Il Pentateuco con introduzione critica ed ermeneutica/Prefazione

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Introduzione critica ed ermeneutica Il Pentateuco
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PREFAZIONE

Premessa dell'Autore al volgarizzamento del
Pentateuco, pubblicato per la prima volta a
Trieste coi tipi di Colombo Coen editore.


ll presente volgarizzamento non è modellato sopra alcun altro antico o moderno lavoro, ma è il frutto di lunghi studj intorno alla sacra Filologia ed Esegesi, da me già da sei lustri insegnate in questo Istituto Rabbinico.

Nel corso di tutti questi anni non ho mai cessato di ventilare le varie sentenze dei principali Interpreti, e discuterle nel quotidiano insegnamento coi colti giovani, miei uditori ed amici, modificando in conseguenza qua e là la mia traduzione. Della quale gli argomenti giustificativi trovansi esposti nei miei scritti esegetici in lingua ebraica, in parte stampati, e per intero esistenti presso gli alunni di questo lstituto, e presso i Rabbini che ne uscirono.

Lo scopo prefissomi nella presente, come in ogni altra mia versione dei testi biblici, fu sempre di esprimere colla massima precisione quel senso che dopo maturo e libero esame mi parve contenersi nelle parole tutte dell'originale; ma di esporlo con quelle espressioni, con quella sintassi e con quelle aggiunte tra parentesi, che più fossero atte a renderlo piena [p. XLVI modifica]mente intelligibile ai lettori della traduzione. Le mie versioni tendono in somma ad essere sempre fedelissime al senso del sacro Testo; e ad essere fedeli anche alla lettera di esso, sino a tanto che ciò non nuoca alla chiara intelligenza del senso stesso.

Nel cercare però che i miei volgarizzamenti riescano intelligibili ai lettori italiani, fui sempre ben lungi dal permettermi di alterare l'aspetto, il colore dell'originale. La maniera di esprimersi usata in luoghi e tempi tanto da noi lontani diversificava necessariamente dalla nostra; e cangiarla per rimodernarla sarebbe una profanazione. l libri santi vogliono rendersi accessibili a tutti, non devono però spogliarsi della natìa loro sublime semplicità, per adattarsi al vario gusto di questo o di quel secolo, di questa o di quella contrada.

Aggiungerò una parola rapporto alla traduzione del Nome tetragrammato. Questo sacro Nome divino dovrebbe, alla guisa degli altri nomi proprj, non tradursi, ma trascriversi; però un'antichissima tradizione, universalmente rispettata da noi non solo, ma eziandio dai Caraiti, dai Samaritani e dai Cattolici1, ci vieta di profferirlo, e c'impone di sostituirgli nella lettura la voce Adonai, che vale mio Signore2; e questa pronunzia fu espressa dalla Vulgata, col latino Dominus, e dalla Versione greca, detta dei Settanta, antica di venti e più secoli, col greco Kyrios; e la medesima traduzione fu generalmente seguita nelle lingue moderne, colle parole il Signore, e simili. [p. XLVII modifica]Alcuni dotti del medio evo immaginarono ch'il Tetragrammato traesse origine dal verbo Hajà, o Havà, che vale fu, essere; e gli attribuirono il significato di Eterno; e questa traduzione fu adottata dal Mendelssohn, e dai suoi seguaci. E finalmente non mancò chi, abusando dell'accennata etimologia, pretese che il Dio di Mosè altro non fosse che quello di Spinosa, ossia l’Essere, l’Universo. (!!!)

Io non credo il sacro Nome derivato dal verbo Essere (veggasi la mia Grammatica della lingua ebraica, § 671), e lo traduco, con tutta l'antichità, il Signore.

È poi superfluo avvertire che il mio lavoro non è fatto per l'insegnamento primordiale dei nostri fanciulli, i quali studiano il Pentateuco sul testa originale, per apprenderne ad un tempo il contenuto e la lingua. Questi hanno d'uopo d'una versione assolutamente ad verbum, e tale da far conoscere il valore d'ogni singolo vocabolo ebraico, e degli affissi e suffissi che l'accompagnano; versione che i Maestri potranno facilmente ricavare dalla presente traduzione. Il significato d'ogni parola è ciò che più importa che bene imprimasi nella memoria dei principianti.

Possa questa mia fatica rianimare alquanto l'amore degli studj biblici, e far quindi tornare in onore le antiche virtù, la semplicità dei costumi, la sodezza dei pensieri; liberarci dalle illusioni della funesta intemperanza, e del rovinoso sfarzo; farci in somma amare una morale ed una saggezza, fondate sul timore di Dio, e sopra un sincero e sentito amore del prossimo, anzichè la morale e la saggezza della vanità, o del tornaconto, fondate sulle ristrette idee delle passioni, che han la veduta corta d'una spanna.

Padova, 3 Giugno 1858.

S. D. Luzzato



[p. XLVIII modifica]XLVll!

NE. Nel trascrivere i nomi propij ho seguito in generale la pronunzia degPisraeliti italiani e portoghesi. Non diedi però alla ieuera p il suono nasale che ha presso di noi; ma la umisi del tutto, 0 vi soszituii ‘ma vocale. Rappresenlai la n c0ll’il, in n con HH, e la 5 con Cl! alla tedesca. A scanso di ambiguità feci uso della K nelle sillabe CHE, CHI, quando sono da pronunziarsi ali‘ italiana; p. e. Kenan (E?) La Z rappresenta sempre la I, non mai la y, cui espressi con S, o SS, come pronunzianla tutti gli orientali (ebrei, siri, ed arabi), e come pronunziavanla i nostri vecchi. La Scin non seguita (la vocale, espressi con Sii, all'inglese. Espressi la Tau raiaul con TH, ed in fine di vocabolo con semplice T.

Nei nomi, in cui qualche vocale si cangia per la pausa, eonservai costantemente la pronunzia più comune, quella cioè che hanno fuori di pausa; scrivendo sempre p. e. Lemecli, lei-ed, non mai Lamech, lared.

ln alcuni nomi più celebri adouai la pronunzia, colla quale sono conosciuti in italiano, benché: non del tutto conforme al- l'originale ebraico; scrivendo p. e. Eva, anziché Hliavvà; Abele, piuttosto che Hevel; e così Noc, Abramo, Sodoma, Gomorra, Faraone, Giuseppe, Mosè.

Note

  1. Da un celebre Professore di questa Università seppi che trovandosi egli in Roma, ed avendo letto alcuni testi biblici davanti a un dottissimo Prelato, ne fu acremente sgridato per avere proferito il sacro Nome come è scritto, ossia, come il Prelato diceva, alla foggia dei Protestanti.
  2. I Samaritani sostituiscono invece Scemà, che significa il Nome; e noi pure, ogni volta che non si tratti di recite religiose, pronunziamo in luogo del sacro Nome la voce Hascèm che vale appunto il Nome.