli fu risposto che lo spagnuolo era partito per la caccia in compagnia d’un marinaio della Concha e di alcuni indigeni, mancando al villaggio le provvigioni.

Than-Kiù parve molto contrariata da quella risposta. Ella doveva essere molto ansiosa di trovarsi dinanzi a quell’uomo che un giorno aveva tanto amato e che non aveva più riveduto dopo quella notte fatale.

— Quando tornerà? — chiese, mentre si tergeva alcune stille di freddo sudore che le imperlavano la bella fronte.

— Forse non prima di questa sera, — rispose Bunga.

— Otto o dieci ore d’attesa!... Una eternità!... — mormorò la giovane con voce soffocata.

— Vi è qui però la donna bianca, — disse Bunga.

Un lampo passò negli occhi del Fiore delle perle.

— Teresita! — mormorò con voce cupa.

— Va’ a vederla prima di lui, — disse Hong. — Le eviterai uno scoppio di gelosia che potrebbe essere fatale al suo organismo ammalato.

— Ah!... Sì, è vero, è ammalata, — mormorò Than-Kiù, come parlando fra sè. — Sia pure: sono impaziente di trovarmi anche dinanzi a lei.

— Vuoi che ti accompagni?

— No, Hong; voglio essere sola.

— Hai molte cose da rimproverarle forse e che è meglio che io ignori.

— No, amico mio: il Fiore delle perle saprà essere generosa. Ora non ho più nulla da rimpiangere, poichè tu mi hai dato il tuo cuore. Dove si trova Teresita?

— Seguitemi, — disse il capo degli igoroti.

Than-Kiù strinse la mano a Hong, lo rassicurò con un sorriso, poi seguì il capo con passo fermo, ma pallida assai.

Giunto dinanzi ad una delle ultime capanne che un tempo aveva servito di dimora al capo, una graziosa costruzione di bambù, col tetto a comignolo, coperto di grandi foglie e ombreggiato da due palme, l’igoroto s’arrestò e indicandole la porta, le disse:

— Entrate. —

Than-Kiù si era fermata, come se avesse voluto riprendere la calma e frenare il tremito convulso che le agitava le membra. Con una [p. 278 modifica] mano si ravviò nervosamente i capelli, si gettò sulle spalle il mantello di seta coprendosi parte del volto, poi entrò in punta dei piedi, fermandosi in mezzo alla capanna.

Anche in quella dimora, così lontana dai paesi civili, costruita in mezzo alla foresta vergine, s’indovinava di primo colpo la presenza d’una donna abituata agli agi della vita.

Il pavimento era coperto di stuoie di fibre di cocco, stuoie dovute non certo alle mani dei negriti; alcune sedie di bambù, lavorate grossolanamente, ma non perciò incomode, si vedevano intorno ad una tavola; in tutti gli angoli vi erano certe specie di enormi zucche ripiene di fiori raccolti senza dubbio nella vicina foresta, esalanti delicati profumi, poi dei vasi di terracotta di forme strane, usati forse per la cucina.

In un angolo, Than-Kiù vide, distesa sopra un letto di fresche foglie e coperta da una splendida pelliccia di pantera nera, una giovane donna che subito riconobbe.

— Lei, — mormorò con voce cupa.

Quella donna era Teresita d’Alcazar, ma non più bella e fresca come la giovane chinese l’aveva veduta a Manilla, due mesi prima. La febbre, i disagi di quel lungo viaggio sotto i morsi spietati del sole equatoriale, le privazioni a cui mai era stata abituata, avevano lasciate le loro tracce su quel viso un giorno così grazioso.

Era pallida e dimagrita ed aveva perduta quella leggera tinta bruna, particolare alle donne di razza andalusa e che stava così bene sull’ardito volto della Perla di Manilla. Teresita dormiva ancora, con un braccio posato sotto il capo, seminascosto dai lunghi e bruni capelli; la sua respirazione era però alterata, poichè il corsetto di percallina azzurra che le copriva il petto, si sollevava a rapide intermittenze.

Than-Kiù, sempre immobile, colle mani strette attorno ai lembi del suo mantello di seta, guardava la rivale d’un tempo, con due occhi nei quali brillava una sinistra fiamma.

Doveva esser là da parecchi minuti, quando Teresita, quasi avesse presentita la vicinanza di quella fanciulla che poteva, da un momento all’altro, lasciarsi trasportare dalla passione vinta sì, ma non interamente domata, si svegliò bruscamente.

I suoi occhi neri, dal lampo vivido, dopo essersi aperti e richiusi alcune volte, si fissarono sul Fiore delle perle che conservava sempre una immobilità minacciosa.

Ad un tratto Teresita s’alzò con uno scatto di fiera, col viso alterato, colle lunghe e nere sopracciglia incrociate. Un grido, forse di stupore, e fors’anche d’ira a gran pena repressa, le sfuggì. [p. imm20 modifica] [p. 279 modifica]

— Sogno! — esclamò. — Sei un’ombra od è Than-Kiù viva ancora che mi sta dinanzi?... —

La giovane chinese fece alcuni passi, poi lasciando cadere il mantello di seta ed incrociando le braccia sul seno che le si sollevava impetuosamente, disse, con voce sorda:

— Sì, sono io, Perla di Manilla. —

Teresita si era alzata e le si era avvicinata fino a toccarla.

— Tu! — esclamò. — Tu qui!... Than-Kiù!... —

Poi un impeto di gelosia la prese.

— Vieni qui a rubarmelo!... Disgraziata!... —

Ebbe però subito rimorso di quelle parole, perchè soggiunse subito, con voce piangente:

— Perdonami, Than-Kiù... io non ho il diritto di dire queste parole a te... a te che sei stata così generosa... Perdonami, ma io l’amo!... —

La giovane chinese non pronunziò una sillaba. Sempre immobile, colle braccia strettamente incrociate sul seno, la fissava con due occhi ripieni d’una cupa minaccia.

— Than-Kiù, — riprese Teresita, con un tono di voce nel quale si sentiva vibrare una viva inquietudine. — Cosa sei venuta a fare qui? Perchè hai lasciata Manilla? Chi ha recata a te la notizia della nostra disgrazia? Chi ti ha guidata attraverso le selve immense di quest’isola selvaggia? Sei forse venuta per vendicarti? Gran Dio! Parla, Than-Kiù! Il tuo sguardo mi fa paura!... —

Le si avvicinò ancora più, poi posandole le mani sulle spalle con un moto convulso, le disse con sorda voce:

— Tu ami ancora Romero! Io lo leggo nei tuoi sguardi! Tu sei venuta per disputarmelo ancora! Parla, parla Fiore delle perle. —

Un leggero sorriso aveva contratte le labbra della giovane chinese.

— Ti faccio paura, Perla di Manilla, — disse. — Paura? E perchè? Forse che in quella notte fatale in cui io ti vidi partire, a bordo della cannoniera, portando con te l’uomo che io avevo immensamente amato, non ti avevo abbracciata? Era rassegnazione, terribile rassegnazione, perchè l’indomani doveva essere fatale a qualcuno, ma era perdono. Tu mi chiedi cosa sia venuta a fare qui? Te lo dico subito: a salvarvi!...

— A salvare Romero?...

— No, entrambi.

— Tu, che dovresti odiarmi! — esclamò Teresita, con stupore.

— Un giorno, — disse Than-Kiù con voce cupa, — t’ho odiata e ti avrei uccisa se il destino t’avesse condotta ancora sulla mia via, ma ora.... che importa a me di Romero? Io l’ho dimenticato. [p. 280 modifica]

— E perchè sei venuta qui?

— Per pagare il debito che avevo con lui.

— Quale?...

— Una notte, quando l’insurrezione stava per venire schiacciata dalle armi vittoriose dei tuoi compatrioti, e mentre noi combattevamo disperatamente sulle rive di Malabon, caddi prigioniera d’un colonnello spagnuolo.

La mia sorte non era dubbia: la fucilazione doveva attendermi all’indomani. Romero, che allora amava ancora il Fiore delle perle, pur avendo dato il suo cuore alla Perla di Manilla, mi aveva strappato alla morte prendendo il mio posto. Te lo ricordi?...

— Sì, lo so e lo salvarono più tardi tuo fratello e mio padre.

— Ebbene quel debito mi pesava sul cuore e sono venuta qui a pagarlo, salvando te e lui. Ora giudicami, Teresita d’Alcazar. —

La spagnuola fece atto di gettarsi fra le braccia della giovane chinese, ma ebbe ancora un lampo di gelosia.

— Non lo ami più?...

— No.

— Me lo giuri?...

— Sullo spirito dei miei padri.

— Ho paura di te, Than-Kiù!

— T’inganni, poichè il mio cuore batte ormai per un altro uomo, valoroso al pari e forse più di Romero.

— Sorella mia!...

Teresita si era gettata fra le braccia della giovane chinese, e come la notte che si erano vedute per l’ultima volta sul molo di Binondo, si erano strette reciprocamente, ma questa volta forse senza rancore.

Un fischio, echeggiato al di fuori, le separò bruscamente.

— Cosa vuol dire? — chiese Teresita.

— È un segnale di Hong, — rispose Than-Kiù, la quale provò un sussulto.

— Chi è questo Hong?...

— Uno dei miei amici che mi hanno seguìta in quest’isola.

— E cosa significa questo segnale?

— Te lo dirò più tardi. —

La giovane chinese si avvolse nel suo mantello, fece cenno a Teresita di non seguirla, e uscì a rapidi passi.

Hong l’attendeva al di fuori, appoggiato al fucile.

— Romero sta per giungere, — le disse.

— Chi te lo ha detto?

— Bunga.

— È accompagnato dagli indigeni? [p. 281 modifica]

— No, solo: gli igoroti lo hanno preceduto.

— Andrò ad incontrarlo.

— Ed io?...

— Mi seguirai: desidero che il mio futuro marito assista al colloquio. Per te non devo più avere segreti, nè devo lasciarti alcun dubbio; ma non ti mostrerai se non quando ti chiamerò.

— Andiamo, Than-Kiù e sii forte.

— Non dubitare, Hong: ormai il cuore del Fiore delle perle è tuo.

— Seguimi. —

Guidati da un indigeno, si cacciarono in mezzo alla foresta, seguendo un sentieruzzo aperto fra quel caos di vegetali e dove già li avevano preceduti Sheu-Kin e Pram-Li con un’altra guida.

Percorsi cinque o seicento metri, trovarono i loro compagni appostati presso una macchia.

— Sta per giungere, — disse il malese a Than-Kiù. — Non è lontano più d’un tiro di fucile.

— È ancora solo? — chiese Than-Kiù.

— Sì, e porta con sè un quarto di babirussa.

— Lo incontreremo seguendo questo sentiero?

— Sì, Than-Kiù.

— Grazie, amici.

La giovane si rimise in cammino a fianco di Hong il quale non le staccava gli occhi dal viso, come se volesse leggervi i più reconditi pensieri; Than-Kiù però pareva tranquilla e solamente i suoi occhi neri e vellutati mandavano di tratto in tratto dei cupi lampi.

Percorsi trecento passi, la chinese s’arrestò appoggiandosi al tronco d’un sagu. Aveva udito scrosciare a breve distanza le foglie secche degli alberi e stormire delle fronde.

— Sta per venire, — mormorò con voce alterata. — Nasconditi dietro al tronco di quell’ebano, amico Hong, e potrai udire tutto.

Fiore delle perle, tu sei pallida, — disse il chinese, con accento triste.

— È vero: il mio cuore però batte per te.

— Io ho paura di questo incontro.

— Hai torto a dubitare del mio affetto.

— Sarà vero, ma io ti amo, Fiore delle perle.

— Ed il Fiore delle perle ama Hong il prode, — rispose la giovanetta, con un adorabile sorriso. — Fra pochi istanti ne avrai la prova. —

Gli additò l’albero, gli fece un cenno della mano come per rassicurarlo, poi lasciò cadere il mantello e si mise in mezzo al sentiero.

Era diventata pallidissima, eppure era risoluta a sostenere [p. 282 modifica] intrepidamente l’incontro. In quel supremo momento il suo viso non esprimeva nè angoscia, nè trepidanza; persino i suoi occhi avevano ricuperato il consueto splendore, sereno e tranquillo.

Era appena trascorso mezzo minuto, quando vide sbucare da una folta macchia un uomo. Lo riconobbe subito: era Romero, era l’uomo che ella aveva così immensamente amato sui campi dell’insurrezione, l’uomo che avrebbe dovuto farla felice e che invece le aveva infranta l’anima e ucciso il valoroso Hang-Tu, l’eroe della nazione degli uomini gialli.

Non era però più il bel mulatto d’un tempo. Le fatiche, le privazioni, la prigionia ed il sole torrido l’avevano assai dimagrito. S’avanzava lentamente, col capo chino, come se fosse immerso in tristi pensieri, portando sulle spalle un quarto di babirussa e appoggiandosi ad un nodoso bastone colla punta ferrata.

Nel vederlo, Than-Kiù, malgrado la sua indomabile energia, sentì risvegliarsi nell’anima l’antica passione, sopita ma non del tutto vinta, sebbene avesse ormai dato il suo cuore a Hong. Vacillò, ma fu un lampo. Si rammentò tutto d’un colpo delle sofferenze passate, della morte del fratello, dell’abbandono, della notte fatale e provò un impeto d’odio per quell’uomo che dopo d’averla tanto amata, l’aveva abbandonata per la donna bianca, sia pure in causa di fatali circostanze.

Facendo appello a tutta la sua energia, fece rapidamente alcuni passi innanzi e s’arrestò di fronte a lui, dicendogli:

— Mi riconosci?... —

Il meticcio, che di nulla si era avveduto, tanto era immerso nei suoi pensieri, alzò vivamente la testa, fece due passi indietro, lasciando cadere a terra il bastone ed il babirussa, ed impallidì, esclamando con voce tremula:

— Tu!... —

Si stropicciò energicamente gli occhi, ripetendo ancora:

— Tu!...

— Sì, sono il Fiore delle perle, la sorella di Hang-Tu, — rispose la giovane.

— La sorella di Hang-Tu!... — ripetè il meticcio come trasognato. — Hang-Tu!... —

Tacque un istante, poi fissando con due occhi smarriti il Fiore delle perle, le chiese con voce singhiozzante:

— È vero che è morto Hang-Tu?...

— Sì, — rispose Than-Kiù, con accento cupo. — La tua amicizia è stata fatale all’eroe degli uomini gialli, come è stata fatale alla povera fanciulla del paese dei lillà. [p. 283 modifica]

— Gran Dio!... — esclamò Romero, coprendosi il volto colle mani.

Poi cadendo in ginocchio, mormorò a più riprese:

— Perdonami, Than-Kiù!... Perdonami pel nostro amore passato.

— Taci!... — disse la giovane coi denti stretti. — Non ricordare il nostro amore, Romero. È stato troppo fatale a tutti.

— Ma tu, che cosa sei venuta a fare qui?... — chiese egli alzandosi bruscamente. — Chi ti ha detto che la cannoniera era naufragata sulle coste di quest’isola e che, io mi trovavo prigioniero?...

— Chi?... Che t’importa il saperlo?... Avevo un debito con te, un debito che mi pesava sull’anima e sono qui venuta per pagarlo: ecco tutto.

— Un debito!...

— Quello che io contrassi con te sulle rive di Malabon. Te lo ricordi, Romero?...

— Sì, ma non era un debito. Io avevo immensamente amato anche il Fiore delle perle e non potendoti fare mia, volevo mostrarti che per te avrei sfidata la morte, pur di salvarti.

— Lo so, — mormorò Than-Kiù, con un sospiro, — ma ora tutto è finito fra me e te. Tu sei della donna bianca ed io appartengo ad un altro uomo.

— A chi?... — chiese Romero, con accento di doloroso stupore.

La giovane chinese invece di rispondere s’avvicinò all’albero dietro il quale stava nascosto Hong, prese per una mano il valoroso chinese e conducendolo dinanzi a Romero, disse con voce ferma:

— L’uomo che amo è questi: domani io sarò la moglie di Hong.

Romero vacillò, mormorando:

— Hong!... Hong!...

— Sì, Romero — disse il chinese. — Il Fiore delle perle è mio e guai a chi lo toccherà.

Poi sollevando fra le robuste braccia la giovane, aggiunse:

— Vieni, fanciulla mia: la felicità ti aspetta sulle rive del Fiume Giallo, presso la tomba dell’eroico tuo fratello, all’ombra dei tuoi lillà e della grande cupola a scaglie di ramarro.

Than-Kiù gli sorrise e gli si abbandonò fra le braccia, mentre Romero chiudeva gli occhi per non vedere quella coppia felice.