Il Parlamento del Regno d'Italia/Silvestro Centofanti

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Silvestro Centofanti

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Domenico Elena Enrico Cosenz

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senatore.


E questi pure è uomo di lettere distintissimo e uomo di cuore caldo d’amor patrio, e carattere aureo, saldo e ammirevole.

Gli scritti in versi ed in prosa del Centofanti, troppo rari per isventura, sono di quelli che danno un sollievo all’animo e un pascolo alla mente tali da non sapere distaccarsene. La sua parola è magica, e sia che la si oda nel conversare, sia che la ci pervenga all’orecchio dall’alto della cattedra, ci commuove, ci persuąde, c’incanta.

È da deplorarsi che il professore Centofanti non abbiasi ancora fatto sentire dalla tribuna senatoria; andiamo convinti ch’egli otterrebbe uno splendido successo. Centofanti, modesto quanto devoto all’avvenire d’Italia, ha sofferto ogni sorta di privazione, onde non isconfessare la sua nobile e patriottica professione di fede. La cattedra che gli era già da gran tempo dovuta, non gli è stata concessa che quando l’opinione pubblica l’ha reclamata irresistibilmente per lui.

Eppoi, nelle vicissitudini del 1848, quando il Montanelli si gettava nelle braccia della demagogia, il professore Centofanti ne lo riprendeva con quell’autorità che gli davano sopra di esso l’averlo avuto ad allievo, e d’essergli stato un vero padre intellettuale.

[p. 926 modifica]Ma quando il Montanelli, sordo, non solo ai savi consigli e alle esortazioni da esso portigli, persisteva nella via adottata, via che conduceva al precipizio della Toscana e dell’Italia, credette indispensabile, a tranquillità della propria coscienza, di ripudiarlo pubblicamente per discepolo e per amico.

Per il che si sa poi quanto il Montanelli, andato in missione a Parigi, menasse rumore, e come trascorresse persino a slanciare a traverso alle Alpi, un cartello di sfida al sommo uomo che avealo guidato nel sentiero della virtù e della scienza. Il Centofanti rispose con tanta dignità a quella ridicola provocazione, che non vi fu nessun italiano, cui quella risposta sia pervenuta a cognizione che non l’abbia ammirata come la quintessenza del retto, del savio e dell’onesto.

Alla rivoluzione del 1859, il Centofanti contribuì assaissimo, dappoichè egli aveva già da lungo tempo, preparati gli animi della numerosa gioventù che più davvicino gli stava, a quel moto da cui l’Italia si riprometteva salute. Quindi è che a buon diritto, il posto del Centofanti, fu indicato da ognuno che il conobbe, ed apprezzò i segnalati servigi da esso resi alla patria, in quell’augusto consesso nel quale, ii padri di essa appunto si seggono.

La speranza che noi manifestiamo nel chiudere queste nostre parole, riguardo a tant’uomo, si è quella che egli possa uno di questi giorni, fare udire nell’aula senatoria, la nobile e possente sua voce.