Il Foresto/Canto II
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CANTO SECONDO
Ma per l’orride imprese al fin condotte
Tesifone empia raddoppiò l’orgoglio,
E fatta vaga di spiegar suoi vanti
Tra’ mostri inferni ella ne va veloce
5Alle d’Averno penosissime ombre:
Colà superba in vista alza la fronte,
E trasvolando con tartarei gridi
Faceva alto sonar gli antri infocati:
Dicea le frodi, onde ella spense i giorni
10Di quello eccelso regnator, dicea
Le fiere angosce della trista Elvira;
Onde ella cadde, il general cordoglio
Ove è rimasa la cittate oppressa
Non tacque punto; omai le mura aperte
15Per cui tanto sudossi, oggimai l’aste
Andran degli Unni a guerreggiar sul Tebro;
Colà faransi i venerati altari
Stanza di belve; e quello eccelso, ed alto
Monte del Vatican darà tributo
20Di folte spiche a’ vincitori aratri:
Tal per l’Erebo tetro alteramente
Pur bestemmiando ridicea suoi pregi;
E l’inferne falangi unqua non stanche
Faceano adir l’abbominevol nome
25Con somme lodi: allora infra quei mostri
Uno ve n’ebbe, che svegliò l’ingegno,
E cercò gloria in danneggiar la terra
Presso a perir senza il real governo,
Ed in profondo affanno omai sepolta:
30Questo solea nell’infernal baratro
Asmodeo dirsi; ed era sempre intento
Ad affinar della lussuria l’arte:
Sono opera di lui quanto d’amaro
Vedesi sofferir da petti amanti
35Di tormento, e di pena: ei mosse, e seco
Se lusingando egli dicea per via:
Se Tesifone nostra ornar le tempie
Brama di lauri glorïosi, e chiede
In riva d’Acheronte alzar trofeo,
40Non brama a torto; egli è ben degno; ed io
Amo, ch’a bello oprar si dia mercede
Perchè la spero: e non è forse giusto
Che fioriscano in me salde speranze?
Starà forte Aquilea se scossi Troja?
45Eh non è ver, che Simoenta, e Xanto
Corser di sangue? ed il Sigeo non scorse
Il figliuol di Peleo serrarsi in tomba?
Sparta già diede al mondo occhi si chiari,
Che per arte di me posero in fiamma
50Dell’Asia i regni; io di cotanti rai
Feci sul Nilo fiammeggiare un volto,
Ch’orbo ne venne il gran campion di Roma;
Onde Egitto ne pianse, e chiuso in nembi
D’alto cordoglio sospirò Tarpea:
55Nè questo giorno apparirà men forte
La mia possanza: sì parlando ei giunse
Alla città mal fortunata; e quivi
Con pronto ingegno esaminò le strade
Da porla in polve; e ritrovolle in breve:
60Or discendendo dal Permesso ombroso
Cantane Euterpe, e l’una e l’altra guancia
Di fresche rose colorita, o Clio:
Era d’Elvira e di Menapo figlia
La giovinetta principessa Agave;
65Di cotanta beltà, ch’almi guerrieri
Per lei giojosi distruggeansi in fiamma:
Uno era Adrasto del signor che regna
Intra fieri Schiavoni unico erede,
Chiaro per lo splendor dei bei sembianti,
70Chiaro per opre del gentil costume,
Chiaro non men per la franchezza in armi;
Quinci sovranamente al re fu caro,
E caro insieme alla reïna Elvira,
E se godean della bramata pace
75Dell’inclita fanciulla, il facean sposo:
In tale stato egli lattava il core,
E nudriva il desire, e cotal volta
Faceva atti d’amor per la speranza;
E tempo fu, ch’egli mandolle in dono
80Alto regalo; incatenate gemme,
Perle di Gange, e di Perù piropi;
Quinci pendea scolpito in piastra d’oro
Il navigar dell’Agenorea figlia
Sul toro ingannator; vedeansi l’acque
85Scherzar gioconde, e su per l’alto l’aure;
E vezzeggiando il trasformato amante
Dar baci al piè della beltà rapita:
Con sì fatto guerrier facea contesa
D’amore in campo; e per le regie nozze
90Dell’alma Agave sospirava Ernesto
Prencipe di Trevigi: in lui virtude
E ben fondata nobiltà splendea,
E sfavillava dell’età sul fiore:
Questo tenor di cose al fiero mostro
95Tosto fu noto, ed ei svegliò suo spirto
A porre in opra non piacevol froda;
Compose a sè d’intorno aeree membra
Uscite omai di gioventute, ed ara
D’alcuna crespa il volto, e vela i crini,
100E dentro a foschi manti egli s’involve;
Fassi Frontea, della fanciulla Agave
Nudrice un tempo; e così fatto apparve
Là dove Ernesto in solitaria stanza
Guerniasi d’arme; egli il saluta, e dice:
105Ernesto già tu sai, che fui d’Agave
Nudrice; or odi me, ch’a te ne vengo
Inviata da lei; mentre fur vivi
I genitori ella celò sue voglie,
Nè volle far contrasto a’ suoi desiri,
110Or che vive in balía di sè medesma
Offre la sua beltate alla tua fede
Per fartisi consorte; or quando, e dove
Fa di mestiero, adoprerai l’ingegno
Di cavaliero e d’amatore; intanto
115Tu di questo monil cingiti l’oro
Al collo intorno; ella il ti manda, ed ama
Spesso mirar che tu ne vada adorno;
Nel così dire egli porgea l’arnese,
Onde era stato liberale Adrasto
120Ver la beltà d’Agave; in qual maniera
Città steccata da nemiche squadre
Langue in mesto digiun; ma se le giunge
Soccorso amico apre le labbra al riso;
Ciascuno apprende a rallegrar sembianza,
125E sulla fronte serenar la speme,
Tale in quel punto fe’ vedersi Ernesto:
Ridean sue labbra, e sfavillava il guardo,
E sulle guancie non so che di lieto
Subito apparve; ei cento volte e cento
130Baciò le gemme e ribaciolle; al fine
Fe’ dal petto volar queste parole:
O immensa beltà ch’altro non sai
Salvo, che ’l servo tuo render felice
Immensamente; a tuo favor sian pronti
135Sempre di tutto il ciel tutti i favori;
Ed io trabocchi degli abissi in fondo
S’unqua mi pentirò d’esserti servo:
O bella fronte; o belle ciglia, o specchi
D’ogni altiera bellezza, infra mortali
140Andrete voi di gentilezza esempio,
Ed io di fede; ei così disse: il mostro
Prende commiato ed indi move i passi;
E non gli move indarno; Adrasto trova
E per tal modo gli ragiona: Adrasto,
145Mentre da genitor si resse Agave
Ebber le vele tue vento secondo;
Or non è calma; io veggo molto Ernesto
Andar brioso; e mi ritorna a mente,
Che usanza femminil non è fermezza
150Serbare amando; così detto ei tacque;
Ma fiamma e gelo in un balen trascorse
All’amante guerrier per ogni vena,
E di varj color si tinse il volto:
Fiammeggiava lo sguardo, e dentro al petto
155Fremea per ira, e di sè stesso tolto
Motto far non potea; quinci d’Averno
Lo scellerato messaggier diparte,
E trasvolava alle sue frodi intento:
Per cotal modo corse il giorno, e chiuso
160Si stette Febo dentro il mar d’Atlante:
Ma come l’alba seminò sue rose;
Il poco avanzo dei miglior guerrieri,
E quelle teste più canute andaro
Verso il palagio a raunarsi, ed ivi
165Cercare appoggio al ruïnoso impero.
Per quel cammino raffrontossi Adrasto
Con esso Ernesto; Ernesto iva pomposo
In spoglie d’oro, e gli pendea sul petto
Il d’Agave monil tanto pregiato;
170Ed ei fattone altier movea giocondo:
Come lo scorse Adrasto immantenente
Ficcagli il guardo addosso, e bieco il guata;
Ma rimirando poi l’oro, e le gemme
Onde alla bella Agave ei fece dono,
175Splendere al collo del rivale intorno,
Vassene in foco d’ira; oscura il ciglio;
Dibatte i denti, e duramente freme
Così gridando: onde cotesto hai tratto
Real tesoro? e come indegnamente
180Te ne arricchisci? alle parole acerbe
Meravigliando diè risposta Ernesto:
Portolo perchè voglio; e l’ebbi in dono
Da tal, che la mia fè ne fece degna:
Non è ciò ver, soggiunse Adrasto; il porti
185Perchè ne fosti ladro: allora entrambo
Sfodrano i brandi; e già ne va per l’alto
Feroce il suon de’ ripercossi acciari;
E l’aria s’empie di faville; quale
Se per bella giovenca in prato erboso
190Agitati d’amor dansi battaglia
Tori cornapuntati, alto muggito
Spandono all’aura, e con la fronte bassa
Non mai son stanchi a rinfrescare assalti:
Mirasi intanto lacerati fianchi
195D’ampie ferite, e di ben calda vena
Sangue abbondante riversar gozzaje:
Non con minor possanza, e minor ira
Provano quei guerrier di trarsi a morte
Con spessi colpi; ora nel petto, ed ora
200Nel ventre, ora ne’ fianchi, or nella fronte
Erano intente a ritrovare entrata
Del nobil sangue l’assetate spade,
Ma sempre indarno; così fatta è l’arte
Ch’aveano entrambo nel mestier dell’armi:
205Al fin siccome fulmine fremente
Ch’avventa Giove adunator de’ nembi
Scagliossi Adrasto, ed allungò la spada
Quanto mai più potea verso il nemico;
Trovògli il braccio destro, ed ivi squarcia
210I nervi, e frange l’ossa; indi la tragge
E fortemente glie l’immerge in petto:
Subito cadde in sulla piaggia, e lunge
Fece d’intorno risonare il piano;
Ivi gemendo intra singhiozzi fugge
215L’alma pronta a volar per le ferite,
Ed ei vien freddo con mortal negrezza:
Il vincitor volge le spalle, e riede
Pieno di rabbia a’ suoi riposti alberghi;
Ed ivi pensa all’infedele Agave
220Profondamente arso di sdegno, e seco
Quasi saldando sue ragioni ei dice:
Spento è l’infame, e del suo sciocco ardire
Data ha la pena; or quelle carni indegne
Giacciansi sposte per convito ai cani:
225Ma qual di te prendo vendetta, Agave?
O dell’arso mio cor sola regina
Or fra chi regnerai, se tu non regni
Come sovrana fra le donne ingrate?
O occhi, ove d’amor tante faville
230Splendere io vidi, e voi gentil sembianti,
Chi l’arte v’insegnò di tanti inganni?
Di tanti frodi? e sì dicendo ei batte
La trista fronte con la destra, e pensa
Fisso col guardo in terra; indi si scote
235E col piè batte il pavimento, e grida:
Cingi la spada Adrasto; esci dal regno,
E vieni pronto ad incontrar percosse,
Vieni; che poscia tradimenti ed onte
Non mancheranti: ah crudel gente, ah nome
240Femmina nata all’onde inferne; scenda
Fulmine che l’involva; atra tempesta
Le spenga e le sommerga; indi s’emenda
E dice: adunque lascerassi Agave?
Ella si lasci; de’ nemici in preda?
245E de’ nemici in preda; eternamente
Sarà ciò pena de’ suoi vili amori:
Sì dice; e vêr le mura il piede affretta;
Giunge alla porta, e chi guardava i varchi
A lui ben noto trapassar consente;
250Egli sen esce e per diritto calle
Stampa i vestigi verso i ricchi alberghi
Del re degli Unni: per ventura il vide,
E ravvisollo Absirto, uom di gran pregio
E molto innanzi all’ungaro tiranno:
255Costui feroce maneggiando l’armi
Sulla muraglia in sanguinoso assalto
Rimase prigionier: Menapo allora
Molto gli si mostrò di cor gentile,
E con atti cortesi ebbelo seco:
260Allora Adrasto lo si fece amico;
Però da lui non fu sì tosto scorto
Che prontamente gli si move incontra;
E con un oh di meraviglia chiede
Donde? e perchè? nel così dir l’abbraccia,
265Poi dolcemente lo riguarda in viso:
Posto il termine usato alle accoglienze
Risponde Adrasto al cavaliero: io parto
Dalla cittate infino a qui difesa
Per me contra ragion; vegno bramoso
270Di dar le mie fatiche al signor vostro;
Però condurmi al suo real cospetto
Sia di te cura: qui tacque egli; Absirto
Per man lo prende, e se ne vanno intrambo
Dove il duce sovran facea dimora;
275Il ritrovaro: ei di corazza acciaro
Vestiva ardente per piropi ed oro;
E dal sinistro fianco aurea gli pende
Fulgida scimitarra, il petto, e ’l tergo
Tutto s’involve di purpureo manto,
280Manto, cui distingueano alme a mirarsi
Gemme, tesor dell’Eritree maremme;
Tal passeggiava entro a’ guerrier più scelti
Con esso lor trattando opre di Marte:
Absirto inchino gli s’appressa, e mostra
285Il campion strano, e dà di lui contezza:
Attila il chiama, e ben l’accoglie, e parla
Ver lui cortese in cotal guisa: ho caro
Voi meco aver campion di tanto pregio
Per onorarvi; e s’avverrà ch’io deggia
290Operando mostrarlo io sarò pronto:
Allor il cavalier con alterezza
Non senza riverenza a parlar prese:
Alto signor da gran ragion commosso
Mi feci difensor di queste mura
295A voi nemiche, e da ragion non meno
Per oltraggi sofferti oggi ne vegno
A dare assalto, e traboccarle in terra
Per te non meno, e non ragiono a voto:
Menapo re da subitano assalto
300Fu percosso da morte, ed indi Elvira
Chiuse gli occhi per doglie in sonno eterno;
Il figlio successor puossi dir bimbo,
Sì scarso è d’anni, e che governi il regno
Testa non è di riverirsi degna;
305La greggia popolar vinta, accasciata
Poco non fa se con le donne afflitte
Prega gli altari, i duci, uno hai davanti;
Ernesto dianzi per mia man trafitto
Versò l’alma col sangue, e più non vive:
310Non negherò che ci riman Foresto
Illustre per fulgor di nobili avi
Onde discende e per tesor possente;
Grande in asta vibrar, grande per senno,
E per trionfi e per vittorie grande;
315Ma carco di ferite or si condanna
Star sotto coltre, e riposar tra piume;
Dunque qual cor paventa? e chi consiglia
Posar, sommo signor, la tua possanza?
Che non si spande ogni bandiera al vento?
320Che non squilla ogni tromba? io non ti scorgo
Con mortal risco a rinnovare assalti;
Vi conduco a gioir d’una vittoria
Che vi si dona in dono: in tal maniera
Parlava Adrasto, ed inchinato ei tacque;
325Risponde il re: tempo è da porre indugio
E tempo è d’affrettar, se disventura
Dell’inimico a guerreggiar ne chiama
Corriamo all’armi: come dunque sorga
La bella Aurora, e ne rimeni il giorno
330Ciascun s’accinga al generale assalto;
Di tutto ciò prendi pensiero Absirto
Con pronto studio, e non soffrir che scemi
Di tuo valore, e di tua fede il pregio
Chiaro cotanto: ei più non disse; e tacque
335La maestà dell’ungaro tiranno:
Incontanente i cavalier partiro;
E fece Absirto trasvolar palese
Il decreto reale infra le squadre;
E co’ duci minor tosto dispiega
340Tutto il tenor della battaglia, e loro
Cresce coraggio ad incontrar la morte
Con forti detti, e se ne va veloce
La fama intorno, e dibattendo l’ali
Grida, ch’all’apparir del bel mattino
345Darassi assalto, e la cittate in preda
Rimarrassi al valor dei più guerrieri:
Quinci le turbe intalentate a guerra
Danno bando al riposo; altri racconcia
Archi mal tesi, altri saette arrota;
350Chi brandi terge, chi cimieri impiuma;
Chi prova il ferro de’ dorati usberghi,
Se fia possente a dileggiare i colpi
Quando più crudo adirerassi Marte:
Qual se talor d’Autunno alma stagione
355Bassareo liberal dell’aureo mosto
Vuol che si calchi in ben cerchiati tini
I grappoli acinosi, ognun s’adopra
Uomini e donne in affilar coltelli,
In tesser vimi, in risaldar graticci;
360Ogni cosa è bigonci, ogni lavoro
È rivedere e racconciare arnesi
Della bramata da ciascun vendemmia:
Tale era quivi rimirar le turbe
Intente a raffinar le spoglie e l’armi.