Il Novellino/Parte terza/Prologo

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Prologo

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Parte terza Parte terza - Novella XXI
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masuccio.


Finito il mio maritimo viaggio di vezzosi e piacevoli ragionamenti accompagnato, el nautile legno a terra subdutto, e le sue vele piegate, e i saluti raccolti, remi e temone riposti in assetto, e ad Eolo e a Nettuno quelle debite grazie rendute che di esprimere me sono state concesse, lasciati del tutto li dilettevoli liti, mi pare omai assai dovuta cosa la mia lunga deliberatione in parte ad effetto mandare; e camminando per aspri e ombrosi sentieri, questa Terza Parte del mio Novellino con meno fiero ed acerbo parlar che la prima insino a la fine continuare. E in quello1 con desiderio non piccolo i miei veloci passi dirizzando, la battuta strata medesima mi condusse all’entrare di un folto ed [p. 238 modifica]orrido bosco, difeso da nodosi tronchi e pungenti spine quivi da loro naturalità prodotti; l’entrata del quale quanto a me, che solo e inerme mi vedea, fosse spaventevole e dura, ciascuno sei può considerare. E certo dal timore quasi perterrito il mio fervente disio si cominciò ad intepidire, e più volte a volgere i miei passi indietro fui vicino. E così confuso stando mi apparve dinanzi un vecchio con prolissa barba di canuto pelo ornata, il quale nel primo aspetto di gran presentia e di veneranda autorità il giudicai, la forma e abito del quale non pareva umana, ma più tosto a deità celeste sembiava. E io che mi ricordava in marmorea scoltura averlo de sua natural forma veduto ritratto, conobbi di tutto lui essere Mercurio eloquentissimo Dio; per la cui apparenza il mio timore fatto maggiore, non solo non ardia d’appressarmegli, ma anco in volto guardarlo dubitava. Di che da lui cognosciuto il mio dottare, da sé medesimo con piacevol vista rassicuratomi, e con sue soavi parole chiamandomi per nome, datami non piccola baldanza, mi disse: Masuccio mio, come tu a te medesimo puoi render maggiore testimonianza, da li teneri anni ti ho cognosciuto più de ingegno che de lettere da la natura dotato; e al presente vedendoti sì di pensieri carico e confuso star per entrare in questo devio e ombroso bosco, e con la venente parte de la tua operetta remordendo la malignità e infinite scelleragini de inique femmine, volere quelle mordere e crucciare, sono costretto ad avere di te compassione. Darotti adunque maniera, ancora che tanto difficultoso te pare il camminare, come facilmente possi in tale travagliato laberinto entrare, e da quello uscir [p. 239 modifica]con vittoria. E però entra nell’inculto bosco, nel quale non molto avrai camminato che troverai a man sinistra una usitata strada, ove ben mirando cognoscerai i lasciati vestigi del vetusto satiro Giovenale, e del famoso commendato poeta Boccaccio, l'ornatissimo idioma e stile del quale ti hai sempre ingegnato de imitare, Segui dunque di costoro l’orme, che di certo largo e amplissimo campo avrai da camminare, e camminando in ogni parte ti scontreranno cose nuove e admirande, che di novo stupore de continuo ti daranno cagione, e in maniera che alla tua faticata penna non sarà concesso un solo punto in ocio dimorare. Però che di questo putrido, villano, e imperfettissimo muliebre sesso niuna esquisita eloquenza saria sufficiente a bastanza poterne parlare; a li tradimenti e prave operationi del quale, non che gli umani sentimenti ma degli immortali Dei non bastaro mai a repararci. E tacerommi degl’infiniti inganni fatti per tale perversa generatione e al sommo nostro padre Giove, e al radiante Apollo, a noi, e agli altri Dei, ai quali le cose dubbie son chiare, e le future le se fanno presenti. Ma i celesti Numini lasciando per non deviarti dal tuo destinato cammino, ti conforto a continuare de l’infido e variabile femineo ceto a novellare, che la loro strata di passo in passo d’ogne lascivia troverai ripiena. Però sii provvisto, che nel mezzo e più folto del bosco vederai molto discosto e lungi dal cammino un dilettevole e specioso giardino da marmoree mura difeso, e le porte d’alabastro di mirifice scolture ornate: quanto e quale sia di verdi lauri, e di freschi olivi, e d’altri vari ed eletti arboscelli, di soavi frutti, e di odoriferi fiori ripieno, avendolo tu a [p. 240 modifica]vedere, soperchio saria a noi il ricontare. Questo è chiamato il sacrario della pudicizia, il quale da tutte le deità celesti è stato consacrato ed eletto per proprio, e comunemente della nostra Ipolita Maria de’ Visconti, della quale tu hai tante carte ripiene, e il suo nome di continuo e meritamente con somme lodi onori, celebri ed esalti. Nel quale insieme conviene illustrare le infanti Donna Lionora e Beatrice d’Aragona, sue cognate, piene di onesta modestia e leggiadria, con candidissimi armellini in grembo trionfando2, e che con le proprie virtù superando la natura si aveno di gemme orientali ornate le loro regali tempie, e con li dorati purpurei manti avvolte, si son fatte esenti dalla feminea plebe e consortio. Nel colmo del quale3 vedrai una bandiera con un bianchissimo animaletto nel verde campo figurato, sopra di sé stando col piede alzato per non passare il fango, da la bocca del quale esce un motto di indorate lettere che dicono: Malo mori quam foedari.4 Ed oltre a ciò raffigurerai le bande del giardino di ricchissimi drappi azurri ornate, seminati a orcioli5 [p. 241 modifica]di verghe d’oro ripieni, in mezzo da le calenti fiamme dimorare, reaffinando la integrità e perfectione dell’oro: questa tale notevole insegna tu sai che essa diva Madonna fa per sua conveniente impresa. Vederai ancora tutto il sacro loco essere circondato da ferocissimi alicorni umili e mansueti divenuti a odore de le pudiche donne e donzellette che dentro vi dimorano. Guardati adunque, per quanto non vogli incorrere l’ira e indignatione nostra, che de le già dette virtuosissime Madonne né con pensiero, né con ragionare, né con penna nel tuo cominciato viaggio te debbi né molto né poco intromettere né impacciare. Anzi volendo tu in altre parti di loro santimonie trattare, de continuo con la nostra deità le debbi ascrivere e connumerare: e non ti esca di mente quando di loro scriver vorrai di con approvata verità affermare che a loro solo il sesso dalla natura dato è rimasto. Però al presente solo il di presso e di lunge mirare del mirabile loco ti basti, e la già da noi mostrata pista segui, che de continuo ci averai teco per tuo governo e guida.

E posto fine al suo parlare, subito dinanzi mi sparve. E siccome le lunghe miserie sono da sopraggiunte e impreviste prosperità terminate, così il mio spavento e avuto timore dagli ornati e piacevoli ragionamenti dello Dio in estrema allegrezza furono convertiti; e dai suoi presenti conforti e a me dati ordini rincoratomi, e per le future promesse senza altra dottanza nel bosco entrato, e con frettolosi passi camminando mi ritrovai tra’l verde e vago pratello in mezzo del quale era il descritto giardino edificato. L’autorità del quale non me permetteva più oltre andare, pure da soavissima armonia di [p. 242 modifica]diversi instrumenti che dentro il giardino faceano accordate melodie racconfortato, quanto di vederlo la vista mi bastava,6 a piedi d’un silvano arbore la venente novella a scrivere con piacere incominciai.

  1. Forse quelli sentieri.
  2. Questo luogo ci fa intendere che cosa vogliono significare quelle statue di fanciulle che tengono fra le mani, noi credevamo un cagnoletto per vezzo, ed è un armellino, simbolo della loro pudicizia. In molti monumenti antichi nelle nostre chiese si vedono cosiffatte statue.
  3. Intendi giardino.
  4. Re Ferdinando istituì l’ordine dell’armellino, col motto malo mori quam foedari, e ne portava le insegne al collo. E pure chi più di lui fu lordo di rapine e di sangue? L’impresa e il motto fu scolpito sopra una moneta d’argento del valore di quattro grana, e detta però l'armellina. V. Summonte lib. V.
  5. È scritto gorgioli, con la solita g che alcuni mettono innanzi a le parole comincianti da vocali. Dunque la Duchessa aveva fatta per sé questa impresa: In campo azzurro un orciuolo ripieno di verghe d’oro, e circondato di fiamme.
  6. L’edizione della gatta ha questa variante: [quanto di vederlo la vista mi bastava a contemplarlo per alquanto spazio di tempo così affisso ivi restai, e stando tutto di dolcezza ripieno posimi a sedere a piedi d’una selvaggia ed orrida quercia la quale li raggi d’Apollo a me rendea men caldi, e la seguente novella a scrivere con piacer cominciai].