Il Foresto/Canto I

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Il Foresto Canto II
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CANTO PRIMO

     Per qual maniera si traesse a morte
Attila fiero, e dal mortal periglio
Avesser schermo d’Aquilea le mura,
Oggi lungo il bell’Arno a cantar prendo
5Su nova cetra; nè seguendo Euterpe
Chieggo bugiardo onor dalle sue note:
Diranno i versi miei del bon Foresto
Veraci palme, Italïano Ettorre,
E sommo pregio degli Estensi Eroi:
10Francesco, che di lui tanto ti pregi,
E pur co’ pregi tuoi tanto il pareggi
Dammi l’orecchio, ed udirai supremi
E di pietate e di fortezza esempi
Negli avi antichi te mirando espresso:
15Ei come certe le novelle intese
Del furor empio, che metteva a terra
Degli Italici scettri ogni salute,
Lasciò la sede di Monselce, e ratto

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E tutto ardente ad Aquilea sen corse:
20Ivi col brando invitto, e col sembiante
Coraggiose tornò l’alme smarrite;
Ma per quel tempo su nojose piume
Languia cruccioso, e sostenea con ira
Non lieve angoscia di ferite acerbe:
25E non per tanto ne i celesti chiostri
L’eterno Regnator scelto l’avea
Sommo campion dell’assalite mura;
Ei su nell’alta regïon stellante
Ove dà legge, e tiene a freno il mondo
30Vêr Pietro suo fedel così dicea
Pure in guisa mortal con note eterne:
Credesi il cor dei colà giù regnanti,
Che qui nell’alto ciel non sia chi regni;
E però sorge la malizia, e quinci
35Veggonsi fulminar nostri disdegni:
Provollo Acabbo, e di colui lo scempio
Ch’in Gelboè sè stesso ancise, ed ora
Esempio non vulgar ne fia Menapo,
E seco l’Unno al Vatican rubello:
40Ecco ei s’affretta minaccioso, ed arde
Di porre in fiamma, e dare in polve al vento
Il tuo sacrato e venerabil tempio,
Ma nol farà: via se ne vien veloce
E fassi da vicino il gran momento,
45Ove egli ha da saldar tanti suoi torti;
Moverà giuste le bilancie, e tronchi
Fian per lo scampo suo tutti i perdoni:
Sì disse, ed a quel dir d’eterei lampi
Tutti i campi del ciel furo cosparsi:
50Ma giù nel mondo ad Aquilea d’intorno
Fremeva Aletto invenenata i crini
D’angui fischianti, e seco alto Megera
Divampava da gli occhi incendio d’ira,
E cruda nei sembianti empia diceva:
55Omai l’anno secondo il Sol rivolge,
Ch’Attila mosse dalla patria sede
E qui fra l’armi e fra gli assalti ognora
Via più superbo questo popol trova;
Tenor di fama ad ascoltarsi indegno:
60Nulla può dunque l’infernal possanza?
A che più travagliar? tutte le palme
Sono serbate al guerreggiar dei cieli;
Che si frangano in pezzi, e sia conforto
Lo struggimento lor de gli occhi miei:
65Tal bestemmiando fisse il ciglio in terra,
E battendo le palme ella soggiunge:
Di che paventa? e che sostien d’affanno
Per esso noi questo Menapo? ei sempre,
Ei sempre a lato alla consorte amata
70Gode di lei come in stagion quieta,
E con pompa adornando il fior de gli anni
Sa rallegrar la principessa Agave:
Se dilettando in così nobil figlia;
Ed è chi lascia le natíe contrade,
75E veste usbergo, ed il morir disprezza
Per difesa di lui; gran meraviglia!
Condotto ha di Schiavoni inclite spade
Il fiero Adrasto, e qui l’Italia è corsa:
Qui fiammeggia d’acciar popol di Marte;
80Ma sol Foresto è chi mi tiene in forse,
E chi mi toglie la speranza; stirpe
Eccelsa, invitta, che virtude apprezza,
Che d’ogni altiero pregio ascende in cima;
Se non che troppo il Vaticano adora:
85Questi già delle piaghe, onde è percosso
Sano rifassi, e s’abbandona il letto,
E veste l’armi: o Regnator degli Unni
Quanti trascorreran fiumi di sangue?
Così Megera: Aletto indi rispose:
90Se bastasse il voler, se fosse assai
O forza avesse una preghiera ardente
A sotterra mandar popol nemico,
Omai troncato a brano a brano, omai
Spento Menapo, e d’ogni male in fondo
95Questi popoli suoi foran sommersi;
Ma noi siamo ombre; a mio malgrado il dico;
E troppo è disarmato il nostro Inferno;
Però m’affliggo; ed oggimai non veggo
Ch’Attila s’apra questi varchi, e giunga
100Con asta vincitrice in val di Tebro
Ed ivi strugga la magion di Piero;
Non però perdo l’alterezza; franco
Fia mio cor rubellante al sommo Olimpo
Sempre più d’ora in or: portisi pena:
105Infernale campion non sa pentirsi:
Mentre così diceva atra cosparge
Ira dagli occhi, e dibattendo l’ali
Onde l’aria contrasta, ella discende
Alle di Flegetonte orribili onde;
110Ivi trascorre, ivi imperversa; a nome
Chiama i più forti de’ Tartarei mostri:
Tesifone s’udi, ch’errando intorno
Facea di Stige nei sulfurei campi
Strazio degli empi, onde sì fier latrati?
115Qual ria novella per gl’imperj nostri?
Asia forse è commossa a cangiar fede?
O corre Libia ad adorar la croce?
Tal Tesifone disse; e quivi Aletto
Con occhi biechi e con terribil suono,
120Dammi l’orecchio: il regnator degli Unni
I sette colli d’atterrar bramoso
È posto in corso; ma non ha fortezza
A farsi aperte d’Aquilea le mura.
Menapo i preghi, e le minaccie spregia,
125E franco per valor d’almi campioni
Mena in mezzo agli acciar vita gioconda;
Ma non il campo nostro indietro torni
Forse annojato dall’indugio, o forse
Datosi al disperar, prende paura,
130Or chi farà divieto a’ nostri scorni?
Chi l’antecesserà? da porre in opra
Forza ed ingegno non è questo il tempo?
Allor traendo per furor muggiti
Tesifone gridò: non fia per certo;
135Nè punto cessa, ma volando ascese
Su negre piume alla città steccata,
E come ella si sfaccia a pensar prende:
Qual non ricco pastor, cui fa rapina
Odioso lupo, a vendicar si volge
140Con sdegnoso pensier per varj modi,
Ed amerebbe di sbranar la belva
Con spessissimi colpi, ed a lei spenta
Rimproverar le pecorelle ancise,
Tale il mostro infernal tenta, e ritenta
145Le sue furie sbranar per varie strade,
Nè sa posar lo scellerato ingegno;
Ma quasi stanco in consigliar sè stesso
Alfin disponsi esercitar le frodi:
Danque sottil candido lino invola,
150Che camicia dal vulgo usa appellarsi,

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Ed era ricco di Menapo arnese;
Indi in val d’Acheronte egli sen vola;
E dove rimbombando atra foresta
Tartaro inonda tra sulfurei gorghi,
155Ivi ben sette volte ella la bagna;
Poi dell’orride piume il negro volo
Tutto rivolge alle campagne apriche
Del chiaro mondo; e dove erbette, e fiori
Smaltano delle valli il chiuso grembo
160La più soave primavera miete,
E l’appestata tela empie d’odori;
Mortale inganno! indi trovava Areta
Dell’alto cielo al gran Rettor diletta.
Viveva Areta in solitaria piaggia,
165Ma chiara molto; sì di ciò, ch’invoglia
Nostre vaghezze e che cotanto brama
Il forsennato mondo, ella era schiva:
Erano suoi conviti erba di prato,
I rivi il suo Falerno; e se per l’alto
170Febo sferzava ad illustrare il Cancro
Il cotanto di rai sparso Piróo,
O s’ei facea col Capricorno albergo,
Ella sul terren duro amava il sonno
Dare alle stanche membra, ed indi in pianti,
175Indi in sospiri, indi in preghiere ardenti
Facea vedersi alla bontate eterna
Mercè chiedendo: il di costei sembiante
Prese lo spirto abitator di Stige;
Ed aspettò che la reina Elvira
180Senza corte de’ suoi facesse chiusa
Dimora dentro dal reale albergo:
Allor fassi veder: ma bigio involve
Manto sue membra, e di sprezzati veli
Tutta copria la scarmigliata chioma;
185Ambo le guancie di pallore offese;
E sotto il ciglio rosseggiavan gli occhi
Di molto lagrimar chiaro argomento:
Al suo venir la maestà d’Elvira,
Che della santa donna avea contezza
190Rasserenossi, e per le labbra liete
Fe’ dal petto volar queste parole:
Oggi per qual cagion? molti son giorni
Che non ti vidi Areta, or come e dove
Per te deggio adoprar nostra possanza?
195Dillo, del cielo e del mio cor ben cara.
Qui tacque Elvira; e l’infernal sembianza
Dimessa il guardo, e mansueta in voce
Tal diè risposta: o del signore eccelso
Sentenze oscure: e della mente eterna
200Profondi impenetrabili decreti!
Ecco diluvio di schierate genti
Inonda intorno, e scellerati regi
Fan paventarne i più temuti oltraggi.
Ma l’aíta del ciel non sarà scarsa
205Per nostro scampo, se cangiando stile
Ci volgerem del pentimento all’arte:
Intanto a’ rischi di Menapo, intanto
A sua vita real fia provveduto
Con novo usbergo, e su novella incude
210Fatto temprar da non mortale ingegno.
Ecco il ti porgo, e ch’ei ne vesta il busto
Sia tuo pensier, non volerà quadrello,
Spada non vibrerassi, asta ferrata
Non potrà tanto, che ne beva il sangue
215Mentre di questo arnese il trovi adorno,
E quanto possa il guerreggiar s’inaspri:
Qui tacque il mostro, ed offeriva il dono
All’alta donna, che i Tartarei lini
Accettò dalla man Tesifonea;
220Ed indi chiara di bei raggi il guardo
Fece sentir queste parole alate:
S’alcuna in tanto duol può lusingarmi
Non vana speme, e se gli spirti afflitti
Osano ricercar qualche sostegno,
225Solo il sanno trovar nel franco petto
E nell’alta virtù del gran Menapo.
Or se pegno sì caro a me conservi,
Se mel difendi, io fin che miri il sole,
Fin che l’anima mia meco soggiorna
230Non sarò più di te, che di me stessa?
Sì disse Elvira, a cui rispose il mostro:
Non ti dà la mia man l’alta ventura
Che tanto apprezzi, ed accettar non deggio
il tenor delle lodi onde m’onori;
235Lodisi Dio: nel così dir s’inchina
Segno di riverir l’altiera donna;
Nè più fe’ motto; ma levossi, e sparve;
Sparve come talor nube di fumo
Al trasvolar di boreal bufera;
240Ma d’Elvira i pensier fûro sorpresi
Da meraviglia, e le nudriro il petto
Di non usata in core uman dolcezza:
Corsero poscia le dorate rote
Dell’almo Febo, e si lavaro in fondo
245Delle del gran Nereo piaggie ondeggianti.
E diede bando alle cure aspre il mondo:
Ma quando apparve l’Acidalia stella
Cara del chiaro giorno apportatrice
Si mosse Elvira, e ritrovò Menapo
250Soletto in letto: ivi gli diè contezza
Della venuta vecchiarella, e come
Lasciò lo scampo per la regia vita:
Al primo suon della novella udita
Scossesi il re giocondamente, e sorse
255A seder sulle piume; indi circonda
Tre volle il collo alla consorte amata
Pur con le braccia, e la coprì di baci,
E presela per man fa d’ognintorno
Soave risonar queste parole:
260O dell’anima mia solo conforto,
Solo diletto, o delle mie speranze
Combattute da guai solo sostegno,
Quando venisti a me che il tuo cospetto
Non mi colmasse di bramata gioja?
265Nè m’arricchisse di dolcezza? ed ora
Ne vieni a farmi senza fin felice:
Ecco, la vita mia contra le piaghe
De’ micidiali acciar fia riverita;
Farò mirarmi fra’ perigli, ed alti
270Quivi darò della fortezza esempi,
Aprendo il varco alle vittorie, omai
Franco è mio scettro, e la corona in fronte
Riposerà del successore Infante
A noi sì caro: sì dicea sorpreso
275Da soverchio piacer d’alta speranza,
Ma verso il sommo Correttor del mondo,
Onde ei credea, ch’a lui venisse il dono
Cotanto singolar, non mandò lodi,
Non mandò preghi, e si guerniva il busto
280Del fier venen della palude inferna
Mal medicato degli odor soavi,
Ed addobbossi delle regie vesti

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Di passo in passo: ove Dedalea mano
Fatto avea fiammeggiar vago trapunto
285Ricco di gemme, e di rugiade Eoe.
Poi di feltro impennato il crin ricopre,
Ed al fianco, sinistro il brando appende,
Ed esce in ampia loggia: ogni parete
Avean dipinto Policleti e Zeusi
290Con lungo studio, agli occhi altrui conforto:
Vario splendor di Paretonj marmi,
E marmi argivi ricopria gli spazj
Del pavimento; in sì real magione
Soleano i duci riverir Menapo
295Uso venirvi con la prima aurora:
In su quel punto era sorgiunto Adrasto,
E seco Ernesto, Adrasto unico germe
Di Perafan degli Schiavon tiranno:
Avea costui trenta fïate aprile
300Fiorir veduto, e risplendeva altiero
Del più bel fior della mortal beltate.
Spada cingeva, e s’avvolgea d’usbergo
Per franca far la principessa Agave,
Onde era amante, e rïamato; solo
305S’attendeva cessar l’opre di Marte,
Ed indi celebrar lieti imenei;
Ma di Trevigi, e delle belle intorno
Molte castella era signore Ernesto
Già figliuol d’Erimanto, era leggiadro,
310Bello a mirar, ma di beltà guerriera;
E poco dianzi egli varcò venti anni,
Fortemente diletto al cor d’Elvira,
Onde osava sperar la regia sposa:
Costor guerniti di metallo, e d’oro
315Moveano il nobil piè dentro la loggia
Fin che Menapo fe’ vedersi: allora
Fermaro i passi, ed abbassaro in terra
Quasi il ginocchio, e dimostraro al vento
Scoperto il crin di riverenza in atto:
320Il re cortese con la man fe’ segno
Che ne vengano a sè, poscia commise
Coprire il capo, e finalmente ei disse:
Molto amati campioni, alla cui destra
Voglio dovere il Regno, e la cui vampa
325Di vero amor tanto m’accende il petto,
Che spegner nol potranno acque d’obblío.
Vostra virtù fin qui stata è siccome
Argine all’innondar del fier nemico;
E salvò la città, ma quinci innanzi
330Con più franchezza maneggiate l’armi,
Che messaggio del ciel reca novelle
D’alto soccorso, e sì diceva: ed ecco
L’afferra gel, che fa tremarlo, e casca.
E gridò nel cadere; ahi che mi moro.
335Qual per cielo seren spande colombo
L’ali dipinte, e va cercando rivi,
Ove lavar la dilicata piuma,
Ma trova arcier, che bene esperto scocca
Dardo impennato, e gli trafigge il volo;
340Onde trabocca, e non temea del colpo,
Tal di quel re mal fortunato avvenne:
Tutto cosperse di pallore ei versa
Sospiri odiosi di sulfureo fumo
Dall’atra bocca, e fortemente anela;
345E vuol parlar, ma di parlare in vece
Ei scilinguava; disse al fine: O duci,
Al mio fanciul deh lealtate e fè:
Altro non giunse; e su quel punto l’alma
Se ne volava alle magioni eterne:
350Ernesto, Adrasto, e le seguaci schiere
Ciò rimirando non facean parola,
Ma l’un vêr l’altro s’affisava in volto:
Come arator, se nell’alzar del giorno
Vede repente scolorirsi il Sole
355Allor, ch’ei soffre dalla luna oltraggio,
Lascia l’aratro in abbandono, e guarda
Il sorvenir dell’affrettata notte
Ingombro di stupor, similemente
Stette pensosa quella nobil turba
360Sul venir men del re, poscia dogliosi
Misero gridi, e riversando pianti
Faceano alto risonare omei:
Immantenente la città percossa
Fu dall’aspre novelle, onde cordoglio
365Tutte trascorse quelle vie funeste;
Nè penò molto ad impiagar l’orecchie
Della donna real: sul primier suono
Fu quasi pietra ne’ sembianti; ed indi
Tornando viva ella scagliò lontano
370L’aurea corona, e si disvelse i crini,
E trasse mugghi di profonda angoscia;
Pur dianzi il ciel mi promettea soccorso,
Ed or mi spoglia d’ogni aíta? e dove
Dove appoggiarsi la mortal speranza?
375Fra questi detti ella fremeva, i fiumi
Spargea di pianto in sulle belle guancie;
E poi di novo cominciò lamenti:
Manti superbi, e regj letti, letti
Non più, ma tombe, a che dolente punto
380Or mi traete? O me felice, s’era
Nascendo destinata a vulgar culla:
Misera Elvira! In sì crudel stagione
Chi ti fa schermo? chi ti serba il regno?
Chi dà scampo al figliuol? sì dice e prende
385Rapido corso a ritrovar le membra
Del suo re spento: Ella incontrò per via
Ernesto, Adrasto, che recava in braccio
Il freddo corpo del Signore estinto
Verso le stanze dell’usato albergo:
390Essi come fûr presso, e vider tinti
Di mortal pallidezza i bei sembianti
Dell’alta donna, e come scuro il guardo,
E delle chiome rabbuffato l’oro
Costretti da pietà sparsero pianto:
395Ma la reina quanto può s’avventa
Verso il caro consorte, il collo cinge
Tenacemente, e mille volte il bacia,
E sovra il petto abbandonata gemma
Delle lagrime sue non punto avara:
400Or come al lamentar non ponea fine
Adrasto le diceva: inclita Donna
Deh perchè t’abbandoni? a’ grandi è biasmo
Non trionfar delle fortune avverse.
Ella dopo gravissimo sospiro
405Guardando fissamente il corpo estinto
Fece a sè forza intra singhiozzi, e disse:
O di quante gioconde avea speranze
Solo sostegno, e ne’ miei guai conforto,
E sola vita del mio cor Menapo,
410Perchè vivere io più? forse per sempre
Qui lagrimar tua miserabil morte?
Ma s’io volessi, onde n’avrò possanza?
Sono io diamante? ho di macigno il petto?
Ah ch’io sento perirmi! In queste note

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415Cadde sul suolo; ivi si scosse alquanto,
Poscia anelando se ne andò lo spirto.
Quei duci afflitti tenebrosa pompa
Fêro apprestarsi, e dolorosi onori
Per li regj sepolcri; ed indi franche
420Volsero l’alme a travagliare in guerra.