La Lena/Atto quinto

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Atto quinto

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Atto quarto
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ATTO QUINTO.




SCENA I.

CORBOLO, PACIFICO, STAFFIERI.


Corbolo.Vien fuora, vien più in qua, più ancora: partiti
Di casa un poco. Tu mi par più timido
Con l’arme in mano, che non dovresti essere
Se l’avessi nel petto. Di chi dubiti?
Pacifico.Del capitan della piazza, che cogliere
Mi potría qui con questo spiedo, e mettermi
In prigion.
Corbolo.                  No, ch’io gli daría ad intendere.
Che fusse un sbirro o il boja; e crederebbelo,
Chè dell’uno e dell’altro hai certo l’aria.
Rizza la testa. Eh, par che vogli piangere!
Sta ritto, sta gagliardo, fa il terribile,
Fa il bravo.
Pacifico.                    E come fassi il bravo?
Corbolo.                                                       Attaccala
Spesso a Dio e Santi: tienlo così: volgiti
In qua: fa un viso scuro e minaccevole.
Ben son pazzo, che far voglio una pecora
Simigliare un leon. Ma veggo giungere
A tempo due staffieri di don Ercole,1
Che dove costui manca pôn soccorrermi;
Voglio ire a lor. Buondì, fratelli.
Staffieri.                                                    O Corbolo,
Buondì e buon anno. Come la fai? Vuône tu
Dar bere?
Corbolo.                    Sì, volentieri; ma pensovi
Di dar meglio che bere.
Staffieri.                                        Che?
Corbolo.                                                Fermandovi
Qui meco una mezz’ora, voglio mettervi

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Un contrabbando in man, da guadagnarvene
Al manco un pai’ di scudi per uno.
Staffieri.                                                          Eccoci,
Del ben che ne farai per averti obbligo.
Corbolo.Io vi dirò. Questi Giudei che prestano
A Riva,2 jer compraro una grandissima
Quantità di formaggio, e caricatolo
Han su due carra, ed in modo copertolo
Sotto la paglia, che non potría accorgersi
Alcun che cosa fosse, non sapendolo
Com’io che ’l so da quel da chi lo comprano;
E senza aver tolta bolletta, o dazio
Pagato alcun, per queste vie il conducono.
Or, non volendo io discoprirmi, avevone
Parlato a questo mio vicino, e postogli
Quel spiedo in mano, acciocchè, come passino
Le carra, frughi nella paglia e trovivi
Il contrabbando. Io saría qui a intromettermi
D’accordo perchè li Giudei non fossero
Accusati da lui; ma pusillanimo
È costui sì, che non voglio impacciarmene
Per suo mezzo. Or, se a parte volete esserci
Voi, volentier v’accetto.
Staffieri.                                          Anzi pregartene
Vogliamo, ed il guadagno promettiamoti
Partir da buon compagni.
Corbolo.                                             Ora, fermatevi.
Tu qui e tien l’occhio, chè se là passasseno
Le carra, in un momento possi corrervi;
E tu a quest’altra via farai la guardia.
(Post’ho l’artigliaría a li canti. Facciano
Qui testa ormai le bugíe che fuggivano
Cacciate e rotte, e tornando con impeto,
Ilario, che le avea cacciate, caccino.
Ma eccolo uscir fuor: purch’elle possino
A questo duro principio resistere,
Non temo non averne poi vittoria.)


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SCENA II.

ILARIO, CORBOLO a parte.


Ilario.Oh come netta me la facéa nascere
Quel ladroncel, se non m’avesse Domene-
dio così a tempo mandato quel giovene,
Il quale a caso non già volontaria-
mente m’ha fatto pôr gli occhi alla trappola,
Nella qual per cader ero sì prossimo!
Voléa, credo, egli Flavio indurre a vendere
Le robbe di nascoso, ed in lascivie
Fargli il prezzo malmettere, e sottrargliene
Per se la maggior parte; ed io, credendogli,
Avéa di fare un’altra veste in animo
Ed un’altra berretta, per rivolgergli
L’affanno in gaudio, ch’io credéa che mettersi
Devesse pur, come di vera perdita.
Ma non mi so pensar perchè tai termini
Usi meco il mio Flavio, che ’l più facile
Padre gli sono, e quel che più mi studio
Di compiacere3 in ogni desiderio
Onesto, ch’altri che sia al mondo. Voglione
Solo incolpar questo ghiotton di Corbolo,
Ch’io non intendo che mi stia più un attimo
In casa. Io vô cacciarlo, come merita.


SCENA III.

ILARIO, CORBOLO.


Ilario.Ancora hai, brutto manigoldo, audacia
Di venire ov’io sia?
Corbolo.                              Deh, questa collera
Ponete giù; e,4 per dio! non vi contamini
La pietade.

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Ilario.                  Oh, tu piangi!
Corbolo.                                           E voi più piangere
Dovreste, chè vostro figliuol...
Ilario.                                                     Dio, ajutami.
Corbolo.È in pericol.
Ilario.                      Pericolo?
Corbolo.                                    Sì, d’essere
Morto, se non ci si ripara subito.
Ilario.Come come? di’ di’: dov’è?
Corbolo.                                              Pacifico
L’ha côlto con la moglie in adulterio.
Vedetelo colà, che vorría ucciderlo
Con quel spiedo, e chiamato ha quei duo gioveni
Suoi parenti; ed aspetta anco che venghino
Tre suo’ cognati.
Ilario.                           Egli dov’è?
Corbolo.                                              Chi? Flavio?
Là dentro questi rubaldi lo assediano.
Ilario.Dove là dentro?
Corbolo.                            In casa là di Fazio.
Ilario.Èvvi Fazio?
Corbolo.                     Se vi fusse, il pericolo
Non mi parrebbe tanto. Ècci una giovane
Sua figlia, senza più: consideratela
Or voi, che ajuto può aver da una femmina!
Ilario.Se con la moglie in casa sua Pacifico
L’ha côlto, come è in casa ora di Fazio?
Corbolo.Io vi dirò la cosa da principio.
Ilario.Dilla, ma non ne scemar, nè ci aggiungere.
Corbolo.La dirò appunto come sta. Ma vogliovi
Prima certificar che quella favola,
La qual dianzi contai, che stato Flavio
Era assalito, e che tolto gli aveano
Li panni, non la finsi già per nuocervi;
Ma perchè voi, con minor displicenzia,
Mi déssi li danar che potéan súbito
Liberar vostro flgliuol dal pericolo
In che or egli si trova: e mancatami
Quella via essendo, è in molto peggior termine
La vita sua, che non fu dianzi.
Ilario.                                                  Narrami
Come sta il fatto.

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Corbolo.                              Flavio, oggi credendosi
Che fosse fuor Pacifico, e credendolo
Anco la donna, in casa nella camera
S’era con lei ridotto; e mentre stavano
In piacer, quel beccaccio, che nascososi
Non so dov’era, saltò per ucciderlo
Fuor con lo spiedo.
Ilario.                                 Il côr mi trema.
Corbolo.                                                            Flavio
Pregando fè pur tanto, e supplicandoli,
E di donar danari promettendoli,
Che gli lasciò la vita.
Ilario.                                     Or mi risusciti,
Se con danar la cosa si pacifica.
Corbolo.Non ho detto5 anco il tutto.
Ilario.                                              Che ci è? seguita.
Corbolo.In venticinque fiorin si convennono,
Che prima che d’insieme si partissono,
Sborsati fosson. Mandò per me Flavio,
E la berretta e la robba traendosi,
Mi commise ch’io andassi a pregar Giulio
Che gli facesse pagar questo numero
Di danar sopra, ed egli per istatico
Quivi si rimarrebbe: poi quel giovine
Ci turbò, come voi sapete; e Flavio
Per lui, se non ci riparate, è a termine
Che Dio l’ajuti.6
Ilario.                              Perchè debbe nuocerli
Se son d’accordo?
Corbolo.                                Udite pur. Pacifico
Tenendosi uccellato, con più furia
Che pria, corse allo spiedo, e senza intendere
Alcuna scusa, volea pur ucciderlo.
Ilario.Facesti error, che non venisti subito
Ad avvisarmi. Al fin che avvenne? seguita.
Corbolo.Non so perchè, non l’occise; e credetemi
Che ben Dio e Santi Flavio ebbe propizii.
Ilario.Un manigoldo poltrone ha avuto animo
Di minacciar un mio figliuol d’ucciderlo?

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Corbolo.Se non che vostro figliuol, riparandosi
Con un scanno che prese, e ritraendosi
Pur sempre all’uscio, saltò fuora, avrebbelo
Morto.
Ilario.          Si salvò, in somma.
Corbolo.                                           Nol vô mettere
Per salvo ancor.
Ilario.                           Tu mi occidi.
Corbolo.                                                  Incaciandolo
Tuttavía quel ribaldo, e non lasciandolo
Slungar molto da sé, fu forza a Flavio
Che si fuggisse in casa là di Fazio:
E così v’è assediato.
Ilario.                                   Vedi audacia
D’un mendico, furfante, temerario!
Corbolo.E più c’ha fatto e cerca far d’altri uomini
Ragunanza, e d’entrar là dentro ha in animo.
Ilario.Entrar là dentro? Non son così povero
Di facultà e d’amici, che difendere
Io non lo possa, e far parer Pacifico
Un sciagurato.
Corbolo.                         Non vogliate mettervi
A cotal prova, avendo altro rimedio:
Che far le ragunanze è contra gli ordini
Del signor, e ci son pene arbitrarie;
Ed accader potrebbonvi omicidii.
E quando ancor provvediate (il che facile
Credo vi sia) che non noccia Pacifico a 7
Flavio nella persona (anzi vô credere
Che voi e Flavio più siate atti a nuocere
A lui); pur non farete, riducéndosi
Al podestà costui, come è da credere
Che sia per far, che ’l podestà procedere
Non abbia contra a Flavio: e quali siano
Nei statuti le pene degli adulteri;
Ed oltra gli statuti, quanto arbitrio
Il podestade abbi potere accrescere,
Secondo che degl’inquisiti vagliono
Le facultà, non secondo che mertano
Le pene e i falli, pur vi dovrebbe essere

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Noto. Padron, guardate che con lacrime
E dolor vostro non facciate ridere
Questi di corte, che tuttavía tengono
Aperti gli occhi a tai casi, per correre
A domandar le multe in dono al principe.
Venticinque fiorini è meglio spendere
Senza guerra, d’accordo, che in pericolo
Porvi di cinquecento o mille perderne.
Ilario.Meglio è ch’io stesso parli con Pacifico,
E vegga un poco il suo pensier.
Corbolo.                                                       Non, diavolo!
Non andate, chè, tratto dalla collera,
Non trascorresse a dirvi alcuna ingiuria
Da dovervene poi sempre rincrescere.
Lasciate pur ir me, che spero volgerlo
In due parole, e farlo cheto ed umile.
E fia più vostro onor, se qui condurvelo
Potrò.
Ilario.          Va dunque.
Corbolo.                            Aspettatemi qui.
Ilario.                                                       Odimi
Fagli profferte, ma non ti risolvere
In quantitade alcuna; che ’l conchiudere
Del pregio, voglio che stia a me. Promettigli
Generalmente: tu m’intendi.
Corbolo.                                               Intendovi:
Tuttavía non guardate di più spendere
Un pajo o due di fiorini.
Ilario.                                        A me lasciane
Cura, che in questo son di te più pratico.


SCENA IV.

ILARIO.


Penso che sarà cosa salutifera
Che prima ch’io mi abbocchi con Pacifico,
Ritrovi Fazio. Io voglio pure intendere
Da lui, se dee patir che costor faccino
A mio figliuolo in casa sua violenzia;
Ed anco sarà buono a por concordia
Tra noi, ch’io so che molto è suo Pacifico.

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Io l’avrò qui alla barbería, ove è solito
Di giôcar, quanto è lungo il giorno, a tavole.


SCENA V.

CORBOLO, STAFFIERI, PACIFICO.


Corbolo.Fratelli, andate pur; non state a perdere
Tempo, che ’l padron mio, dal quale comprano
Il formaggio i Giudei, mi dice ch’eglino
Han mutato proposito, e che tolgono
Pur la bolletta, ed han pagato il dazio.
Staffieri.Era però un miracolo che fossimo
Sì avventurosi.
Corbolo.                         Accettate il buon animo:
Non è per me restato di farvi utile.
Staffieri.Lo conosciamo, e te ne avrem sempre obbligo.
Corbolo.Son vostro sempre, fratelli.
Staffieri.                                                Addio, Corbolo.
Pacifico.Come hai fatto?
Corbolo.                            Benissimo: ti fieno
Venticinque fiorin dati da Ilario,
Pregandoti e di grazia domandandoti,
Che tu li accetti; se però procedere
Vorrai com’io diròtti, e servi i termini
Nel parlar tuo, che poi ti farò intendere,
Riposto che lo spiedo abbi. Or non perdere
Tempo, riponlo, ed a me torna subito.
Odi.
Pacifico.        Che vuoi?
Corbolo.                          Poichè non hai più dubbio
Che li danar promessi non ne venghino,
Fa che tua moglie eschi di là, e dia comodo
Che questi amanti insieme si sollazzino
Prima che torni la fante, o che8 Fazio.
Pacifico.Ci sarà tempo: ancora che la Menica
Tornasse, avrò ben luogo dove spingerla
Di nuovo. Da temer non hai di Fazio,
Che mai tornare a casa non è solito

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Fin che le ventiquattro ore non suonino.
Corbolo.Orsù, ripon lo spiedo, e vien, chè Ilario
Li venticinque fiorini ti annoveri.


SCENA VI.

CORBOLO.


Ben succede l’impresa; avrà l’esercito
Delle bugíe, dopo tanti pericoli,
Dopo tanti travagli, al fin vittoria,
Mal grado di fortuna che a difendere
Contra me tolto avéa il borsel d’Ilario.
Ma dove entra colui? Vien vien, Pacifico,
Vieni, esci fuor, corri presto, soccorrici.


SCENA VII.

PACIFICO, CORBOLO.


Pacifico.Eccomi, eccomi qui.
Corbolo.                                   Corri, Pacifico:
Provvedi che colui non vegga Flavio.
Pacifico.Chi colui?
Corbolo.                  Come ha nome questo giovine
Vostro? Che tardi? Va dentro e conoscilo.
Menghino, il dirò pur.
Pacifico.                                     Menghino? diavolo!
Corbolo.Menghino sì, Menghin. Ve’ negligenzia
Di bestia! Ma più bestia io, che rimettermi
Voglio a costui che è lento più che un trespolo.
Ed ecco che ritorna anco la Menica.
Da tante parti sì le forze crescere
Veggo ai nemici, che mi casca l’animo
Di potere a tanto impeto resistere.


SCENA VIII.

MENICA.


Alla croce di Dio, mai più servizio
Non fo alla Lena. M’ha di là dagli Angeli

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Mandata più di mezzo miglio, e andatane
Son sempre quasi correndo, per essere
Tornata tosto; ed or sì stanca e debole
Mi sento, che mi posso appena muovere.
L’andata non m’avría avuto a rincrescere
Quando avessi trovata quella femmina
Ch’io cercavo. Son ita, come il povero
Che va accattando per Dio la elemosina,
D’uscio in uscio per tutto domandandone;
Nè mai saputo ho ritrovare indizio
D’alcuna Dorotéa che insegni a leggere;
Nè in tutto Mirasol nè lì presso abita.
Per quant’ho inteso, chi Pasquin si nomini.
Peggio mi sa che mio padron trovata mi
Ha, che qui vien con Ilario, ed è in collera,
Non so perchè; e poi che dimandatami,
Gli ho detto d’onde io vengo, e che mandatami
Avéa la Lena, m’ha fatto un grandissimo
Rumor, e minacciata d’un buon carico
Di busse, se mai più le fo servizio.
Io l’ubbidirò ben. Se posso mettermi
A seder, già non credo che mi facciano,
S’io non sento altro che parole, muovere.


SCENA IX.

ILARIO, FAZIO.


Ilario.Io son ito a trovar Fazio, pensandomi
Che sia buon mezzo a pôr d’accordo Flavio
Ed a pacificarlo con Pacifico;
Non sapendo io che tanto in questa femmina
Sia innamorato, che n’è guasto fracido.9
Or tosto ch’io gli ho detto che Pacifico
L’ha trovata in segreto col mio Flavio,
È salito in tanta ira, in tanta rabbia
Per gelosia, che assai m’è più difficile
A placar lui, che ’l marito. Ma eccolo.
Studiate un poco il passo, sì che giungere

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Potiamo prima che segua altro scandolo:
Fatel, se mai da voi spero aver grazia.
Fazio.Non posso, nè possendo mai vô, Ilario,
Patir, che dopo tanti beneficii
C’ha ricevuti ed era per ricevere
Da me questa gaglioffa, così m’abbia
Tradito. Son disposto vendicarmene.
Ilario.S’ella v’ha fatto ingiuria, vendicatevi;
Non vi prego per lei: ma sol che Flavio
Mio non lasciate offender da Pacifico
In casa vostra.
Fazio.                           D’un fanciul volubile
Ha fatto elezïon, che potrebb’essere
Suo figliuolo, e sperar non ne può merito,
Se non che se ne vanti e le dia infamia.
Ilario.Non credéa mio figliuolo già d’offendervi;
Chè, se creduto egli avesse esser pratica
Vostra costei, so che v’avría grandissimo
Rispetto avuto, come ha riverenzia.
Fazio.Questa è la causa che m’era da quindici
Giorni in qua ritornata sì salvatica!
Ilario.Rispondetemi un poco senza collera.


SCENA X.

MENGHINO, PACIFICO, LENA e detti.


Menghino.Io l’ho veduto, non varrà nasconderlo.
Ilario.Ah che noi siam troppo tardati! gridano
Là in casa vostra. Deh, Fazio, ajutatemi.
Menghino.Lo voglio ire a trovare, e fargli intendere
Le belle opere vostre.
Pacifico.                                     Menghino, odimi.
Menghino.Pur troppo ho udito e veduto!
Pacifico.                                                    Non essere...
Fazio.Che cosa è questa?
Pacifico.                                 Tu cagion d’accendere
Tanto fuoco.
Menghino.                       Vô dirlo, sebben perdere
Nè dovessi la testa.
Fazio.                                 Deh, fermatevi:
Stiamo un poco a udir qui di che contendono.

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Pacifico.Férmati qui, Menghin; férmati, ascoltami.
Menghino.Lasciami andar, Pacifico; non credere
Che per te resti di nol dir.
Lena.                                               Che diavolo
Potrai dire in cento anni? Che la fistola10
Ti venga! e c’hai veduto tu, brutto asino?
Menghino.Ho veduto Licinia e questo giovane
Figliuol d’Ilario...
Ilario.                                Lena, e non Licinia,
Vols’egli dire.
Menghino.                         Che abbracciati stavano.
Lena.Tu mènti per la gola.
Menghino.                                     Or ecco Fazio.
Padron, vi dirò il ver; non vi voglio essere
Traditor. Vostra figliuola...
Fazio.                                               Oh, la bestia!
T’ho ben udito. Che? Vuoi farlo intendere
A tutto questo vicinato? Ilario,
Non sarà mai, per dio, vero ch’io tolleri,
Che vostro figliuol mi faccia sì notabile11
Scorno, e che a mio poter non me ne vendichi.
Che favole, che ciance fatto credere
M’avete della Lena e di Pacifico?
Ilario.Così l’avevo udito anch’io da Corbolo.
Fazio.Ma questa non è ingiuria da passarsene
Sì leggermente; è di troppa importanzia!
Ilario.Per vostra fede, Fazio...
Fazio.                                        Deh, Ilario,
Mi meraviglio ben di voi: l’ingiuria
Vi par di sorte, ch’io debbia si facile-

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mente patir? Se voi sête più nobile
E più ricco di me, non però d’animo
Vi sono inferior. Prima che Flavio
M’esca di casa, per lui darò esempio
Che non si debbon li miei pari offendere.
Ilario.Pel filïale amor, del qual notizia
Avete voi com’io, vi prego e supplico
Che di me abbiate pietade e di Flavio.
Fazio.E l’amor filïale appunto m’eccita
A vendicar.
Ilario.                    Per l’antiqua amicizia
Nostra!
Fazio.             Sarebbe ancora a voi difficile
Il perdonar, essendo ne’ miei termini.
Fo del mio onor più conto (perdonatemi,
Il vô dir), che della vostra amicizia;
E quanto ho al mondo vô più tosto perdere,
Che quello; e senza quello non vô vivere.
Ilario.Se modo ci sarà di non lo perdere?...
Fazio.Con voi a un tratto mi voglio risolvere.
Quando vostro figliuol la mia Licinia
Sposi, e l’onor perduto le ricuperi,
Saremo amici: altramente...
Ilario.                                               Fermatevi.
Credo che cinquant’anni oggimai passino
Che voi mi conoscete, e che del vivere
Mio abbiate quanto alcun altro notizia;
E se sempre le cose oneste e lecite
Mi sien piaciute, sapete benissimo;
E se stato vi son sempre benivolo,
E sempre pronto a farvi onore ed utile,
Sapete ancor: chè qualche esperïenzia
Ve n’ha chiarito. Or non pensate ch’essere
Possa voglia diverso dal mio solito.
Lasciatemi parlar con Flavio, e intendere
La cosa appunto; e state di buon animo:
Ch’io farò tutto quel che convenevole
Mi sia per emendarvi questa ingiuria.
Fazio.Entriamo in casa.
Ilario.                              Entrate, ch’io vi seguito.


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SCENA XI.

PACIFICO, LENA.


Pacifico.Or vedi, Lena, a quel che le tristizie
E le puttanerie tue ti conducono.
Lena.Chi m’ha fatta puttana?
Pacifico.                                          Così chiedere
Potresti a quei che tuttodì s’impiccano:
Chi li fa ladri? Impútane la propria
Tua volontade.
Lena.                          Anzi la tua insaziabile
Golaccia, che ridotti ci ha in miseria:
Chè, se non fussi stata io che, per pascerti,
Mi son di cento gaglioffi fatta asina,
Saresti morto di fame. Or, pel merito
Del bene ch’io t’ho fatto, mi rimproveri,
Poltron, ch’io sia puttana?
Pacifico.                                                Ti rimprovero
Chè lo dovresti far con più modestia.
Lena.Ah, beccaccio! tu parli di modestia?
S’io avessi a tutti quelli che propostomi
Ogn’ora hai tu, voluto dar ricapito,
Io non so meretrice in mezzo al Gambaro,12
Che fosse a questo dì di me più pubblica.
Nè questo uscio dinanzi per riceverli
Tutti bastar paréati, e consigliavimi
Che quel di dietro anco ponessi in opera.
Pacifico.Per viver teco in pace, proponevati
Quel ch’io sapeva che t’era grandissima-
mente in piacere, e che vietar volendoli,
Saría stato il durar teco impossibile.
Lena.Deh, che ti venga il morbo!
Pacifico.                                                Io l’ho continua-
mente teco. Bastar, Lena, dovrebbeti
Che della tua persona a beneplacito
Tuo faccia sempre, e ch’io lo vegga e tolleri,
Senza volerci ancor porre in infamia
Di ruffianar le figliuole degli uomini
Da ben.

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Lena.               S’io avessi a star tuttavía giovane,
Il mantenere amendue col medesimo
Modo usato fin qui mi saría agevole:
Ma come le formiche si proveggono
Pel verno, così è giusto che le povere
Par mie per la vecchiezza si proveggano;
E che mentre v’hanno agio, un’arte imparino,
Che, quando sia il bisogno, poi non abbiano
Ad imparar, ma vi sien dotte e pratiche.
E che arte poss’io far che più proficua
Ci sia di questa, e che mi sia più facile
Ad imparar? Che vuoi ch’io indugi all’ultimo,
Quand’io sarò nel bisogno, ad apprenderla?
Pacifico.Se contra ogni altro avessi questi termini
Usati, mi saría più tollerabile
Che contra Fazio, al quale abbiam troppo obbligo.
Lena.Deh, manigoldo, ti venga la fistola!13
Come tu non sia stato consapevole
Del tutto! Or che’l disegno ha cattivo esito,
Me sola del comun peccato biasimi:
Me se i contanti compariti fussono,
La parte, e più che la parte, volutone
Avresti ben.
Pacifico.                      Non più, ch’esce la Menica.


SCENA XII.

MENICA, LENA.


Menica.Lena, si fa cosi? Ti par che meriti
Fazio da te che gli facci una ingiuria
Di questa sorte?
Lena.                           E che ingiuria? che diavolo
Gli ho fatto?
Menica.                      Nulla!
Lena.                                 Nulla, appunto. Ai strazii
Che fa di me, non è così notabile
Ingiuria al mondo, che da me non meriti.
Menica.Tu gli hai scoperto, Lena, il tuo mal animo;

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Nè però fatto nocumento, anzi utile:
Chè sei stata cagion che maritata la
Figliuola ha in così ricco e nobil giovine,
Quanto egli stesso avría saputo eleggersi.
Lena.Gliela darà pur per moglier?
Menica.                                                Già data glie
L’ha: si sono accordati, egli ed Ilario,
In due parole.
Lena.                         Anco che questo misero
Vecchio mi sia più che le serpi in odio,
Pur ho piacer d’ogni ben di Licinia.
Menica.Se tu perseverassi in questa collera,
Saresti, Lena, la più ingrata femmina
Del mondo. Egli, con tutto che giustissima
Cagione avría di far tutto il contrario,
Pur non può star che non t’ami, e nascondere
Non può la passïon che dentro il crucia,
Nè non pentirsi delle dispiacevoli
Parole ch’oggi ebbe teco; che giudica
Che t’abbin spinta a fargli questa ingiuria.
E’ m’ha detto che quando udì da Ilario
Che tuo marito t’avea con quel giovine
Trovata, fu per affanno a pericolo
Di cader morto; e che poi ritrovandosi,
Come era appunto il ver, che caricatala14
Avéa costui non a te, ma a Licinia,
Tutto restò riconsolato, e parveli
Risuscitar. Or vedi se ci è dubbio
Che teco presto non si riconcilii,
Massimamente che gli torna in utile
Questo error tuo.
Lena.                              Faccia egli pur, e piglila
Come gli pare. Se sarà il medesimo
Verso me, ch’egli suol, me la medesima
Verso sè troverà, che suole.
Menica.                                                Or voglioti
Dir, Lena, il vero. A te mi manda Fazio,
Il quale è tuo come fu sempre, e pregati

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Che tu ancor sua similmente vogli essere;
E questa sera invita te e Pacifico
A nozze; e intende che non sol Licinia
E Flavio questa notte i sposi sieno.
Lena.Io son per far quanto gli piace. — Or diteci,
Voi spettatori, se grata e piacevole,
O se nojosa, è stata questa Favola.




Note

  1. Don Ercole da Este, figlio del duca Alfonso I, che succeduto al padre, fu il penultimo duca di Ferrara. — (Barotti.)
  2. Vedi il verso settimo della scena VI dell’atto III.
  3. Le più moderne edizioni: Di compiacerlo.
  4. Manca nelle antiche: e, Non vi contamini la pietade, pare qui doversi spiegare: Non vi offenda l’animo (od anche la sanità) la pietà del caso che sono per narrarvi. Delle gravi commozioni che altri soffra, il volgo suol dire che le contaminano (più comunemente, guastano) il sangue.
  5. Così il Barotti, cogli altri moderni editori. Men bene le stampe antiche: No, udite.
  6. È a termine tale, che Dio solo può ajutarlo.
  7. Così l’edizione del Giolito. Il Barotti e gli altri omettono a.
  8. Così le antiche, sottintesovi il verbo. I moderni mutarono, come sembra: ovver.
  9. Le stampe moderne e quella del Bortoli: guasto e fracido. Ma i due addiettivi, come nella nostra, accoppiati, prendono forza di superlativo.
  10. Così la stampa del Giolito, come nella seguente scena undecima: «Deh manigoldo, ti venga la fistola.» Il che ci persuade a non curare la difficoltà che qui nasceva per la ridondanza di una sillaba, ove copiando in tutto la stampa suddetta, si fosse da noi dato a leggere: Potrai tu dire. I moderni pongono invece: che ’l fistolo; della qual voce il senso sarebbe il medesimo, sebbene di Fistolo come sinonimo di Fistola non accenni la Crusca fuorchè indirettamente nel proverbio: Fare d’una bolla o d’una pipita un fistolo.
  11. Anche questo verso ridonda di una sillaba; ma non volemmo per tal cagione far luogo all’alterazione recata, come pensiamo, a questo luogo dagli editori, scrivendo:
                                       «Che ’l figliuol vostro scorno sì notabile
                                       Mi faccia, e a mio poter ec.»
    Più verisimile ci sembra che il poeta medesimo s’ingannasse misurando la voce figliuol alla stregua della pronuncia vernacola: fiol.
  12. Vedi la nota 2 a pag. 302.
  13. I moderni, qui pure, racconciando il metro: che ti venga il fistolo. Vedi la nota 1 a pag. 345.
  14. Caricarla ad alcuno, pare che, nella sua origine, sia modo ellittico, sottintendente la soma addosso, o simile. Anzi, in certi vivi parlari, usasi l’attivo Caricare nelFonte/commento: E.C. pag. 563 senso che i Latini dicevano comprimere. Ciò avvertito, rileggasi il paragrafo che tal frase riguarda nei vocabolari.