Il Negromante/Atto primo

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Atto primo

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Prologo secondo Atto secondo
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ATTO PRIMO.




SCENA I.

MARGARITA, BALIA.


Margar.Io non ho mai, da quel dì che andò Emilia
A marito, che un mese e più debbe essere,
Se non solamente oggi avuta grazia
Di uscir tanto di casa, che potutola
Abbia venir a visitar. Se fossino
Tuttavía in casa nostra cento femmine,
Tocchería sempre a me guardar la cenere,
Con le gatte; nè a messa mai nè a ufizio
Vo con Madonna. Pur, tanto piacevole
Oggi l’ho ritrovata, che partendosi
Per venir qui a veder la figlia e il genero,
Mi disse: — Margarita, come suonano
Vent’ore, vien per me, chè io non vô perdere
Oggi il vespero. — Io pure alquanto anticipo
Il tempo, per veder più ad agio Emilia
E star un pezzo con lei. Ma la balia
Esce di casa. Dove si va, balia?
Balia.In nessun luogo. Io venía che parevami
D’aver sentito un di questi che girano
Vendendo l’erbe.
Margar.                              Mia Madonna acconciasi
Per partir anco?

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Balia.                              Oh! sei stata sollecita
Molto a venir per lei.
Margar.                                   La nostra Emilia
Che fa?
Balia.             Pur dianzi si serraro in camera
Ella e la madre, ed è con esse un medico
Che ci venne oggi forestiero e parlano
Di segreto.
Margar.                 Io venía con desiderio
Di stare un pezzo pur con lei.
Balia.                                                  Mal copia
Oggi ne avrai, chè tutta è malinconica.
Margar.Che l’è accaduto?
Balia.                                Quel ch’avea la misera
Da aspettar meno. Che nasca una fistola1
A chi mai fece questo sposalizio!
Margar.Ognun sì lo lodava da principio
Per un partito de’ miglior che fossino
In questa terra.
Balia.                          Dar non la potevano,
Margarita mia, peggio.
Margar.                                      È pur bel giovane.
Balia.Altro bisogna.
Margar.                         Intendo ch’è ricchissimo.
Balia.Bisogna anch’altro.
Margar.                                Debbe esser spiacevole?
Ma non stia in punta2 e giostri di superbia
Con esso lui.
Balia.                      Deh, non temer che giostrino,
Chè la lancia è spuntata e trista e debole.
Margar.Dunque non le fa il debito egli?
Balia.                                                    Il debito, eh?
Margar.Che! non può?
Balia.                         La infelice è così vergine
Come era innanzi questo sposalizio.
Margar.Uh, che disgrazia!
Balia.                                È ben una disgrazia
Delle maggiori ch’aver possa femmina.

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Margar.Lasci andar, nè però si dia molestia;
Potrà ben...
Balia.                    Quando potrà ben, se in quindici
O trenta dì non può?
Margar.                                    Se ne ritrovano,
Intendo, alcuni che stan così deboli
Gli anni, e ritornan poi come prima erano.
Balia.Gli anni? Signor! Dunque debbe ella attendere
A bocca aperta, che le biade naschino
E si maturin poi, s’ella dee pascersi?
Non era meglio che sedessi in ozio
In casa di suo padre, che venirsene
La misera a marito, non dovendoci
Aver se non mangiar, vestire e simili
Cose, ch’aver poteva in abbondanzia
Col padre ancora?
Margar.                                Qualche trista femmina
Con cui lo sposo avrà già auto pratica,
L’averà così guasto per invidia:
Ma pur sono a tal cose dei rimedii.
Balia.Provati se ne sono e se ne provano
Tuttavía molti, e par che nulla vaglino.
Ben ci viene uno che in tal cose dicono
Che sa molto e che fa prove mirabili;
Ma sin qui non gli ha già fatto alcun utile:
Sicchè di peggio che malía mi dubito,
E che gli manchi ben puômmi tu intendere.
Margar.Ben saría meglio che data l’avessino
A Camillo, che tante volte chiedere
La fece lor. Perchè gliela negarono?
Perchè Cintio è più ricco?
Balia.                                             Differenzia
Di roba è poca tra loro: anzi il fecero
Perchè fin da i primi anni fra i due suoceri
Fu sempre una strettissima amicizia.
Ben se ne son pentiti; e se potessino
Le cose che son ite, addietro volgersi
La seconda fïata, voglio credere
Che meglio della prima si farebbono.
Ma ecco che vien fuor di casa Fazio.
Vien dentro tu. Non vô questa seccaggine
Ci coglia qui, che sempre vuole intendere

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Ciò che si fa, ciò che si dice. Domine,
Come è impronto, nojoso e rincrescevole!


SCENA II.

LIPPO, poi FAZIO.


Lippo.Questa è la prima strada, che volgendosi
A man manca, passato Santo Stefano,
Si trova; e questa la casa debb’essere
Di Massimo, vicino alla quale abita
Colui ch’io vo cercando. Ma notizia
Me ne darà forse costui. Ma veggolo,
Veggol, per dio! Gli è quel ch’io cerco proprio:
Gli è desso.
Fazio.                      Non è questo Lippo?
Lippo.                                                        O Fazio.
Fazio.Quando a Cremona?
Lippo.                                   O caro Fazio, veggoti
Volentieri.
Fazio.                    Io tel credo. Ed io te simile-
mente.3 E che buone faccende ti menano?
Lippo.Mi manda Copo vostro per riscuotere
Alcuni suoi danari, che gli debbono
Gli eredi di Mengoccio Della Semola.
Fazio.Quando giungesti?
Lippo.                                 Giunsi ieri4 sul vespero.
Fazio.Or che si fa a Firenze?
Lippo.                                          Si fa il solito.
Odo che ti sei fatto in corpo e anima
Cremonese, nè più curi la patria.
Fazio.Che vuoi ch’io faccia? A Firenze sì premeno
Le pubbliche gravezze, che resistere
Non vi si può: qui mi ridussi, e vivomi
Con la mia brigatella assai più comodo.
Lippo.Tua moglie come sta?
Fazio.                                        Sana, Dio grazia.
Lippo.Non avevate una figliuola? Parmene
Pur ricordar.

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Fazio.                        Ben ricordar potrebbeti
D’una fanciulla che ci abbiam da piccola
Allevata e tenuta cara, e amiamola
Più che figliuola.
Lippo.                            Vostra riputavola.
Fazio.Nostra figliuola ella non è: lasciataci
Fu da sua madre, la qual capitataci
In casa inferma, dopo dieci o dodici
Giorni che v’alloggiò, si morì.
Lippo.                                                    Avetela
Ancora maritata?
Fazio.                            Maritatala
Avevamo, e sì bene, che pochissimi
Partiti in questa terra si trovavano
Miglior di quello: poi c’è entrato il diavolo
Dentro, sì che talor vorrei non essere
Nato.
Lippo.          M’incresce d’ogni tua molestia.
Fazio.Ben ne son certo.
Lippo.                                 E se in ciò far servizio
Ti posso, mi comanda.
Fazio.                                      Ti ringrazio.
Lippo.E s’io sapessi il caso, e potessi utile
Farti o di fatti o di parole, avrestimi,
Quanto altro amico abbi al mondo, prontissimo.
Fazio.Se quando ero a Firenze, Lippo, amavoti
Quanto me stesso, e s’ancor mai nasconderti
Non volsi nè potéi cosa che in animo
Avessi; io non voglio ora, che l’assenzia
Di cinque anni o di sei possa del solito
Suo aver mutata la benivolenzia
Mia verso te, e ch’in te la mia fiducia
Non sia in Cremona quale era in la patria.
Lippo.Io ti ringrazio di queste amorevoli
Parole e buona volontà; e certissimo
Render ti puoi che da me n’abbi5 il cambio.
E sia quel che si voglia, che nell’intimo
De’ miei segreti pôr ti paja, ponloci
Sicuramente; chè dipositario

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Ti sarò in ogni parte fedelissimo.
Fazio.Or odi. Nella casa qui di Massimo
Un costumato e gentil giovane abita,
Nomato Cintio, il qual da questo Massimo
È stato tolto per figliuol, con animo
(Perchè non ha alcun altro ed è ricchissimo)
Di lasciarlo suo erede. Or questo giovane
Gli ha quella riverenzia ed osservanzia
Che immaginar ti dêi che convenevole
Sia a persona che aspetti d’aver simile
Ereditade; quando nè per vincolo
Di sangue è indotto a fargli, nè per obbligo,
Nè per altro rispetto che per libera
Voluntà propria, sì gran beneficio.
Essendoci vicino questo giovine,
Come io ti dico, e talvolta venendoli
Veduta la fanciulla, che Lavinia
Si chiama, all’uscio, alle finestre, accesesi
Oltra modo di lei.
Lippo.                                Fatta debb’essere
Bella, per quanto di lei far giudicio
Si potéa da fanciulla.
Fazio.                                   Ha assai buon’aria.
Odi pur. Cintio cominciò a principio,
Con preghi e con profferte di pecunia,
A tentarla: ella sempre con modestia
Gli rispondeva, o gli facéa rispondere,
Che sua altrimente non era per essere
Che legittima moglie, e con licenzia
Mia; chè m’ha in gran rispetto, nè mi nomina
Se non per padre. Questo avrebbe il giovine
Fatto, senza guardare all’osservanzia
Che debbo al vecchio ed al pericol d’essere
Cacciátone di casa. Se accordatomi
Foss’io con lui, sarebbe il matrimonio
Seguito; ma vedend’io che poco utile
M’era dargli Lavinia, succedendone
Di Massimo l’offesa e la disgrazia,
Producéa in lungo la cosa, chè al giovane
Non voléa dar repulsa nè promettere
Liberamente. Durò questa pratica
Forse quattro anni. All’ultimo, vedendolo

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Perseverare in questo desiderio
Sì lungamente, e conoscendo il giovine
Da ben, mi parve non fosse da perdere
Sì rara occasïone; e confidandomi
Ch’egli è discreto e che faría procedere
Queste cose segrete, finchè Massimo
Ci desse luogo (il qual, secondo il termine
Del corso natural, non dovría vivere
Però gran tempo), fui contento darglila.
Così, in presenzia di due testimonii,
Operai che in segreto sposò Cintio
La fanciulla, e in segreto accompagnaronsi,
Ed in segreto ancor fin qui godutisi si
Sono; e successo il tutto era benissimo.
Lippo.Cotesto — era — 6 mi spiace: or questo Cintio
Si debbe esser mutato di proposito?
Fazio.Cotesto no; Lavinia ama egli al solito.
Lippo.Che ci è dunque?
Fazio.                              Diròttelo. Non passano
Tre mesi, che nulla sappiendo Massimo
Di questa trama, con gli amici pratica
Fece, che Abbondio, cittadin ricchissimo
Di questa terra, gli promesse, e dieronsi
La fede, ch’una sua figliuola, che unica
Si trova aver, saría moglie di Cintio;
E conchiuser tra lor lo sponsalizio,
Prima che noi n’avessimo notizia;
Ed alla sproveduta sì lui colsero,
Che sposar gli la fêro,7 e il dì medesimo
Menar a casa, sì che dire il misero
Non seppe una parola mai in contrario.
Lippo.Così Lavinia fia lasciata, e vedova
Sarà, vivendo il marito?
Fazio.                                          Ne dubito:
Pur tentiamo una via, che succedendoci,
Si potría far che ’l nuovo sponsalizio
Non seguiría.
Lippo.                       Che via?

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Fazio.                                        Non ha ancor Cintio
Fatto alcun saggio di quest’altra femmina.
Lippo.Cotesto non cred’io, chè gli è impossibile;
Ma che vi dia la ciancia ben vô credere.
Fazio.Non mi dà ciancia, no; síane certissimo.
Non ti sarebbe a crederlo difficile,
Se tu n’avessi, come abbiam noi, pratica.
Ti dirò più, che se n’è con la balia
La sposa querelata; e riferitolo
L’ha la balia alla madre e al padre Abbondio;
Ed Abbondio se n’è dipoi con Massimo
Molto doluto: e Massimo, che sciogliere
Non vorría il parentado, nè che Cintio
Sì buona ereditade avesse a perdere,
È ito a ritrovar, non so se astrologo
O negromante debbo dire, un pratico
Molto circa a tal cose, ed ha promessogli
Donar venti fiorini se lo libera.
Vedi se ci dileggia o no.
Lippo.                                          Che speri tu
Che per tal finzïone abbia a succedere?
Fazio.Che poi che stato sia sei mesi, or mettila
A un anno, Cintio in tanta continenzia,
Pensando in fine Abbondio che perpetua
Sia questa infermitade ed incurabile,
S’abbia a ritôr la figliuola; e, potendoci
Di questo nodo questa volta sciogliere,
Non abbiamo dipoi di che aver dubbio.
Ben saría pazzo, e bene avrebbe in odio
La cosa sua, se più di darla a Cintio
Parlasse, poichè d’impotente e debole
Ha nome.
Lippo.                  È bel disegno e può succedere,
Purchè Cintio stia saldo in un proposito.
Fazio.Non temo che si muti.
Lippo.                                      S’egli seguita,
Pel più fedel lo lodo e dabben giovine
Di chi io sentissi mai parlare. Or piacemi
D’averti visto. Dio sia favorevole
A tutti i vostri desiderî. Possoti
Far cosa che ti piaccia?
Fazio.                                        Che dimestica-

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mente alloggi qui meco.
Lippo.                                        Io ti ringrazio.
Son con questi alloggiato Della Semola;
Ed ho a far sì con loro, che spiccarmene
Posso male; ed appena ho avuto spazio
Di venirti a vedere, ed or m’aspettano.
Fazio.Verrò a trovarti questa sera.
Lippo.                                                Lasciati,
Per tua fè’ spesso veder, e godiamoci,
Finch’io sto qui, più che ci sia possibile.
Fazio.Cosi faremo. Ecco Cintio con Temolo.
Se tutti i servitori così fosseno
Fedeli alli padroni come Temolo
È a questo suo, le cose passerebbono
Delli padroni meglio che non passano.


SCENA III.

CINTIO, TEMOLO, FAZIO.


Cintio.Temolo, che ti par di questo astrologo,
O negromante voglio dir?
Temolo.                                            Lo giudico
Una volpaccia vecchia.
Cintio.                                    Ora ecco Fazio.
Io domandavo costui dell’astrologo
Nostro quel che gli par.
Temolo.                                        Dico ch’io il giudico
Una volpaccia vecchia.
Cintio.                                      Ed a voi, Fazio,
Che ne par?
Fazio.                      Lo stimo uom di grande astuzia
E di molta dottrina.
Temolo.                                 In che scïenzia
È egli dotto?
Fazio.                      In l’arti che si chiamano
Liberali.
Cintio.               Ma pur nell’arte magica
Credo che intenda ciò che si può intendere,
E non ne sia per tutto il mondo un simile.
Temolo.Che ne sapete voi?
Cintio.                                Cose mirabili

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Di lui mi narra il suo garzone.
Temolo.                                                  Fateci,
Se Dio v’ajuti, udir questi miracoli.
Cintio.Mi dice che a sua posta fa risplendere
La notte e il dì oscurarsi.
Temolo.                                           Anch’io so simile-
mente cotesto far.
Cintio.                              Come?
Temolo.                                          Se accendere
Di notte anderò un lume, e di dì a chiudere
Le finestre.
Cintio.                    Deh, pecorone! dicoti.
Che estingue il sol per tutto il mondo, e splendida
Fa la notte per tutto.
Temolo.                                   Gli dovrebbeno
Dar gli speciali8 dunque un buon salario.
Fazio.Perchè?
Temolo.             Perchè calare il prezzo e crescere,
Quando gli paja, può alla cera e all’olio.
Or, sa far altro?
Cintio.                              Fa la terra muovere,
Sempre che il vuol.
Temolo.                                 Anch’io tal volta muovola,
S’io metto al fuoco o ne levo la pentola;
O quando cerco al bujo se più gocciola
Di vino è nel boccale, allor dimenola.
Cintio.Te ne fai beffe, e ti par d’udir favole?
Or che dirai di questo, che invisibile
Va a suo piacer?
Temolo.                              Invisibile? Avetelo
Voi mai, padron, veduto andarvi?
Cintio.                                                          Oh, bestia!
Come si può veder se va invisibile?
Temolo.Ch’altro sa far?
Cintio.                          Delle donne e degli9 uomini
Sa trasformar, sempre che vuole, in varii
Animali, e volatili e quadrupedi.
Temolo.Si vede far tutto il dì, nè miracolo

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È cotesto.
Fazio.                  U’ si vede far?
Temolo.                                           Nel popolo
Nostro.
Cintio.             Non date udienza alle sue chiacchiere,
Che ci dileggia.
Fazio.                            Io vô saperlo: narraci
Pur come.
Temolo.                      Non vedete voi, che subito
Un divien podestade, commissario,
Provveditore, gabelliere, giudice,
Notajo, pagator degli stipendii,
Che li costumi umani lascia, e prendeli
O di lupo o di volpe o di alcun nibbio?10
Fazio.Cotesto è vero.
Temolo.                          E tosto ch’un d’ignobile
Grado, vien consigliere o segretario,
E che di comandar agli altri ha ufficio,
Non è vero anco che diventa un asino?
Fazio.Verissimo.
Temolo.                 Di molti che si mutano
In becco vô tacer.
Cintio.                                Cotesta, Temolo,
È una cattiva lingua.
Temolo.                                    Lingua pessima
La vostra è pur, che favole mi recita
Per cose vere.
Cintio.                         Dunque, non vuoi credere
Che costui faccia tali esperïenzie?
Temolo.Anzi, che di maggior ne faccia, credere
Vi voglio, quando con parole semplici,
Senza aver dimostrato pur un minimo
Effetto, può cavar di mano a Massimo
Quando danari e quando roba. Or essere
Potría prova di questa più mirabile?
Cintio.Tu cianci pur, nè rispondi a proposito.
Temolo.Parlate cose vere, o che si possino
Credere almeno; e come è convenevole
Risponderòvvi.
Cintio.                         Dimmi questo: credi tu

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Che costui gran maestro sia di magica?
Temolo.Ch’egli sia mago, ed eccellente, possovi
Credere; ma che farsi li miracoli
Che dite voi si possano per magica,11
Non crederò.
Cintio.                      La poca esperïenzia
C’hai del mondo, n’è causa. Dimmi, credi tu
Che un mago possa far cosa mirabile,
Come scongiurar spirti, che rispondino
Di molte cose che tu vogli intendere?
Temolo.Di questi spirti, a dirvi il ver, pochissimo
Per me ne crederei; ma li grandi uomini
E principi e prelati che vi credono,
Fanno, col loro esempio, ch’io, vilissimo
Fante, vi credo ancora.
Cintio.                                      Concedendomi
Questo, mi puoi similmente concedere,
Ch’io sono il più infelice uomo e il più misero
Ch’oggi si trovi al mondo.
Temolo.                                             Come? seguita.
Cintio.S’egli venisse a scongiurar gli spiriti,
Non saprebbe egli ch’io non sono debole
Com’io mi fingo? E la cagion del fingere
Non sapría ancor, che con tal mezzo studio
Di tôr da me la figliuola d’Abbondio,
E che Lavinia è mia moglie? Or sapendolo,
Ed al mio vecchio insieme riferendolo,
A che termin son io?
Temolo.                                    E’ non è dubbio
Che saresti a mal termine.
Cintio.                                           Anzi pessimo.
Fazio.Volete, Cintio, ch’io vi metta un ottimo
Partito innanzi, sopra il qual fantastico
Già molti giorni, e concludo ch’altro essere
Non ci può, se non questo, salutifero?
Cintio.Dite.
Fazio.        Mi par che costui sia molto avido
Di guadagnare assai.
Cintio.                                   Son del medesimo

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Parere anch’io: che più?
Fazio.                                           Dunque, rendetevi
Certo ch’egli più tosto vorrà apprendersi
A quaranta che a venti.
Cintio.                                        L’ho certissimo.
Fazio.Il vecchio gli ha promesso, se vi libera,
Di donar venti scudi; e, credo, trattone
Le spese.
Cintio.               Seguitate.
Fazio.                                Or, ritrovatelo,
E tutto il desiderio vostro apriteli;
E una profferta fategli magnanima
Di quaranta ducati, e che facci opera
Che si dissolva questo sponsalizio.
Cintio.Ma da chi troverò quaranta piccioli,
Non che fiorini, in tal tempo?
Fazio.                                                  Lasciatene
A me la cura. S’io dovessi vendere
Letto e lenzuola ed ogni masserizia
C’ho in casa, e, senza serbarmi una camera,
La casa stessa, provvederò subito
A tal bisogno.
Cintio.                        In questa cosa, Fazio,
Ed in ogni altra, sempre mai rimettere
A voi mi voglio.
Fazio.                            Che ne di’ tu, Temolo?
Temolo.Il medesmo che voi dite.
Cintio.                                          Parendovi
Dunque così, gli parlerò.
Fazio.                                            Parlategli,
E tosto.
Cintio.               Or ora, poichè senza avvolgermi
Per la terra a cercarlo, io l’ho qui comodo
In casa.
Fazio.             Egli è qui in casa?
Cintio.                                               Sì.
Fazio.                                                    Chiamatelo
Da parte, o vi serrate nella camera
Con lui.
Cintio.               Così farò.
Fazio.                              Ma ecco Massimo,
Che a tempo vi dà loco. Resti Temolo

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Con esso voi; ch’io voglio ire a pôr ordine
Che abbiam questi danar che ci bisognano.


SCENA IV.

MASSIMO, CINTIO.


Massimo.Cintio.
Cintio.            Messere.
Massimo.                         Odimi un poco. Voglioti
Pur dir quel che più volte ho avuto in animo,
Ed ho fin qui taciuto, non fidandomi
Del mio parere: or, quando altri concorrere
Ci veggo ancora, tel vô dir. La pratica
La quale hai col vicino nostro Fazio,
Non mi par molto buona nè lodevole.
Mal si confanno insieme i vecchi e i gioveni.
Cintio.Messer, cotesto parlare è contrario
A quel che dir solete, che li gioveni
Praticando coi vecchi, sempre imparano.
Massimo.Male imparar si può dove il discepolo
Sa più del suo maestro.
Cintio.                                      Gli è da credere,
Ma non v’intendo.
Massimo.                                 Te l’ho, dunque, a lettere
Di speciali a chiarir? Mal convenevole
Mi par ch’un vecchio tenga così intrinseca
Dimestichezza teco, il qual sì giovane
E sì bella figliuola abbi; e ti tolleri
Che da mattina a sera tu gli bazzichi
Per casa, essendovi egli e non essendovi.
Per il tempo passato, che dal vincolo
Della moglie eri sciolto, sempre vivere
T’ho lasciato a tuo modo, nè molestia
Mi dava che ’l vicino avesse infamia
Per te; chè, del suo onor poco curandosi
Egli, molto men io debbo curarmene.
Ma or c’hai moglie a lato, e che i tuoi suoceri
Si son doluti meco di tal pratica,
Ed han sospetto che queste sue femmine
T’abbiano così guasto; voglio rompere
Lo scilinguagnolo, e dir che malissima-

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mente fai, più tenendo cotal pratica.
Cintio.Non è per mal effetto s’io gli pratico
In casa, e non è tra me e quella giovane
Alcun peccato: così testimonio
Me ne sia Dio. Ma chi può le malediche
Lingue frenar, che a lor modo non parlino?
Massimo.Pur ciance! che vi fai tu? che commerzio
Hai tu con lor?
Cintio.                         Non altro che amicizia
Onesta e buona. Ma in quali case essere
Sentite donne voi, ch’abbiano grazia,
Che tutto il dì non vi vadano i gioveni,
Essendo o non essendovi i lor uomini,
A corteggiar?
Massimo.                       Nè l’usanza è lodevole:
Cotesto al tempo mio non era solito.
Cintio.Doveano al vostro tempo avere i giovani
Più che non hanno a questa età malizia.
Massimo.Non già; ma ben i vecchi più accorti erano.
Mi maraviglio che al presente gli uomini
Non sieno affatto grassi come tortore.
Cintio.Perchè?
Massimo.             Perchè hanno tutti sì buon stomaco.
Torna in casa, e tien compagnía all’astrologo;
Ch’io voglio ire a un mio amico, che mi accomodi
D’un suo bacin d’argento, ch’è assai simile
Al mio, poichè non basta un solo, e vuolene
Due. Di quest’altre cose che bisognano,
N’ho in casa molte; e di parecchie datoli
Ho li danari, acciocchè esso le comperi
Secondo che gli piace. Io mi delibero,
Che s’io dovessi ciò c’ho al mondo spendere,
Per me non stia che tosto non ti liberi.




Note

  1. Di questa frase imprecativa può vedersi la nota 1 a pag. 345.
  2. Non mettasi a far punta (o puntaglia), cioè a resistergli. Modo non registrato; ma però molto rassomigliante a quello che la Crusca propone senza esempî: Star punta punta.
  3. Sottintendesi: veggo volentieri.
  4. Da pronunziare: giuns’ieri. E vedi la nota 1 a pag. 299.
  5. Così, col Barotti, i moderni editori. Le antiche stampe, con duro suono e troppo facile scambio: da me riabbi.
  6. Così, rettissimamente, il Giolito, e la stampa del Barbèra sopravveduta dal Tortoli. Il Barotti, il Pezzana e il Molini mostrarono di non aver meditato questo passo, ponendo ora.
  7. Ant. stamp., con offesa del metro: fecero.
  8. I moderni, forse temendo l’equivoco, fecero imprimere (qui e nel v. 15 della sc. 4): speziali. E così ha pure la stampa del Bortoli.
  9. Esempio notabile di quest’uso dell’articolo del genitivo, che secondo la Crusca dovrebbe dirsi posto per semplice ripieno.
  10. Ed. Giol.: nibio.
  11. Questi esempi (i soli conosciuti fin qui) di magica, per Magia o Arte magica, furono già raccolti nel vocabolario del Manuzzi.