Il Re della Prateria/Parte seconda/10. L'inseguimento

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Capitolo Decimo.

L’inseguimento.



Dopo le ultime parole pronunziate dal marchese con voce vivamente commossa e con le lagrime agli occhi, un profondo silenzio era succeduto. Il messicano e gli arrieros, che non sapevano a quale partito appigliarsi e che ormai ritenevano per sempre perduto il loro disgraziato compagno, erano diventati tristi e pensierosi, e pareva che cercassero di evitare gli sguardi del marchese.

Essi, che avevano una profonda conoscenza di quelle regioni e che sapevano con quali feroci e spietati nemici avrebbero avuto da fare, se avessero voluto tentare di raggiungere i rapitori per liberare il prigioniero, consideravano la partita irreparabilmente perduta.

Ed infatti, come raggiungere quegli uomini che marciano con una rapidità incredibile anche attraverso i deserti, che dovevano avere dei rapidi mustani e che già avevano un vantaggio di oltre dodici ore? Sarebbero giunti alla loro tribù molto tempo prima degl’inseguitori, e nessuno, per quanto bene armato e risoluto, avrebbe osato di entrare in un accampamento indiano, composto forse di cento, dugento, cinquecento guerrieri. Il marchese, che lanciava sguardi disperati sul deserto che estendevasi a perdita d’occhio dinanzi a lui, quasi avesse la speranza di scoprire i rapitori, ruppe pel primo il silenzio. [p. 199 modifica]

— Amici, — diss’egli con voce rotta. — Vi offro quanto mi rimane della mia ricchezza, se mi aiutate ad inseguire i rapitori e liberare il mio disgraziato Gaspardo. No, non voglio lasciar morire fra i più atroci tormenti quel mio fedele e leale servitore. —

Il messicano a quelle parole si scosse.

— Ascoltatemi, marchese, — disse. — Conservate il vostro denaro, che può essere più utile a voi che a noi; e giacchè volete tentare la liberazione del vostro Gaspardo, che noi tutti amavamo come fosse un fratello nostro, tenteremo di salvarlo.

Vi avverto innanzi tutto, onde non vi create delle illusioni, che la salvezza del vostro servo può costare a noi la vita, poichè le pelli rosse non cedono i loro prigionieri a nessun patto, e non scendono a trattative cogli uomini bianchi, a qualunque nazione appartengano, e non si farebbero scrupolo d’impadronirsi di noi e di legarci al palo della tortura.

Non vi è che una sola speranza: quella di lottare di celerità coi rapitori, e di assalirli prima che raggiungano la loro tribù. Volete che tentiamo? Io, ed anche gli arrieros, siamo pronti.

— Grazie, amici, — disse il marchese con voce commossa, stringendo loro le mani. — Sapevo di non fare un inutile appello.

— Siamo pronti a seguirvi, señor... — soggiunsero i mulattieri. — Disponete di noi.

— Allora non perdiamo tempo, — riprese Sanchez. — I minuti sono preziosi. Voi altri andate a levare il campo, riempite al fiume gli otri, fate una provvista considerevole di foraggi e di legna, poichè in questo deserto non troveremo nè erbe, nè alberi, e voi, marchese, seguitemi. —

Esaminò dapprima le erbe; e trovate le tracce dei rapitori, le seguì fino alle prime sabbie per meglio osservarle.

— Dio è con noi! — esclamò dopo alcuni istanti. — La banda indiana è piccola e se possiamo raggiungerla, potremo affrontarla.

— Di quanti uomini si compone? — chiese il marchese.

— Di dieci.

— Tutti a cavallo?

— Tutti, marchese.

— Saranno molto lontani ora? [p. 200 modifica]

— Forse non tanto, — rispose Sanchez. — I cavalli si stancano presto camminando sulle sabbie; e per di più un animale porta due uomini, un indiano e Gaspardo, ne sono certo.

— Come lo sapete?

— Guardate qui: non vedete queste quattro impronte che sono più profonde delle altre? Indicano che il cavallo che le ha lasciate, porta un peso maggiore, il doppio degli altri.

— Che osservatore siete voi! — esclamò il marchese stupito. — Nulla vi sfugge e tutto indovinate. Ma, ditemi, che Indiani supponete che siano?

— Dalla direzione che han preso, suppongo siano Apaches o Navajoes.

— Che sia lontana la loro tribù?

— Temo che ci facciano fare una lunga galoppata, marchese. In questo deserto gli Indiani non possono vivere, poichè non troverebbero nè selvaggina, nè erbe pei loro cavalli, nè acqua. La loro tribù si accampa verso le sorgenti del Rio Virgin o sulle rive del Rio Verde, il Colorado settentrionale. Sapremo fra breve, su quale di questi due fiumi.

— Dove si dirigono le tracce?

— Verso l’est, per ora.

— Siete certo di non smarrirle?

— Sì, purchè non scoppi qualche tornado o cordonazo e sconvolga le sabbie.

— Che cosa sono questi tornado?

— Violenti uragani che infuriano nei deserti e che sollevano le sabbie.

— Speriamo che si tengano lontani, Sanchez. —

In quel momento giungevano gli arrieros, conducendo i cavalli e i muli carichi di foraggi, di legne secche e cogli otri ben ripieni.

— In sella, — disse Sanchez, — e lavorate di sperone e di frusta. Bisogna procedere colla maggior velocità, se vogliamo raggiungere la banda prima che arrivi alla sua tribù. —

Salirono in arcione e si slanciarono verso l’est di galoppo, incitando i muli e i cavalli cogli speroni e colle fruste.

Il deserto somigliava a quello d’Amargoza, essendo pure [p. 201 modifica]composto di sabbia, di sale e d’argilla; però non era tanto arido, poichè qua e là si scorgevano delle macchie di salvia e di graminacee intristite ed anche qualche palma nana si rizzava stentatamente. La selvaggina mancava del tutto, e solamente in aria si vedevano svolazzare dei falchi.

Sanchez, che seguiva sempre le tracce, le quali si vedevano chiaramente impresse su quelle sabbie, a mezzodì, a circa quindici miglia dal Rio Virgin, scoprì dietro ad una piccola altura un po’ di cenere, degli avanzi di legni mezzo carbonizzati e dei rimasugli di erbe.

— Quei rapitori hanno fatto qui la prima fermata, — disse.

Scese di sella ed esaminò accuratamente i rami e la cenere.

— Sono spenti da parecchie ore, e la cenere è fredda, — disse. — Diamo un po’ di riposo agli animali, mangiamo un boccone e poi di nuovo in sella.

— Si dirigono sempre verso l’est le tracce? — chiese il marchese.

— Sempre, — rispose Sanchez. — Ora sono certo della loro direzione.

— Dove credete che siano diretti?

— Alla riviera Verde.

— Li raggiungeremo prima?

— Spero, marchese.

— Ma potranno resistere i nostri animali ad una corsa simile?

— Manterremo le loro forze.

— In qual modo?

— Col nostro zucchero, marchese. Ne abbiamo ancora quattro libbre e lo daremo tutto a loro.

— Forse che lo zucchero ha questa miracolosa proprietà?

— Lo ignoravate, marchese?

— Sì, Sanchez, lo confesso.

— Lo zucchero conserva mirabilmente le forze, señor; bastano pochi pezzi per rinvigorire un uomo esausto da una lunga marcia. Affrettiamoci a mandar giù la colazione e poi in sella. —

In pochi minuti divorarono il pasto, abbeverarono gli animali sciogliendo nell’acqua parecchie once di zucchero, diedero a loro [p. 202 modifica]un’abbondante razione di foraggio, poi risalirono in arcione galoppando verso l’est.

Alle cinque trovarono le tracce della seconda fermata degli Indiani; ma anche quelle ceneri erano fredde, segno evidente che i rapitori avevano ancora un grande vantaggio.

Non si arrestarono e continuarono la corsa, finchè videro che gli animali non potevano più mantenersi in piedi. In quella giornata avevano percorso un tratto di circa sessanta miglia, tratto immenso, se si considera che avevano galoppato sempre fra le sabbie.

— Quale vantaggio credete che abbiano i rapitori? — domandò il marchese a Sanchez.

— Abbiamo lasciato l’ultimo loro accampamento tre ore fa, quindi calcolo di aver guadagnato su di loro dodici o quindici miglia.

— Ma anche quei furfanti vanno con una velocità indiavolata.

— Tutti gli indiani son famosi cavalieri, señor, — rispose Sanchez. – E poi, avranno fretta di giungere alla loro tribù per mostrare il prigioniero.

— E martirizzarlo?

— Senza dubbio, marchese.

— Ma che cosa faranno a quel disgraziato, se non giungiamo in tempo a strapparlo dalle loro mani?

— Gli Indiani son vere tigri, marchese. Nei loro accampamenti si vede sempre un palo piantato in mezzo alle tende e che è destinato ai prigionieri di guerra: si chiama il palo della tortura.

Ogni uomo che vien preso, sia un nemico appartenente ad un’altra tribù indiana od un viso-pallido, cioè un bianco, che per loro rappresenta sempre un avversario, si lega a quell’orribile palo e si abbandona alle squaw.

Queste squaw, che sono le donne, le mogli e le sorelle degli Indiani, sono feroci non meno dei loro mariti e dei loro fratelli.

Dapprima, strappano all’infelice prigioniero la lingua, le unghie e gli occhi, poi si arrestano. Il giorno seguente tagliano a lui i piedi e le mani, abbruciano le sue piaghe, quindi lo coricano a terra e accendono sul suo petto un fuoco.

Mentre il disgraziato urla disperatamente e si dibatte fra le [p. 203 modifica]strette dell’agonia, quelle furie si mettono a ballare attorno a lui una ridda infernale.

Un guerriero poi s’incarica di scotennare il morto, se non l’ha fatto prima, onde la capigliatura non corra il pericolo di abbruciare.

— È orribile, Sanchez! — esclamò il marchese, che era diventato livido, pensando che Gaspardo poteva subire un così spaventevole supplizio. — Ma anche i loro confratelli rossi li torturano così?

— Peggio che peggio, perchè la pelle rossa affronta serenamente tale martirio non solo, ma incita i suoi carnefici a renderlo più crudele.

— I prigionieri?

— Sì, marchese. Io assistei una volta al supplizio di un Comanco, che era caduto nelle mani dei Navajoes. Il prigioniero, lungi dallo spaventarsi e dall’implorare pietà, derideva i suoi carnefici perchè non conoscevano torture più atroci.

— A tuo fratello, — diceva ad un guerriero navajoes che lo scotennava — gli ho strappato gli occhi e al loro posto ho messo due carboni accesi!... A tuo figlio, — diceva a un vecchio indiano che lo saettava colle sue frecce, — io ho mangiato la lingua e gli ho versato in bocca tre palle di fucile fuse; a tuo padre, — diceva ad un altro dei suoi carnefici, — ho versato dello zolfo liquefatto nelle sue piaghe, ed a tua sorella ho strappata la pelle del seno. Voi siete femminucce, voi non sapete torturare i [p. 204 modifica]guerrieri, e se sperate colle vostre torture di far urlare un Comanco, vi ingannate! — E cantava, malgrado tante spaventevoli mutilazioni, il suo canto di guerra, vantando le proprie imprese e quelle della sua tribù!

— Ma che carni hanno questi Indiani? — chiese il marchese, rabbrividendo.

— Si dice che la loro sensibilità sia di gran lunga inferiore alla nostra, e che quindi provino molto meno dolore di noi. Ed infatti, se così non fosse, non ecciterebbero i loro torturatori a raddoppiare il martirio.

— Può essere, — disse il marchese. — So che la razza etiope è molto meno sensibile di noi, e che gli abissini subiscono spaventevoli mutilazioni senza batter ciglio. Povero Gaspardo!... In quali mani sei caduto!...

— Speriamo di salvarlo, marchese. Orsù, corichiamoci, e prima dell’alba partiremo. —

Alle quattro del mattino si rimettevano in marcia dietro alle tracce dei rapitori, che si scorgevano sempre sulle sabbie del deserto. I cavalli ed i muli, che conservavano meravigliosamente le loro forze in virtù dello zucchero che il messicano scioglieva abbondantemente nella loro acqua senza economia, si misero a galoppare con molta lena, senza che i cavalieri dovessero ricorrere agli speroni ed alle fruste.

Le tracce della terza fermata degl’Indiani vennero ritrovate verso le otto del mattino, e quelle della quarta verso le due pomeridiane; ma le ceneri erano sempre fredde.

Superate le estremità settentrionali della Sierra North-Side, che si eleva quasi nel cuore del deserto, e nei cui cañon trovarono acqua ed erbe, gli inseguitori piegarono verso il nord-est, poichè le orme si dirigevano verso quella direzione.

La notte li sorprese a circa quaranta miglia dalla riviera Verde.

Il terzo giorno i cavalli ed i muli cominciarono a dare segni di stanchezza. Quelle corse indiavolate li avevano quasi sfiniti; ma Sanchez, che sapeva di aver guadagnato sui rapitori parecchie ore e che sperava di raggiungerli in breve, non diede riposo alle povere bestie. [p. 205 modifica]

A mezzodì trovarono le tracce di un’altra fermata. Esaminate le ceneri, il messicano le trovò ancora tiepide.

— Animo, caballeros, — diss’egli. — Gli Indiani non sono lontani; devono essersi fermati qui poche ore fa.

— Mantengono sempre la nuova direzione? — chiese il marchese.

— Sì, — rispose il messicano.

— Dove credete che si dirigano?

— Sempre verso la riviera Verde. A cavallo!... —

Avevano concesso due ore di riposo alle povere bestie. Lavorando di speroni e di frusta, le spinsero innanzi procurando che non rallentassero il galoppo.

Alle sei di sera, un altro accampamento fu trovato. Sanchez rimosse le ceneri, e trovò un tizzone ancora acceso.

Quella scoperta rallegrò tutti. Gli Indiani dovevano aver lasciato quel luogo da poco tempo, forse da un paio d’ore.

— Stiamo per raggiungerli, — disse il messicano.

— E il deserto sta per terminare, — disse il marchese. — Vedo laggiù uno strato verde e degli alberi.

— Siamo vicini al Rio Verde, señor. Un ultimo sforzo e saremo alle spalle dei rapitori.

— Che si accampino sulle rive del Rio?

— Lo spero, marchese.

— Li sorprenderemo?

— Sì, li vinceremo facilmente.

— Avanti adunque!... —

Si misero a spronare le povere bestie, le quali ripresero un piccolo galoppo, dirigendosi verso lo strato verde che si scorgeva verso l’est.

La notte calava rapidamente, avvolgendo nelle sue tenebre il vasto deserto, e la luna cominciava a far capolino sopra le foreste che il marchese aveva segnalate. In lontananza si udivano guaire i cani di prateria e ululare i lupi che pare siano sempre affamati, anche dopo un copioso pasto. Sanchez, che eccitava il proprio cavallo, si rizzava di frequente sulle larghe staffe, per abbracciare coll’occhio maggior orizzonte, sperando sempre di veder galoppare dinanzi a sè la banda indiana, ma nulla ancora si scorgeva. [p. 206 modifica]

Alle nove, dopo d’aver attraversato una piccola prateria coperta di girasoli, entravano in un bosco. Sanchez scese di sella, e dopo d’aver raccomandato ai suoi compagni di fare altrettanto e di non parlare, tese gli orecchi ascoltando con profonda attenzione.

Al di là del bosco si udiva un lontano muggito, che pareva prodotto da una cascata o da un grande corso d’acqua.

— Siamo al Rio Verde, — disse Sanchez.

— E le tracce? — chiese il marchese.

— Si dirigono verso il fiume.

— Che lo abbiano attraversato?

— Lo sapremo fra poco. —

Presero i cavalli ed i muli per le briglie, si misero sotto il braccio i fucili per essere pronti a tutto, e si addentrarono nel bosco cercando di non fare rumore.

Percorsi otto o novecento passi, Sanchez si arrestò:

— Il Rio Verde! — esclamò.

— E gli Indiani? — chiese il marchese con ansietà.

— Lo hanno varcato! —