Il Negromante/Atto secondo

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Atto secondo

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Atto primo Atto terzo
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ATTO SECONDO.




SCENA I.

NIBBIO.


Per certo, questa è pur gran confidenzia
Che mastro Jachelino1 ha in sè medesimo,
Chè mal sapendo leggere e mal scrivere,
Faccia professïone di filosofo,
D’alchimista, di medico, di astrologo,
Di mago e di scongiurator di spiriti:
E sa di queste e dell’altre scïenzie,
Che2 sa l’asino e ’l bue di sonar gli organi;
Benchè si faccia nominar lo astrologo
Per eccellenza, sì come Virgilio
Il poeta e Aristotile il filosofo.
Ma con un viso più che marmo immobile,
Ciance, menzogne, e non con altra industria,
Aggira ed avviluppa il capo agli uomini;
E gode e fa godere a me (ajutandoci
La sciocchezza, che al mondo è in abbondanzia)3
L’altrui ricchezze. Andiamo come zingari
Di paese in paese, e le vestigie
Sue tuttavía dovunque passa restano
Come della lumaca, o, per più simile
Comparazion, di grandine o di fulmine:
Sì che di terra in terra, per nascondersi,
Si muta nome, abito, lingua e patria.
Or è Giovanni, or Pietro; quando fingesi
Greco, quando d’Egitto, quando d’Africa:
Ed è, per dire il ver, giudéo d’origine,
Di quei che fûr cacciati di Castilia.
Sarebbe lungo a contar quanti nobili,
Quanti plebei, quante donne, quanti uomini,

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Ha giuntati e rubati; quante povere
Case ha disfatte, quante d’adulterii
Contaminate, or mostrando che gravide
Volesse far le maritate sterili,
Or le sospizïoni4 e le discordie
Spegner, che tra mariti e mogli nascono.
Or ha in piè5 questo gentiluomo, e beccalo
Meglio che frate mai facesse vedova.


SCENA II.

ASTROLOGO, NIBBIO.


Astrologo.Provvederò ben al tutto io: lasciatene
A me pur il pensier.
Nibbio.                                   Sì sì, lasciatene
La cura a lui: non vi potete abbattere
Meglio.
Astrologo.            Oh! tu se’, Nibbio, costi? Volevoti
Appunto.
Nibbio.Anzi, vorreste un altro, simile
A quel che resta costà dentro; ch’utile
Poco avrete di me.
Astrologo.                                Vorrei de’ simili
Più tosto a questi6 che meco fuor escono.
Ve’ che non t’apponesti.
Nibbio.                                        Come diavolo
Faceste?
Astrologo.               Dianzi me li diede Massimo,
Chè in certe medicine che bisognano
Io li spendessi. Te’ tu questi; comprane
Due buone paja di capponi, e sieno...
Tu intendi; fa che di grassezza colino.
Nibbio.Vi chiamarete servito benissimo.
Astrologo.Due bacini d’argento, che non vagliono
Men di cento cinquanta scudi, voglioti

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Far vedere in man mia. Credo che Massimo
Vorrà uno scritto di mano, e in presenzia
Di qualche testimonio consegnarmeli.
Nibbio.Fate a mio senno, padron: come avutili
Avete, andiamo a Ferrara o a Vinegia.
Astrologo.Con sì poco bottin tu vuoi ch’io sgomberi?
Credi tu ch’io non abbia più d’un traffico
In questa terra, piena di scioccaggine
Più che Roma d’inganni e di malizie?
Chè s’io mi parto sol con questo, perdomi
Così mille ducati, come, a studio,
Andassi ov’ha più fondo il mare a spargerli.
Nibbio.Che altro traffico, senza quel di Massimo,
Avete voi?
Astrologo.                    N’ho con questo suo Cintio
Un altro non minor; ma da cavarsene
Tosto il guadagno fuor molto più agevole,
Da quel del vecchio suo diverso. Abbiamone
Un altro poi, che val più che non vagliono
Insieme questi dua, nè s’anco fossino
Dua tanti; e tutti questi hanno un medesimo
Principio. Tu devresti ben conoscere
Camillo Pocosale, un certo giovane
Bianco, tutto galante.
Nibbio.                                   Pur conoscere
Lo devrei; così spesso venir veggolo
Con voi.
Astrologo.               Ma tu non sai, c’ha una bellissima
Quantitade d’argenti, che lasciatigli
Furon, con l’altra eredità, da un vescovo
Suo zio; e l’altr’ier, ch’un pezzo stetti in camera
Con lui, veder me li fe tutti. Vagliono
Settecento ducati, e credo passino.
Nibbio.Non è già posta da lasciar: farebbono
Per noi.
Astrologo.               Per noi faran, se mi riescono
Alcuni bei disegni ch’io fantastico.
Questo Camil della sposa di Cintio
È sì invaghito, che quasi farnetica.
Ben fe il meschino, prima che la dessino
A Cintio, ciò che far gli fu possibile
Per averla per moglie. Ora notizia

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Di questa debiltade ed impotenzia
Avendo dello sposo, il quale il vomere
Non può cacciar nel campo, ha ripreso animo
E speranza che a sè s’abbia a ricorrere,
Volendolo ridursi7 che si semini:
E son più giorni ch’a me venne, essendogli
Detto c’ho tolto a raddrizzare il manico
Dell’aratro; e due scudi in mano postimi
A prima giunta, indi il suo amor narratomi,
Mi supplicò piangendo, che procedere
Volessi in guisa alla cura di Cintio,
Che più impotente restasse e più debole
Di quel che sia, e in modo che conoscere
Mai non potesse carnalmente Emilia;
E cinquanta fiorin donar promessemi,
Se il parentado facevo dissolvere.
Nibbio.Verso gli argenti cotesto è una favola:
Ma nè i cinquanta fiorini anco putono;
E mi par che ’l beccarli vi sia facile,
Chè tosto che dichiate al padre o al suocero...
Astrologo.Deh! insegnami pur altro che di mugnere
Le borse, chè gli è mio primo esercizio.
Non vô che trenta fiorini mi tolghino
Seicento, e più. Quelli argenti mi toccano
Il cuor. Bisogna un poco che si menino
Le cose in lungo, finchè giunga un comodo
Di levar netto.8 Intanto non ci mancano
Altri babbion che ci daran da vivere.
Sono alcuni animali, dei quali utile
Altro non puoi aver che di mangiarteli,
Come il porco: altri sono che serbandoli
Ti danno ogni dì frutto; e quando all’ultimo
Non ne dan più, tu te li ceni o desini;9
Come la vacca, il bue, come la pecora:
Sono alcuni altri che vivi ti rendono
Spessi guadagni, e morti nulla vagliono;

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Come il cavallo, come il cane e l’asino.
Similmente negli uomini si trovano
Gran differenzie. Alcuni che per transito,
In nave o in ostaría, tra i piè ti vengono,
Che mai più a riveder non hai; tuo debito
È di spogliarli e di rubarli subito.
Sono altri, come tavernieri, artefici,
Che qualche carlin sempre e qualche julio
Hanno in borsa, ma mai non hanno in copia:
Tôr spesso e pochi a un tratto a questi, è un ottimo
Consiglio; perchè se così li scortico
Affatto, poco è il mio guadagno, e perdomi
Quel che quasi ogni giorno può cavarsene.
Altri nelle cittadi son ricchissimi
Di case, possessioni e di gran traffichi:
Questi devemo differire a mordere.
Non che a mangiar, finchè da lor si succiano
Or tre fiorini, or quattro, or dieci, or dodici;
Ma quando vuoi mutar paese, all’ultimo,
O che ti viene occasïone insolita,
Tosali allora fin sul vivo o scortica.
In questa terza schiera è Cintio e Massimo
E Camillo, che con promesse e frottole
In lungo meno e menarò, finchè aridi
Non li trovi del latte: un dì poi, toltomi
L’agio ch’esser mi pajan grassi e morbidi,
Io trarrò lor la pelle e mangeròmmeli.
Ora, perchè Camillo, finchè comodo
Mi sia di scorticarlo, m’abbia a rendere
Il latte, di verdi erbe vo pascendolo
Di speme, promettendogli d’accendere
Sì del suo amor questa Emilia, che, voglino
O non voglino i sua parenti, subito
Che lasci Cintio, non vorrà congiungersi
Ad altr’uomo che a lui; e dato a intendere
Gli ho, che già in questo ho fatto sì buon’opera,
Che del suo amore ella si strugge; e lettere
Ed ambasciate ho da sua parte fintomi...
Nibbio.Non m’avete più detto questa pratica.
Astrologo.E da sua parte ancora certi piccioli
Doni recati gli ho, ch’egli ha gratissimi.
Questa mattina egli mi diè un bellissimo

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Anelletto, ch’io dessi a lei.
Nibbio.                                             Terretelo
Per voi, pur le lo darete?
Astrologo.                                                Voglione
Il tuo consiglio.
Nibbio.                         Per dio, no.
Astrologo.                                               Ma eccolo.
Sta pure all’erta e fa il grossieri10 e mostrati
Di non aver le capre.
Nibbio.                                   Starò tacito.


SCENA III.

CAMILLO, e detti.


Astrologo.Dove va questo innamorato giovene,
Sopra tutti gli amanti felicissimo?
Camillo.Io vengo a ritrovare il potentissimo
Di tutti i maghi, ad inchinarmi all’idolo
Mio, cui miei voti, offerte e sacrificii
Destíno tutti; che voi la mia prospera
Fortuna siete. Ah! ch’io non posso esprimere,
Maestro, quant’ho verso voi buon animo.
Nibbio.(Credo che tosto muterai proposito.)
Astrologo.Queste parole meco non accadono.
In tutto quel ch’io son buono, servitevi
Di me, chè sempre m’avrete prontissimo.
Camillo.Ben ne son certo, e ve n’ho eterna grazia.
Ma ditemi, che fa la mia carissima
E dolcissima mia?
Astrologo.                              Va via, tu; scostati
Da noi.
Nibbio.           (Ben vince costui tutti gli uomini
D’esser secreto. Oh buono avviso!)
Astrologo.                                                          Simili
Cose non sono mai da dir, che v’odano
Li famigli, che tuttavía riportano
Ciò che sanno.
Camillo.                        Io non ci avevo avvertenzia.

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Ma che fa la mia bella e dolce Emilia?
Astrologo.Arde per vostro amor, tanto ch’io dubito
Che s’io produco troppo in lungo a porvela
In braccio, come neve al sol vedremola,
come fa la cera al fuoco, struggere.
Nibbio.(Ciò ch’egli dice è bugia; ma sapràgliela
Sì bene ornar, che gliela farà credere.)
Camillo.Per non lasciarla dunque voi distruggere,
E me morir poi di dolor, forniscasi;
Ch’io son ben certo, che dicendo libera-
mente voi, che impossibil sia che Cintio
Mai consumi con essa il matrimonio,
Che ’l11 padre suo non negherà di darmela.
Astrologo.Mi fa ella ancor questi preghi medesimi.
A voi che amate, e che lasciate reggervi
All’appetito, par che ciò far facile-
mente si possa, perch’altra avvertenzia
Non avete, che al vostro desiderio.
Ma ditemi: s’io dico che incurabile
Sia la impotenzia di Cintio, e rimedio
Non gli abbia fatto ancor, non darò indizio,
Anzi segno di fraudo evidentissimo?
Camillo.Sempre al vostro parer mi vô rimettere.
Nibbio.(Come è soro e innocente12 questo giovane!)
Astrologo.Almen voi sête più di lei placabile.
Camillo.Ella non fa cosi?
Astrologo.                              Così, eh? S’incollera,
Non mi vuole ascoltar, e piange, e dicemi
Ch’io meno in lungo questa trama a studio.
Camillo.Io non dirò mai più che a voi possibile
Non sia ogni cosa, poichè così accendere
Di me l’avete potuta sì subito;
Dalla quale, in cinque anni che continua-
mente ho amato e servito, un segno minimo
Non potetti aver mai d’esserle in grazia.
Nibbio.(Quando lo battezzâr non doveva essere
Sale al mondo, chè non trovàr da porgliene
Un grano in bocca).

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Astrologo.                                   Ho ben meco una lettera,
Ch’ella vi scrive.
Camillo.                              Chè cessate darmela?
Astrologo.La volete vedere?
Camillo.                                Io ve ne supplico.
Nibbio.(Questa esser dê la lettera che scrivere
Gli viddi dianzi: or gli darà ad intendere
Che scritta di man sua gliel’abbia Emilia.)
Camillo.Di quelle man, più che di latte candide,
Più che di neve,13 è uscita questa lettera?
Nibbio.(Uscita è pur di man rognose e sucide
Del mio padron: tientela cara e baciala.)
Astrologo.Prima da lo alabastro o sia ligustico
Marmo del petto viene, ove fra picciole
Ed odorate due pome giacevasi.
Camillo.Dal bel seno della mia dolce Emilia
Dunque vien questa carta felicissima?
Astrologo.Sua bella man quindi la trasse, e diemmela.
Nibbio.(Così t’avesse dato il latte mammata!)14
Camillo.O bene avventurosa carta, o lettera
Beata, quanto è la tua sorte prospera!
Quanto t’hanno le carte a avere invidia,
Delle quali si fan libelli, cedole,
Inquisizioni, citatorie,15 esamine,
Istrumenti, processi e mille altre opere
De’ rapaci notari, con che i poveri
Licenzïosamente in piazza rubano!
O fortunato lino, e più in questo ultimo
Degno d’onor, che16 tu sei carta fragile,
Che mai non fusti tela, se ben tonica
Fusti stata di qualsivoglia prencipe;
Poichè degnata s’è la mia bellissima
Padrona i suoi segreti in te descrivere!
Nibbio.(Sarà più lunga del salmo l’antifona.)
Camillo.Ma che tardo io d’aprirti, ed in te leggere
Quanto m’arrechi di gaudio e di jubilo,
Di ben, di gioja, di vita?

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Astrologo.                                        Fermatevi;
Fate a mio senno.
Camillo.                              Di che?
Astrologo.                                          Andate a leggere
A casa vostra.
Camillo.                       Perchè non qui?
Astrologo.                                                  Dubito,
Che avendo fatto a questa chiusa lettera
Tante esclamazïoni e cerimonie;
Tosto che voi l’apriate, e le carattere17
Veggiate impresse da quel bianco avorio,
Le parole gustiate soavissime,
Che si spiccan dal suo cuore ardentissimo,
Un svenimento per dolcezza v’occupi,
Talchè caschiate in terra; o per letizia
Leviate un grido, sì che intorno accorrano
Tutti i vicini.
Camillo.                        Non farò; lasciatemi
Legger, maestro.
Astrologo.                              Leggetela.
Camillo.                                               Leggola.
Signor mio car... Non dovéa questo titolo
Darmi, ch’io le son servo.
Astrologo.                                             Seguite.
Camillo.                                                        Unica
Speranza mia. Oh parola melliflua!
Astrologo. Anzi pur zuccaríflua, chè ignobile
È il mêl.
Camillo.               Voi dite il ver.
Astrologo.                                        Seguite.
Camillo.                                                    O anima
Mia, vita mia, o luce mia! Mi cavano
Queste parole il cuor. Vi prego e supplico
Per quanto ben mi volete... Fortissimo
Scongiur!
Nibbio.                  (Debbe esser materia difficile;
Chè vien di parte in parte comentandola).
Camillo.E per l’amor che grande e inestimabile

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Io porto a voi, facciate quanto intendere
A bocca da mia parte il nostro astrologo
Vi farà; nè pensate già di prenderci
Scusa, chè nè impossibil nè difficile
È però questo ch’io vi fo richiedere.
Se sête mio, come io vostra, chiarirmene
Può questa pruova. State sano e amatemi.
Nibbio.(Cuius figuræ? ben si può dir: simplicis.)
Astrologo.Sête vo’ al fine?
Camillo.                          Sì. Ma che accadevano
Preghi? Non è ella certa che accennandomi,
Mi può cacciar nel fuoco? e domandandomi
Il cuor, son per spararmi il petto e darglielo?
Che ho a far?
Astrologo.                        Come vedete, è lettera
Credenzïale: oggi vi farò intendere
Quel che da parte sua v’ho a dir. Lasciatevi
Riveder.
Camillo.               Non è meglio ora spedirmene?
Astrologo.La cosa importa, e non è da passarsene
In tre parole o in quattro. Differiamola
Più tosto da qui un pezzo, chè più libero
Io sia che non sono ora, che da Cintio
Sono aspettato. Io vô con lui conchiudere
Un mio disegno, a cui diedi principio
Dianzi, che tutto sia però a vostro utile.
Ed ecco che esce la madre di Emilia.
Che non vi vegga meco! Nibbio, seguimi.


SCENA IV.

MADONNA, FANTESCA.


Madonna.Confórtati, figliuola, chè rimedio,
Fuor che al morire, ad ogni cosa trovano
Le savie donne. Or resta in pace. — Ah misera
Umana vita, a quanti strani e insoliti
Casi è soggetto questo nostro vivere!
Fantesca.In fè di Dio, che tôr non si vorrebbono
Se non a pruova li mariti.
Madonna.                                            Ah bestia!
Fantesca.Che bestia? Io dico il ver. Mai non si compera

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Cosa che prima ben non si consideri
Dentro e di fuor più volte. Se in un semplice
Fuso il vostro danajo avete a spendere,
Dieci volte a guardarlo bene e volgere
Per man tornate: ed a barlume gli uomini
Si tôrran poi, che tanto ci bisognano?
Madonna.Credo che sii ubbriaca.
Fantesca.                                    Anzi più sobria
Unqua non fui. Io conobbi una savia,
Già mia vicina, che si tenne un giovene
Ogni notte nel letto più di sedeci
Mesi, e ne fece ogni pruova possibile;
E poichè a tal mestier lo trovò idoneo,18
Della figliuola sua, ch’ella aveva unica,
Lo fè marito.
Madonna.                       Va, scrofa, e vergógnati.
Fantesca.Dunque mi debb’io vergognare a dirvi la
Verità? S’anco voi la esperïenzia
Fatta aveste di Cintio, a questo termine
Non sareste. Ma che più? Persuadetevi
Che sia tutto uno, poichè esperïenzia
N’ha fatto Emilia tanti dì. Lasciatelo
In sua mala ventura, e d’altro genero
Provvedetevi. Ma prima provatelo;
Fate a mio senno.
Madonna.                              Uh, che consiglio, domine,
Mi dà costei!
Fantesca.                        Se non volete prendere
Questo, ve ne do un altro: a me lasciatelo
Provar. S’io provo, saprò far giudizio
Se se n’avrà da contentare Emilia.
Madonna.O brutta, disonesta e trista femmina,
Serra la bocca, in tua malora, e seguimi.



Note

  1. I moderni, com’era ben da credersi, ammodernarono: Giachelino; e: Giacchelino.
  2. Quello che. Sembra che primo il Pezzana mutasse, d’arbitrio: Quanto l’asino ec.
  3. Imitazione del petrarchesco: «Infinita è la turba degli sciocchi.»
  4. Non bene, i più antichi editori: superstizioni.
  5. Ha in suo potere: presa la similitudine dagli uccelli di rapina. Il che confermasi dalla variante del seguente verso, riportata dal Barotti: «Meglio che mai sparvier facesse passera.» Vedi anche il verso 2, della sc. II dell’atto terzo.
  6. Mostrandogli danari. — (Pezzana.)
  7. Così tutte le stampe, ed è inversione delle particelle, per Volendosi ridurlo. Un moderno editore pensò cavarne fuori il si creduto da lui sottinteso, che qui avrebbe forza di Tale o d’In modo; e scrisse Volendolo ridur sì che si semini.
  8. Cioè, di rubargli con destrezza tutti quegli argenti. — (Tortoli.)
  9. Costrutto notabile.
  10. Fa l’ignorante. L’altro proverbio mostrati di non aver le capre non trovasi in verun vocabolario. Sembra che voglia dire mostra di non saper nulla. — (Molini.)
  11. Così nelle antiche e in quella del Barotti; ma nelle moderne: Il padre.
  12. Accettiamo l’arguta ed eccellente correzione, modestamente già proposta dal Barotti, fatta poi dal Pezzana, e seguíta dagli altri editori, benchè le stampe antiche abbiano: Come è solo innocente.
  13. Da spiegarsi: più candide che se fossero di latte o di neve.
  14. Tua madre. Voce usata popolarmente in gran parte d’Italia.
  15. Vedi la nota 2 a pag. 323.
  16. Intendasi: O fortunato lino, e in questo ultimo che (o quando) tu sei carta fragile, più degno d’onore, che mai non fosti quando eri tela ec.
  17. Il Vocabolario non dà esempio di carattere fatto del genere femminile. Non sappiamo però negar fede all’edizione del Giolito, sembrandoci duro modo quello della stampa del Bortoli: e lo carattere veggiate impresso; e forse arbitraria la correzione degli altri: e che ’l carattere ec.
  18. L’edizione del Giolito e quella del Bortoli così pongono questo verso: E poi che tal mestier ben le parve utile; dove, per lo meno, tra che e tal, venne omessa la preposizione a.