Il Re della Prateria/Parte prima/9. Combattimento a bordo del negriero

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Parte prima - 9. Combattimento a bordo del negriero
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Capitolo Nono.

Combattimento a bordo del Negriero.



L’ufficiale della goletta, nell’udire quelle grida, si era bruscamente arrestato guardando fisso il negriero che era diventato livido e che non aveva saputo frenare un moto di rabbia, mentre i soldati, temendo che fosse per succedere qualche cosa di grave, preparavamo le armi.

La situazione si complicava, o meglio, si aggravava terribilmente per l’equipaggio negriero, che pur si trovava già in così cattive acque. Se l’ufficiale scopriva il giovane marchese, poichè doveva essere stato lui a mandare quel grido, potevano considerarsi tutti perduti.

— Chi è che ha emesso questo grido? — chiese l’ufficiale con tono minaccioso. — Quali misteri nasconde questa nave? Non vi basta forse di esercitare l’infame tratta degli schiavi, signor Fernando Nunez? —

Il negriero, che sembrava fulminato da quell’inattesa invocazione, per qualche istante non fu capace di articolare parola; ma passato il primo momento di sbigottimento, riprese la sua audacia.

— Bah! — esclamò, alzando le spalle. — È un giovane marinaio che ho fatto chiudere in una stretta prigione insieme con un suo compagno. [p. 73 modifica]

— Per quale motivo?

— Per ribellione.

— Voglio vedere questi prigionieri.

— Eh! Siete molto curioso, signor ufficiale di Sua Maestà Britannica, — disse Nunez, guardandolo torvamente.

— Vi dico che voglio vederli, — ripetè l’inglese con accento da non ammettere replica.

— E se io mi rifiutassi? — chiese il negriero con voce minacciosa.

— Vi obbligherei con la forza a mostrarmi i vostri prigionieri.

— Badate che ho trenta uomini in coperta!

— Ed io ne ho venti qui e altri quarantasei a bordo della goletta. Ribellatevi se l’osate, signor trafficante di carne umana!

— Cercate i prigionieri, adunque.

— Me li farete vedere voi, od io...

— Che cosa? — chiese Nunez, che perdeva la sua calma e pareva deciso ormai a tutto.

— O vi farò fucilare.

— Mumbai!... A me!... — gridò il negriero, slanciandosi con un balzo da tigre sulla gradinata e precipitandosi in coperta.

— Eccomi! — gridò il gigante, accorrendo.

— Alle armi! — tuonò Nunez. — Raccoglietevi tutti a prua!... —

In quell’istante l’ufficiale inglese apparve sul ponte, pallido di rabbia e colla spada sguainata. I suoi soldati lo avevano seguìto.

— A me, marinai! — gridò.

I dieci uomini che si trovavano nel gran canotto balzarono sulla scala e irruppero sul ponte unendosi ai dodici soldati, che si erano raggruppati attorno all’ufficiale.

— Sgombrate! — gridò Nunez, puntando le pistole che si era levate dalla cintura.

— Volete offrirci battaglia? — chiese l’inglese, ricuperando la sua calma.

— Sgombrate! — ripetè il negriero.

I suoi trenta marinai si erano schierati dietro di lui colla rapidità del lampo, stringendo i fucili, le sciabole e le scuri che Mumbai aveva gettato in coperta. Il barone era alla loro testa pronto a comandare il fuoco. [p. 74 modifica]

L’inglese, che aveva i suoi dieci marinai quasi inermi e che non disponeva che di dodici carabine, esitava a impegnare la lotta. Prima che la goletta fosse giunta coi rinforzi, nessuno dei suoi sarebbe rimasto in piedi.

Era necessario prender tempo per non farsi inutilmente uccidere.

— Abbasso le armi, — disse.

Carrai! — esclamò Nunez che sapeva d’avere, almeno pel momento, il sopravvento. — Le farò abbassare quando voi vi arrenderete prigioniero.

— E voi sperate?...

— Non spero nulla, ma vi dichiaro che, giacchè avete voluto montare sul mio vascello, vivo o morto vi rimarrete.

— Badate che la goletta è a poche gomene e che ad un mio cenno scaricherà su di voi i cannoni.

— Ma faremo più presto noi a mandarvi a casa di Belzebù, signor ufficiale di S. M. Britannica.

— Basta! — gridò l’inglese. — Vi offro dei patti.

— Quali?

— Di seguirci alla Giamaica. Le autorità di Kingston decideranno della vostra sorte.

— Eh! Eh! Credete che noi siamo così ingenui da gettarci in bocca al lupo? Che ne dite, signor di Chivry?

— Che per parte mia non accetterò mai tale patto, — rispose il barone.

— Avete inteso, signor ufficiale? — disse Nunez.

— Ancora una volta, deponete le armi! — gridò l’inglese.

— Venite a prenderle.

— A me della goletta!... — tuonò l’ufficiale.

— Badate che al primo colpo di cannone che parte o alla prima mossa che fa la goletta, io vi faccio fucilare! — gridò il negriero.

— Fuoco su quei cani e poi alla carica! — comandò l’inglese.

Un immenso clamore si alzò fra i negrieri, che fu soffocato da una scarica di fucili partita da ambe le parti.

Parecchi uomini caddero, e primo fra tutti il coraggioso ufficiale; ma gli altri, non badando alle perdite subite, si scagliarono [p. 75 modifica]furiosamente gli uni addosso agli altri, i soldati colle baionette calate e i negrieri colle sciabole d’arrembaggio in pugno.

L’urto fu tremendo. Parecchi marinai dell’Albatros, attraversati da parte a parte dalle baionette stramazzarono sul ponte, ma anche parecchi marinai della nave da guerra caddero.

Una lotta accanita s’impegnò attorno all’albero di trinchetto fra i superstiti che erano ancora numerosissimi. Il capitano Nunez e il signor di Chivry, sfuggiti miracolosamente alle prime scariche e al primo urto, si battevano con furore, avventando sui soldati e sui marinai inglesi tremendi colpi di sciabola e scaricando le loro pistole.

Mumbai, che si era armato d’una sbarra di ferro del peso di mezzo quintale e che maneggiava come fosse un semplice stecco, [p. 76 modifica]fracassava teste e sfondava costole ad ogni colpo che calava, gridando con quel suo vocione che si udiva a un miglio di distanza:

— Sgombrate, canaglie!... Ah! Voi siete curiosi? Prendete!... Sono busse che pesano ma vi fanno star bene per sempre!... —

Tutti gli altri si dibattevano con pari accanimento, respingendosi e urtandosi, afferrandosi e rovesciandosi e maneggiando furiosamente le scuri, le sciabole e i coltelli.

Gl’Inglesi, oppressi dal numero, privi del loro comandante, già decimati fino dalla prima scarica e in parte male armati, cadevano a due, a tre alla volta.

Non ne restavano in piedi che sei o sette, quando si udì Mumbai gridare:

— La goletta!... —

Nunez abbattè un soldato che cercava di fracassargli il cranio col calcio del fucile, s’aprì il passo fra l’onda dei combattenti e si slanciò sul cassero seguìto dal mastro e da alcuni uomini.

La goletta non era che a dugento metri.

Sul capo di banda di tribordo e sul castello di prua si erano radunati i marinai, frementi di rabbia, assetati di vendetta, pronti a slanciarsi all’abbordaggio.

Alcuni uomini avevano trascinato il cannone di prua sul cassero per mitragliare i negrieri, ma non l’osavano ancora, temendo coll’istessa scarica di uccidere i loro compagni, che restavano tuttavia sul ponte dell’Albatros.

Il capitano Nunez comprese a colpo d’occhio la gravità della situazione. Se la goletta riusciva a venire all’abbordaggio e a lanciare i suoi quarantasei uomini sulla tolda dell’Albatros, pei negrieri era finita poichè non si sentivano più in grado di affrontare un secondo combattimento contro un nemico di tanto più numeroso.

Bisognava assolutamente impedire l’abbordaggio, e senza perdere tempo, poichè i soldati della goletta avevano cominciato ad aprire il fuoco coi loro fucili, abbattendo più d’un marinaio nemico.

— È carico a palla il pezzo da caccia? — chiese Nunez.

— Sì, capitano, — rispose Mumbai. [p. 77 modifica]

— Manda sei od otto uomini nella batteria ai due pezzi di babordo, e comanda agli altri di tenersi pronti ai bracci delle manovre onde prendere il largo. Riceveremo una e forse due bordate, ma si tureranno i buchi più tardi. Sbrigati!

— Che cosa volete fare? — gli chiese il barone, che l’aveva raggiunto.

— Tento di fracassare un albero alla goletta. Se vi riesco, siamo salvi. È finita la lotta contro i soldati?

— Non ne rimangono che cinque o sei in piedi.

— Andate a finirli e badate ai fucili dei soldati della goletta. Comincia a grandinare terribilmente! —

Infatti gli uomini del piccolo legno da guerra avevano aperto un fuoco infernale contro la tolda della nave negriera. Inerpicatisi sulle griselle, sui pennoni e sulle crocette, per meglio distinguere i nemici che si affollavano attorno ai pochi Inglesi che opponevano una disperata ma ormai inutile resistenza, scaricavano i loro fucili senza posa, ma non con molto successo, perchè la tema di colpire i loro camerati faceva andare a vuoto la maggior parte delle palle.

Nunez, tenendosi al riparo della murata di poppa per non ricevere una scarica nel capo, puntò rapidamente il cannone da caccia sulla goletta, mirando con profonda attenzione. Corresse due o tre volte la mira, poichè il piccolo legno continuava ad avvicinarsi, poi accostò la miccia e diede fuoco.

Una formidabile detonazione scosse l’Albatros, seguìta poco dopo da urla di rabbia e da un grido di trionfo.

— Siamo salvi! — gridò Nunez. — Ai bracci delle manovre, ragazzi, e voi altri della batteria, fuoco di bordata!... —

E potevano infatti considerarsi salvi, poichè la goletta non era più in grado, almeno per parecchi giorni, d’inseguirli. Il suo albero di maestro, spaccato alla base dalla palla del pezzo da caccia dell’Albatros, era precipitato attraverso il ponte con orribile fracasso, ingombrandolo di corde e di vele e precipitando in mare i tiragliatori che si erano inerpicati sulle griselle, sulle crocette e sul picco della randa.

Per colmo poi di fortuna, quasi nel medesimo istante cadevano [p. 78 modifica]sul ponte del legno negriero i pochi superstiti soldati e marinai guidati dal povero ufficiale inglese. Era bastata la sbarra di ferro del gigantesco Mumbai per atterrarli e per non più rialzarsi.

— Fuoco di bordata! — si udì urlare sul ponte della goletta, mentre i marinai dell’Albatros si slanciavano ai bracci delle vele mandando grida di trionfo.

Ma gli uomini, che erano stati mandati nella batteria da Mumbai, prevennero gl’Inglesi. I due pezzi di babordo tuonarono simultaneamente lanciando sulla nave nemica due nembi di mitraglia che frantumarono la boma e il picco dell’albero di trinchetto e spazzarono i tiragliatori che si tenevano sul capo di banda.

Malgrado la confusione e il panico che regnava sul piccolo legno, i suoi quattro cannoni di tribordo fecero fuoco, e tre palle attraversarono la carena dell’Albatros, pochi centimetri sopra il livello d’acqua, mentre la quarta passava sopra il ponte smussando l’estremità del pennone di parrocchetto.

Ma ormai era troppo tardi per prendere una rivincita sul [p. 79 modifica]nemico che stava per fuggire. La nave negriera era tornata al vento e si allontanava velocemente dalla goletta, che si era arrestata come un uccello a cui è stata rotta un’ala.

Il comandante inglese, furibondo per lo scacco sofferto, mentre ormai si credeva di tenere in sua mano la pelle di tutti quei negrieri, lanciò un’altra bordata colla speranza si spezzare il timone alla nave fuggente e di fracassarle gli alberi; ma le palle non colsero tutte nel segno. Una penetrò nel quadro di poppa devastando la cabina del barone, la seconda spezzò la dolfiniera dell’albero di bompresso e le altre due attraversarono il ponte forando uno straglio.

La batteria del negriero rispose subito, come pure rispose il cannone da caccia del cassero; ma ormai la distanza era tale da non poter constatare i danni sofferti dalla goletta da quella seconda scarica. Qualche palla doveva però aver colto nel segno e prodotto qualche nuovo guasto, poichè si udirono gl’Inglesi mandare urla di furore.

— Buon viaggio! — gridò il capitano Nunez, dall’alto del ponte di comando, volgendosi verso il legno da guerra che a poco a poco rimpiccioliva. — Venite ora a cacciare il naso negli affari del signor Fernando Nunez di Cadice, come mi chiamava ironicamente il vostro defunto ufficiale. —

Una voce lontana rispose:

— Ci rivedremo!

— Magra speranza, — disse Nunez volgendosi verso il barone, che lo aveva raggiunto.

— Che abbiano intenzione di continuare la caccia?

— L’intenzione l’avranno di certo, signor di Chivry; ma quando saranno in grado di rimettersi alla vela, noi saremo tanto lontani da non temerli più.

— Occorrerà molto tempo per riparare i loro danni?

— Quelle navi là hanno a bordo tutto il necessario, alberi di ricambio, vele di ricambio e abili carpentieri, senza essere costrette di ricorrere ai cantieri di terra; ma prima di tre giorni la goletta non sarà in caso di riprendere la caccia. In questo frattempo, se il vento non diminuisce, noi avremo un vantaggio di quattrocento miglia, e più. [p. 80 modifica]

— E se si mettono in crociera dinanzi alle Antille?

— Sono capaci di farlo, quelle canaglie; ma il Golfo del Messico è vasto e ci vorrebbero venti navi per sorvegliare l’uscita.

— Essi possono recarsi alla Giamaica per soccorsi...

— Alla Giamaica non troveranno che due o tre incrociatori, e spero che non tutti saranno così rapidi come il mio Albatros, che è stato raggiunto per la prima volta. Dannata goletta! Chi avrebbe detto che filava più della mia nave, che si ritiene per una delle più veloci della marina dei due mondi? Orsù, siamo sfuggiti ad un grande pericolo e possiamo rallegrarci.

— Ma abbiamo subìto delle gravi perdite, capitano Nunez.

— Bah! Dei marinai se ne trovano dappertutto.

— E il vostro legno è stato crivellato.

— I buchi si tureranno più tardi. Abbiamo dei tappi di tutti i calibri a bordo. E il vostro dannato marchesino? Carrai! Se non fosse per voi, lo avrei fatto già appiccare, parola d’onore.

— Ci sbarazzeremo presto di lui, — rispose di Chivry, che era diventato pensieroso.

— Una lezione non ci starebbe male, barone.

— Egli è sacro per me: che nessuno lo tocchi. Se siamo stati imprudenti a lasciarlo in quella cabina, peggio per noi! La colpa è tutta nostra.

Carramba! Non avete torto. Venite, barone, e andiamo a constatare le nostre perdite, che temo siano assai gravi. —